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martedì 17 marzo 2020

C'era una volta...




Chiunque sia stata bambina  negli ultimi 100 anni non  può aver ignorato la storia di Cenerentola: magari non proprio quella raccontata da Disney,  ma certamente almeno una delle tante versioni che si sono succedute, da quella di Giambattista Basile alle successive di  Charles Perrault, o dei Fratelli Grimm, per citare le più famose, e sempre più spesso illustrate  nei libri , come più volte raccontato in questo blog.

E' altrettanto probabile che, forse , non tutte le bambine conoscano o abbiano conosciuto, la storia della nonna di Cenerentola o, per essere precisi, la nonna della storia di Cenerentola, nata, almeno così sembra, molto tempo fa nell'antico Egitto.

Gli studiosi del settore hanno trovato traccia di una possibile antenata della fiaba di Cenerentola, studiando le opere di un  narratore di favole, Esòpo, e non solo.
Tra le mie numerose scartoffie ho conservato un ipotetico testo di questa antenata, scaricato da internet molto tempo fa, senza averne purtroppo annotato la paternità; sperando che nessuno ne abbia a male , lo riporto solo come possibile narrazione originale di una  storia più volte riscritta.
"Tempo fa , nell'antica terra d'Egitto dove le acque del Nilo erano verdi e il fiume sfociava nel blu del Mare Mediterraneo, viveva una giovane fanciulla dal nome Rhodopis. Era nata in Grecia, ma poi era stata rapita dai pirati e portata in Egitto, dove era stata venduta come schiava. Il suo padrone si rivelò essere un vecchio che trascorreva la maggior parte del tempo sotto un albero del sonno, in riva al fiume. Per questo motivo non vedeva mai come tutte le ragazze serve si comportavano in casa. In realtà le altre schiave avevano  capelli neri, mentre Rhodopis era bionda. Avevano tutte gli occhi scuri mentre i suoi erano verdi. La loro pelle era scura, mentre lei era pallida e rischiava di bruciarsi facilmente al sole; per questo la chiamavano Rosy Rhodopis. Tutte queste differenze provocavano l'invidia e il fastidio delle altre schiave. Per questo motivo la facevano lavorare al loro posto.
Lei però era diventata amica di tutti gli animali che l'aiutavano a fare i lavori più pesanti. Lei chiedeva " Andate al fiume a lavare i vestiti." e loro ubbidivano. Inoltre aveva addestrato gli uccelli a mangiare dalla sua mano, una scimmia a sedersi sulla sua spalla.
Alla fine della giornata scendeva al fiume per stare con i suoi amici animali e ballava e cantava per loro, anche perché il ballo e la musica erano un modo per ricordare la sua terra lontana.





Una sera, mentre danzava più leggera dell'aria con i piedi che toccavano appena il suolo, il vecchio padrone si svegliò dal suo sonno e la vide. Ammirò la sua danza e pensò che un talento così non doveva camminare senza scarpe, così ordinò per lei uno speciale paio di pantofole: erano dorate con sfumature rosa e rosso, con le suole di cuoio. Le altre serve furono ovviamente gelose delle sue pantofole.

Un giorno, il faraone Ahmose I decise di dare una grande festa e tutti nel regno furono invitati.Rhodopis sapeva che alla festa si cantava e ballava e c'era del buon cibo; avrebbe voluto andarci , ma le altre le affidarono un sacco di faccende da sbrigare prima di uscire, poi indossarono i loro migliori abiti e andarono alla festa senza di lei.
Appena Rhodopis  cominciò a lavare i vestiti nel fiume, cantando una triste canzone, l'ippopotamo suo amico si stancò di sentirla così triste e uscì dal fiume schizzando dell'acqua sulle sue pantofole. Lei fu costretta a metterle ad asciugare al sole ,appese ad un filo. Allora un falco fu attratto dal luccichio dell'oro e piombò giù dal cielo e ne strappò via una. Intanto alla festa il faraone Ahmose I se ne stava seduto sul suo trono, molto annoiato.
Improvvisamente il falco, passando di là, lasciò cadere verso il basso la pantofola d'oro, proprio nel suo grembo. Il faraone rimase sorpreso, ma presto capì che quello era un segno di Horus.
Così emise un decreto con cui stabiliva che tutte le fanciulle in Egitto dovevano misurare la pantofola e chi l'avesse calzata sarebbe stata la sua regina.

