martedì 13 maggio 2014

Pepi Merisio



Pepi Merisio è nato a Caravaggio nella bassa bergamasca nel 1931 e comincia a fotografare da autodidatta nel 1947. Progressivamente protagonista del mondo amatoriale degli anni Cinquanta, ottiene numerosi e prestigiosi riconoscimenti in Italia ed all’estero. Nel 1956 inizia la collaborazione con il Touring Club Italiano e con numerose riviste: Camera, Du, Réalité, Photo Maxima, Pirelli, Look, Famiglia Cristiana, Stern, Paris - Mach e numerose altre. Nel 1962 passa al professionismo e l’anno seguente entra nello staff di Epoca, allora certamente la più importante rivista per immagini italiana.
L’ambito ideale della poetica di Merisio è, insieme con la grande tradizione contadina e popolare della provincia italiana, anche il variegato mondo cattolico. Nel 1964 pubblica su Epoca il suo grande servizio Una giornata col Papa avviando così un lungo lavoro con Paolo VI. Dello stesso anno è il suo primo libro dedicato all’amico scultore Floriano Bodini. Da questo momento, mentre continua la collaborazione con grandi riviste internazionali (celebri i tre numeri monografici di Du sul Vaticano, su Siena e sull’Italia cattolica) avvia un’intensa attività editoriale. Caposaldo, dichiarazione d’intenti e summa preventiva della sua attività di narratore per immagini è l’opera Terra di Bergamo in tre volumi, edita nel 1969 per il centenario della Banca Popolare di Bergamo.
Da allora ha pubblicato oltre un centinaio di libri fotografici con editori diversi .(Da 
http://www.pepimerisio.it/biografia.html)


























































































































Da www.ideavisiva.it parte di un'intervista a Pepi Merisio


T: Quali sono gli argomenti prediletti?
M: Nel ’69 ho pubblicato “Terra di Bergamo” per il centenario della Banca Popolare di
Bergamo, primo esempio coraggioso di una banca che, per ricordare una celebrazione, si
è rivolta ad un fotografo. Questo lavoro mi ha dato la possibilità allora di vedere il mondo
contadino e della provincia italiana che stava scomparendo. Fino ad allora fotografavo in
Ciociaria le donne con le cioce, cinque anni dopo non c’era più niente. Bisognava far
presto. Tutto si stava omologando. Negli anni 50 ognuno aveva il suo abito, l’operaio,
l’avvocato, il prete, come modo di essere, adesso l’avvocato è vestito come un play boy e
magari il play boy come l’avvocato, il prete come ragioniere. In questo senso per la
fotografia è dura. Oggi la riconoscibilità del soggetto quasi non esiste più. C’è bisogno
delle didascalie per dare l’identità alle persone.

T: Che cosa significa per lei la parola fotogiornalismo?
M: Che cosa significava. Oggi fotogiornalismo è sinonimo di televisione, in ogni senso è
immagine elettronica. Oggi pensare che un giornale invii un fotogiornalista per un evento,
è inutile. È tutto organizzato c’è solo da scegliere sullo schermo quel che il giornale vuole.
Quindi bisogna tornare indietro 10/15 anni fa. Il fotogiornalismo spicciolo c’è sempre, però
quello classico è finito in quegli anni. Continua solo come approfondimento di argomenti,
come documentazione culturale a cura dei vari Enti. Quando ho iniziato con Epoca il
fotografo era un personaggio considerato.
T: Quale suo lavoro le ha dato più soddisfazione.
M: Il fotografare il mondo contadino, forse l’humus cattolico. E poi la provincia italiana.
Tutti i miei libri hanno quel taglio o contengono anche questo aspetto. Una cosa che
tengo a dire è che il mio rapporto con la gente è chiaro immediato, chi sta di fronte a me
vede che ho la macchina fotografica e se non vuole non lo fotografo.









1 commento:

  1. Grazie, ahimè non lo conoscevo!
    E' sempre un piacere leggere i vostri articoli
    Buon lavoro
    Betti

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