Dopo aver cercato intorno senza aver trovato la proprietaria della pantofola, salì sulla sua chiatta e si mise a navigare lungo il Nilo in cerca della misteriosa fanciulla. Quando passò davanti alla casa di Rhodopis , i suoi servitori suonarono il gong e le lunghe trombe sottili, e alzarono la vela di seta viola. Tutte le ragazze accorsero per provare la pantofola, tranne Rhodopis, che rimase nascosta dietro un giunco. Tutte sapevano a chi apparteneva quella pantofola, ma nessuna parlò. A un tratto il faraone scorse la fanciulla che si nascondeva dietro ai giunchi e la invitò a provare la pantofola. Il  piede della ragazza  si infilò subito nella pantofola ,così il Faraone , proprio come aveva promesso, confermò che quella sarebbe stata la sua regina. E alle ragazze invidiose che cercavano di denigrarla perché non era egiziana, Amose rispose: " Lei è più egiziana di tutte , perché i suoi occhi sono verdi come il Nilo, i suoi capelli sono dorati come il papiro e la sua pelle è rosa come il fiore di loto."




Così narrata, la storia di Cenerentola potrebbe suonare credibile anche alle orecchie di una bambina del 2020, magari un po' esotica rispetto alle versioni più conosciute, con un faraone al posto di un principe e delle babbucce al posto delle scarpette di cristallo.

Tuttavia rimestando tra le numerose versioni in cui la fiaba è stata scritta e narrata,  mi sono chiesta : "Chi era veramente la fanciulla chiamata Rodope o Rodopi ? "

Il grande storico greco Erodoto nelle sue "Storie" narra, tra le altre, quella di Rodopi, splendida fanciulla tracia, schiava con Esòpo, costretta a diventare cortigiana. Di lei si innamorò Carasso, fratello di Saffo e , poiché, come si sa, l'amore è cieco, il poveretto spese una fortuna per comprarla, con grande imbarazzo della sua famiglia. La stessa Saffo, in una poesia a difesa del fratello ,accusò Rodope di circonvenzione nei confronti di un onesto commerciante di vino di Lesbo.




Ma nel libro del destino  era scritto che comunque questa esotica fanciulla sarebbe diventata il simbolo di tutti coloro che partendo da una condizione miserabile riescono a raggiungere una condizione invidiabile e allora al posto di un semplice vinaiolo ecco comparire il faraone.
E le babbucce?  Certo, anche per loro e grazie a un colpo di fortuna era previsto un salto di qualità: quando Charles Perrault  scrisse la sua versione della fiaba di Cenerentola sullo sfondo della mondana e sontuosa Parigi dell'epoca, raccontò che le sue scarpette erano "en vair" , cioè di pelle imbottita,  delle babbucce con il pelo dentro per intenderci. Purtroppo a quel tempo l'analfabetismo era molto diffuso e le storie non venivano lette ma ascoltate; fu così che  la parola vair fu confusa con un'altra , verre, che si pronunciava più o meno allo stesso modo, ma significava vetro, cristallo.



Se avessimo la pazienza di ripercorrere a ritroso la storia delle fiabe più popolari, chissà quante sorprese e curiosità potremmo incontrare, ma è già così difficile conoscere e comprendere la realtà del presente, che è più saggio lasciare alla fantasia tutto lo spazio che merita.


martedì 24 dicembre 2019

Il tempo delle fiabe

In ciascuno di noi c'è un bambino che aspetta di sentir raccontare una fiaba...





Hans Christian Andersen è il mio autore di fiabe preferito, perché anziché ispirarsi ai racconti popolari, crea le sue storie traendo spunto dalla sua stessa infanzia , tutt'altro che felice. La sua famiglia era infatti di umili origini, la madre lavandaia, il padre calzolaio, e così povera da dover chiedere l'elemosina per vivere.
E' per questo che nelle sue storie c'è sempre un velo di tristezza, ma è ancora per questo che ha saputo parlare al cuore non solo dei bambini.
Andersen ha saputo intraprendere  la strada del riscatto, raggiungendo con le sue doti e il suo lavoro i vertici della fama e dell'agiatezza, proprio come accade al suo brutto anatroccolo, perché " non importa che sia nato in un recinto d'anatre; l'importante è essere uscito da un uovo di cigno."

Domani è Natale e il mio dono, per chi ci legge, è una fiaba di Andersen che capita a fagiolo e che si intitola "L'abete".




In mezzo al bosco si trovava un grazioso alberello di abete che aveva per sé parecchio spazio, prendeva il sole, aveva aria a sufficienza, e tutt'intorno crescevano molti suoi compagni più grandi, sia abeti che pini, ma quel piccolo abete aveva una gran fretta di crescere. Non pensava affatto al caldo sole né all'aria fresca, né si preoccupava dei figli dei contadini che passavano di lì chiacchierando quando andavano a raccogliere fragole o lamponi. Spesso arrivavano con il cestino pieno zeppo di fragole oppure le tenevano intrecciate con fili di paglia, si sedevano vicino all'alberello ed esclamavano: " Oh com'è carino così piccolo!" ma all'albero dispiaceva molto sentirlo.
L'anno dopo il tronco gli si era allungato, e l'anno successivo era diventato ancora più lungo; guardandone la costituzione si può sempre capire quanti anni ha un abete.
"Oh! se solo fossi grosso come gli altri alberi!" sospirava l'alberello " potrei allargare per bene i miei rami e con la cima ammirare il vasto mondo! gli uccelli costruirebbero i loro nidi tra i miei rami e quando c'è vento potrei dondolarmi solennemente, come fanno tutti gli altri:"
E non si godeva affatto né il sole, né gli uccelli o le nuvole rosse che mattina e sera gli passavano sopra.
Quand'era inverno e la neve brillava bianchissima tutt'intorno, arrivava spesso una lepre e con un salto si posava proprio sopra l'alberello. "Che noia! Ma dopo due inverni l'albero era così grande che la lepre dovette limitarsi a girargli intorno. "Oh! crescere, crescere, diventare grosso e vecchio, è l'unica cosa bella di questo mondo" pensava l'albero.
In autunno giunsero i taglialegna per abbattere alcuni degli alberi più grandi; questo accadeva ogni anno e il giovane abete, che ormai era ben cresciuto, rabbrividiva al pensiero di quei grandi e meravigliosi alberi che cadevano a terra con un fragore incredibile. I loro rami venivano strappati, così restavano lì nudi, esili e magri che quasi non si riconoscevano più, poi venivano messi sui carri e i cavalli li portavano fuori dal bosco.
Dove erano diretti? Che cosa ne sarebbe stato di loro? In primavera, quando giunsero la rondine e la cicogna, l'albero chiese:" Sapete forse dove sono stati portati? Non li avete incontrati?"
La rondine  non sapeva nulla, ma la cicogna sembrò riflettere un po', poi fece cenno col capo e disse: "Sì , credo di sì! Ho incontrato molte nuove navi, mentre tornavo dall'Egitto; avevano alberi maestri magnifici: immagino fossero loro, dato che odoravano di abete. Posso assicurarvi che erano magnifici, davvero magnifici!"
"Oh, se anch'io fossi abbastanza grande da andare per il mare! ma com'è poi in realtà questo mare, e a cosa assomiglia?"
"E' troppo lungo da spiegare!" rispose la cicogna andandosene.
"Rallegrati per la giovinezza!" dissero i raggi di sole.
"Rallegrati per la tua crescita, per la giovane vita che è in te!"
Il vento baciò l'albero e la rugiada riversò su di lui le sue lacrime, ma l'albero non riuscì a capire.


Quando si avvicinarono le feste natalizie, vennero abbattuti giovani alberelli, che non erano ancora grandi e vecchi come quell'abete, che non riusciva ad avere pace e voleva sempre partire. Questi alberelli, che erano stati scelti tra i più belli, conservarono i loro rami e vennero messi sui carri che i cavalli trascinarono fuori dal bosco.
"Dove vanno?" chiese l'abete " non sono più grandi di me, anzi ce n'era uno che era molto più piccolo. Perché conservano i rami? Dove sono diretti?"
"Noi lo sappiamo! Noi lo sappiamo!" cinguettarono i passerotti "abbiamo curiosato attraverso i vetri delle finestre, in città. Sappiamo dove vengono portati! Ricevono una ricchezza ed uno sfarzo inimmaginabili ! Abbiamo visto attraverso le finestre che vengono piantati in mezzo a una stanza riscaldata e decorati con le cose più belle, mele dorate , tortine di miele, giocattoli e molte centinaia di candeline!"
"E poi?" domandò l'abete agitando i rami "e poi? Che cosa succede dopo?"
" Non abbiamo visto altro. Ma era meraviglioso !"
" Magari sarò anch'io destinato a seguire quel destino splendente!" si rallegrò l'abete. " Ed è molto meglio che andar per mare. Che nostalgia! Se solo fosse Natale! Ormai sono alto e sviluppato come gli alberi che erano stati portati via l'anno scorso. Potessi essere già sul carro ! E nella stanza riscaldata con quello sfarzo e quella ricchezza ! e poi ? Poi succederanno cose ancora più belle, più meravigliose; altrimenti perché mi decorerebbero ? Deve succedere qualcosa di più importante, di più straordinario, ma che cosa? Come soffro ! Che nostalgia! Non so neppure io cosa mi succede!"
"Rallegrati con me!" dissero l'aria e la luce del sole " goditi la tua gioventù qui all'aperto !"



Ma lui non gioiva affatto. Cresceva continuamente e restava verde sia d'estate che d'inverno, di un verde scuro, e la gente che lo vedeva esclamava " Che bell'albero!"
Verso Natale fu il primo albero ad essere abbattuto. La scure penetrò in profondità nel midollo, l'albero cadde a terra con un sospiro, sentì un dolore, un languore che non gli fece pensare a nessuna felicità; era triste perché doveva abbandonare la sua casa, la zolla da cui era spuntato.
Sapeva bene che non avrebbe più rivisto i vecchi e cari compagni, i piccoli cespugli e i fiorellini che stavano intorno a lui, e forse neppure gli uccelli. La partenza non fu certo una cosa piacevole.
 L'albero si riprese solo mentre veniva scaricato con gli altri alberi, quando udì esclamare :" Questo è magnifico! Lo dobbiamo usare senz'altro!"
Giunsero due camerieri in ghingheri che portarono l'abete in una grande sala molto bella.
Tutt'intorno, sulle pareti, pendevano ritratti e vicino a una grande stufa di maiolica si trovavano vasi cinesi con leoni sul coperchio. C'erano sedie a dondolo, divani ricoperti di seta, grossi tavoli sommersi da libri illustrati e da giocattoli che valevano cento volte cento talleri, come dicevano i bambini. L'abete venne messo in piedi in un secchio di sabbia, ma nessuno  vide che era un secchio, perché era stato coperto di stoffa verde ed era stato messo su un  grosso tappeto a vari colori. Come tremava l'albero! Che cosa sarebbe accaduto? I camerieri e le signorine lo decorarono. Su un ramo pendevano  piccole reti ricavate dalla carta colorata; ognuna era stata riempita di caramelle. Pendevano anche  mele e luci dorate, che sembravano quasi cresciute sui rami. Poi vennero fissate ai rami più di cento candeline bianche rosse e blu. Bambole che sembravano vere, e che l'abete non aveva mai visto prima d'allora, dondolavano tra il verde. In cima venne posta una grande stella fatta con la stagnola dorata; era proprio meravigliosa.
"Questa sera!" esclamarono tutti " questa sera deve splendere!"






"Fosse già sera!" pensò l'albero " se almeno le candele fossero accese presto! Che cosa accadrà? Chissà se verranno gli alberi del bosco a vedermi? E chissà se i passerotti voleranno fino alla finestra? Forse metterò radici qui e resterò decorato estate e inverno !"
Sì! ne sapeva davvero poco ! ma gli era venuto il mal di corteccia per la nostalgia, e il mal di corteccia è fastidioso per un albero come lo è il mal di testa per noi.
Finalmente vennero accese le candele! Che splendore, che magnificenza ! L'albero tremava con tutti i suoi rami fin ché una candelina appiccò il fuoco al verde. Che dolore!
"Dio ci protegga !" gridarono le signorine e subito spensero la fiamma.
Ora l'albero non osava neppure tremare. Che tortura! Aveva una gran paura di perdere qualche parte del suo addobbo ed era turbato per tutto quello sfarzo. Si aprirono i due battenti della porta e una quantità di bambini si precipitò nella stanza, sembrava quasi che volessero rovesciare l'albero. Gli adulti li seguirono con prudenza, i piccoli si azzittirono, ma solo per un attimo, poi gridarono nuovamente di gioia, facendo tremare tutta la casa. Ballarono intorno all'albero e tolsero, uno dopo l'altro, tutti i regali.
" Che cosa fanno?" pensò l'albero " Che succede?" Intanto le candele bruciarono fino ai rami, e man mano che si consumavano, vennero spente. Poi i bambini ebbero il permesso di disfare l'albero.
Gli si precipitarono contro con tale veemenza che l'albero sentì scricchiolare tutti i rami. Se non fosse stato fissato al soffitto con la stella dorata si sarebbe certamente rovesciato.
I bambini gli saltellavano intorno coi loro magnifici giocattoli. Nessuno guardò più l'albero, eccetto la vecchia bambinaia che curiosò tra le foglie per vedere se era stato dimenticato un fico secco o una mela.
"Una storia! Una storia!" gridarono i bambini trascinando un signore piccoletto ma robusto verso l'albero. Lui vi si sedette proprio sotto e disse:" Adesso siamo nel bosco, e anche l'albero farebbe bene ad ascoltare! Comunque racconterò solo una storia. Volete quella di Ivede-Avede o quella di Klumpe-Dumpe che cadde giù dalle scale, salì sul trono e sposò la principessa?"
" Ivede-Avede" gridarono alcuni, "Klumpe-Dumpe" gridarono altri. Fu un grido solo  e solo l'albero se ne stette zitto a pensare. " Non posso partecipare anch'io? Non posso far più nulla ?" In realtà aveva già partecipato e fatto la parte che gli spettava.
L'uomo raccontò la storia di Klumpe-Dumpe che cadde giù dalle scale, salì sul trono e sposò la principessa; i bambini batterono le mani e gridarono:" Racconta, racconta". Volevano sentire anche quella di Ivede-Avede, ma fu raccontata solo la storia di Klumpe-Dumpe.
L'albero restò fermo a pensare per tutta la notte.
 
Il mattino dopo entrarono il cameriere e la domestica. "Adesso ricomincia la festa!" pensò l'albero; invece lo trascinarono fuori dalla stanza, su per le scale fino in soffitta e lo misero in un angolo buio dove non arrivava neanche un filo di luce. "Che significa!?" pensò l'albero. "Che cosa faccio qui? che cosa posso ascoltare da qua?". Si appoggiò al muro e continuò a pensare. Di tempo ne aveva, passarono giorni e notti e nessuno venne lassù; quando finalmente venne qualcuno, fu solo per posare delle casse in un angolo. L'albero era ormai nascosto, si poteva pensare che fosse stato dimenticato.
"Adesso è inverno là fuori" pensò l'albero." la terra è dura e coperta di neve. Gli uomini non potrebbero ripiantarmi, per questo devo rimanere al riparo fino a primavera. Che ottima idea! Come sono bravi gli uomini! Se solo qui non fosse così buio ed io non fossi così solo! Non c'è neppure una piccola lepre! Invece era proprio bello nel bosco quando c'era la neve e la lepre mi passava vicino. Sì, anche quando mi saltava sopra, ma allora non mi piaceva. Qui invece c'è una solitudine terribile!"
 
"Pì! Pi!" esclamò un topolino proprio in quel momento e saltò fuori. Subito dopo ne uscì un altro. Fiutarono l'abete e si infilarono tra i rami.
" Fa un freddo tremendo" dissero i topolini. "Se non fosse per questo freddo, si starebbe bene qui! Non è vero, vecchio abete?"
" Non sono affatto vecchio!" replicò l'abete. "Ce ne sono molti che sono più vecchi di me!"
" Da dove vieni?" gli chiesero i topolini " e che cosa sai?" Erano infatti terribilmente curiosi. Raccontaci del posto più bello della terra! Ci sei stato? Sei stato nella dispensa dove c'è il formaggio sugli scaffali e i prosciutti pendono dal soffitto, dove si balla sulle candele di sego, dove si arriva magri e si esce grassi ?"
" Non lo conosco !" rispose l'albero "ma conosco il bosco, dove splende il sole e dove gli uccelli cinguettano" e così raccontò della sua gioventù, e i topolini non avevano mai sentito nulla di simile, così lo ascoltarono attentamente e poi dissero:" Oh! Tu hai visto molto ! come sei stato felice!".
"Io?" esclamò l'abete, pensando a quello che raccontava. "Sì, in fondo sono stati bei tempi!" poi raccontò della sera di Natale, di quando era stato addobbato con dolci e candeline.
"Oh!" esclamarono i topolini " come sei stato felice, vecchio abete !"
"Non sono per niente vecchio! " rispose l'albero. " Sono venuto via dal bosco quest'inverno! Sono nell'età migliore, ho solo terminato la crescita!"
" Come racconti bene !" gli dissero i topolini, e la notte dopo ritornarono con altri quattro topolini che volevano sentire il racconto dell'albero; e quanto più raccontava, tanto più chiaramente ricordava tutto e pensava: " Erano proprio bei tempi ! Ma ritorneranno, ritorneranno !Klumpe- Dumpe cadde dalle scale e ebbe la principessa, forse anch'io ne sposerò una" e intanto pensava ad una piccola e graziosa betulla che cresceva nel bosco e che per l'abete era come una bella principessa.
"Chi è Klumpe-Dumpe ?" chiesero i topolini e l'abete raccontò tutta la storia; ricordava ogni parola e i topolini erano pronti a saltare in cima all'albero per il divertimento. La notte successiva vennero molti più topi e la domenica giunsero persino due ratti; ma dissero che la storia non era divertente e questo rattristò i topolini che pure, da allora, la trovarono meno divertente.
" Lei conosce solo questa storia?" chiesero i ratti.
"Solo questa !" rispose l'albero "la sentii durante la serata più felice della mia vita, ma in quel momento non capii quanto era felice."
"E' una storia veramente brutta! Non ne conosce una sulla carne e sulle candele di sego? O sulla dispensa ?"
" No!" rispose l'albero.
"Ah, allora grazie!" dissero i ratti e si ritirarono.
Anche i topolini alla fine scomparvero e allora l'albero sospirò :" Era molto bello quando si sedevano intorno a me, quei vispi topolini, e ascoltavano i miei racconti. Adesso è finito anche questo! Ma devo ricordarmi di divertirmi quando uscirò di qui."
Che successe invece? Ah,sì! una mattina presto giunse della gente a rovistare in soffitta. Le casse vennero spostate e l'albero fu tirato fuori, lo gettarono senza alcuna cura sul pavimento e subito un cameriere lo trascinò verso le scale dove arrivava la luce del sole.
"Ora ricomincia la vita!" pensò l'albero, che sentì l'aria fresca e il primo raggio di sole. E così si ritrovò nel cortile: tutto accadde così in fretta che l'albero non si accorse neppure del suo aspetto: c'era tanto da vedere tutto attorno. Il cortile confinava con un giardino che era tutto fiorito, le rose pendevano fresche e profumate dalla ringhiera, i tigli erano fioriti e le rondini volavano tutto attorno e dicevano : "Kvirre-virre-vit", è arrivato mio marito !" ma non si riferivano all'abete.
"Adesso voglio vivere!" gridò lui pieno di gioia e allargò i rami, oh ! erano tutti gialli e appassiti; e lui si trovava in un angolo tra ortiche e erbacce; ma la stella di carta dorata era ancora al suo posto e brillava al sole.
 
 

Nel cortile stavano giocando alcuni di quegli allegri bambini che a Natale avevano ballato intorno all'albero e ne erano stati tanto felici. Uno dei più piccoli corse a strappare la stella d'oro dall'albero.
" Guarda cosa c'è ancora su questo vecchio e brutto albero di Natale!" disse, e cominciò a pestare i rami che scricchiolarono sotto i suoi stivaletti.
L'albero guardò quegli splendidi fiori e quella freschezza del giardino, poi guardò sé stesso e desiderò di essere rimasto in quell'angolo buio della soffitta. Pensò alla sua gioventù passata nel bosco, alla divertente notte di Natale, e ai topolini che erano così felici di aver sentito la storia di Klumpe-Dumpe.
" Finito! finito!" esclamò il povero albero. "Se almeno mi fossi rallegrato quando potevo! Finito! finito!"
Il cameriere sopraggiunse e tagliò l'albero in piccoli pezzi e ne fece unfascio. Come bruciò bene sotto il grande paiolo; sospirava profondamente e ogni sospiro sembrava una piccola esplosione; attratti da quegli scoppi, i bambini che stavano giocando accorsero e si misero davanti al fuoco e, guardandolo, gridarono: "Pif-pof!", ma a ogni crepitio, che era per lui un sospiro profondo, l'albero ripensava a un giorno d'estate nel bosco, a una notte d'inverno quando le stelle brillavano nel cielo, alla notte di Natale e a Klumpe-Dumpe, l'unica storia che aveva sentito e che sapeva raccontare. E intanto si era consumato tutto.
I bambini ripresero a giocare nel cortile e il più piccolo si era messo al petto la stella dorata che l'albero aveva portato nella serata più felice della sua vita; ora questa era finita, e anche l'albero era finito, e così anche la storia: finita, finita,, come tutte le storie.





lunedì 12 agosto 2019

Una storia d'amore

Adoro le storie d'amore....quando ne trovo una, la rubo e poi la condivido.



Dalla pagina facebook di Carmelo Abbate









Lei è Margaret. Lei è una signora distinta. È medico di base, vive nel Regno Unito, a nord di Londra. È il 1992. Parte per una vacanza in Marocco. Si affida a una guida. Sono in gruppo. La guida parla, racconta. Lei è incantata. Non ha mai sentito una voce così bella. Si volta. Lo osserva. I loro sguardi si incrociano. Si toccano. Lui è Oswald. Lui era un attore inglese. Ha girato film e serie tv. Lui ha prestato la sua voce al famoso annuncio “Mind the gap”, “Attenzione al vuoto”, che ricorda lo spazio fra treno e banchina nelle stazioni della metropolitana di Londra. Margaret e Oswald si amano. Vanno a vivere insieme. Si sposano. Vivono anni meravigliosi. È il 2007. Lui muore. Lei è persa. Sola. Il suo amore per Oswald era totalizzante. Ogni giorno Margaret esce di casa, va in stazione, si siede su una panchina e ascolta la voce del suo Oswald. Lui parla. Lei ricorda, rivive, sorride, si commuove. Se deve prendere un treno, aspetta quello successivo. La voce di Oswald le scalda il cuore. È il novembre del 2012. Margaret è seduta sulla panchina. Arriva il convoglio, accenna un sorriso pregustando il suono familiare delle parole del marito. Parte l’annuncio. Non è lui. Non è la voce di Oswald. È un suono quasi metallico. Impersonale. Anche le parole sono cambiate. Margaret scoppia in lacrime. È devastata. Si sente a pezzi. Il giorno dopo scrive una lettera ai gestori della metropolitana. Scopre che il vecchio annuncio è stato sostituito da uno digitale ricreato al computer. Margaret richiede una copia di quello registrato dal marito tanti anni prima. Vuole riascoltarlo a casa, ogni volta che ne ha voglia. Il direttore della Transport of London legge la lettera della signora Margaret McCollum. Rimane colpito. Emozionato. Regala la copia registrata alla donna, e ripristina l’annuncio originale nella stazione di Embankement. Ancora oggi, se vi capita di fermarvi in quella stazione di Londra, potete sentire la voce di Oswald Lawrence ripetere “Mind the gap”.













giovedì 7 febbraio 2019

Pattini d'argento

Oggi voglio rinfrescarmi la memoria con un racconto che era di moda quando ero bambina, un racconto tipicamente invernale che parla, come sempre a quei tempi, della bontà premiata.







Hans Brinker è un ragazzo di quindici anni, povero, ma buono e onesto, che vive nei Paesi Bassi con la madre e la sorellina Gretel. Entrambi sognano di partecipare alla prestigiosa corsa sui pattini da ghiaccio che si tiene a dicembre sul canale (e il cui premio in palio sono un paio di pattini d'argento), ma hanno poche chance per via dei loro modesti pattini in legno.

Il padre di Hans e Gretel, Raff Brinker, in seguito alla caduta da una diga sul lavoro, ha battuto la testa e ha perso la memoria; vive come in trance, con frequenti accessi di violenza. Per questo la moglie e i figli devono lavorare per vivere e sono malvisti dalla comunità per la loro misera condizione. Un giorno Hans si imbatte nel famoso chirurgo Boekman e, pur consapevole che si tratta di un medico costoso, lo prega di visitare suo padre. Il dr. Boekman, diventato burbero in seguito alla morte della moglie e alla scomparsa del figlio, rimane colpito dal ragazzo, che gli ricorda suo figlio, e accetta di vedere il sig. Brinker. Diagnosticherà una commozione cerebrale, che potrà essere curata solo con una rischiosa e costosa operazione.

A questo scopo, Hans sacrifica il denaro risparmiato per comprarsi dei pattini di acciaio. Il medico, commosso, esegue l'operazione gratis. In tal modo, Hans può comprare per sé e per Gretel un paio di pattini adatti per partecipare alla gara. Gretel vincerà la corsa, mentre Hans rinuncerà per aiutare un amico con un pattino rotto. L'operazione riesce e il sig. Brinker torna il padre e marito affettuoso che era prima dell'incidente. Le sorti della famiglia migliorano anche economicamente, grazie al miracoloso ritrovamento dei risparmi dell'uomo, che si credevano perduti o rubati. Il dr. Boekman ritroverà anche suo figlio con l'aiuto dei Brinker.

I genitori di Hans e Gretel vivranno ancora felicemente a lungo. Il dr. Boekman aiuta Hans ad entrare in una scuola di medicina, e  il ragazzo diventa un grande medico.


Che bello pattinare, ad ogni età, in ogni epoca e con qualsiasi grado di abilità!