domenica 30 novembre 2014

Bevande antifreddo


Natale si avvicina e, con il freddo, arrivano anche i mercatini dove andare a curiosare tra dolci e prodotti artigianali da regalare agli amici. Una delle caratteristiche che amo di più nei mercatini natalizi è il profumo di vin brulè che serpeggia per le strade e che sembra riscaldare corpi e anime. Io sono astemia, quindi mi accontento del profumo di spezie perchè il tè natalizio che ho provato un paio di volte, non mi è proprio piaciuto. Non ha nemmeno profumo... I chiodi di garofano, invece, uniti all'arancia e alla cannella ti penetrano fino in fondo al cuore.








Il vin brulé (anche noto come Glühwein, dal tedesco, Vin Chaud in francese, Mulled Wine in inglese) è una bevanda calda a base di vino, zucchero e spezie.

Il predecessore del vin brulé è il conditum paradoxum dell'anichità.

Nel Medioevo invece si consumavano vini speziati freddi, come l'Ipocras (sinonimo di ippocrasso), e che somigliavano al moderno vin brulé per le spezie usate e per il sapore.

Il costume di bere del vino cotto si diffuse soprattutto tra le popolazioni alpine o comunque dei paesi europei freddi. Successivamente, si diffuse positivamente in tutto il mondo, laddove occorre affrontare gelide giornate con una gradevole e confortante bevanda calda.
Il vin brulé si prepara riscaldando vino rosso (nella versione tradizionale) o vino bianco, aggiungendo quindi zucchero a piacere e diverse spezie, di base cannella e chiodi di garofano. In alcuni casi vi si aggiungono facoltativamente delle scorze di limone, anice stellato, e/o qualche spicchio di mandarino.


Una variante è il vino speziato caldo all'inglese:







Ingredienti
Quantità per 2 litri:
2 clementine
1 limone
15 chiodi di garofano
1 stecca di cannella
1 pezzo di ginger da circa 3 cm pelato e tagliato a metà
150 g di zucchero
500 ml d'acqua bollente
2 bottiglie di vino rosso
Preparazione
Preparazione: 10 minuti › Cottura: 20 minuti › Pronta in:30 minuti

In una pentola grande grattare la scorza delle clementine e del limone. Pelare e fare a spicchi una clementina, infilare i chiodi di garofano nell'altra e tagliare il limone a metà. Mettere gli agrumi nella pentola. Aggiungervi la cannella ed il ginger.
Sciogliere lo zucchero nell'acqua bollente. Versare l'acqua nella pentola con gli agrumi e le spezie ed aggiungervi il vino. Incoperchiare e scaldare su fiamma molto bassa. Fare attenzione a non farlo bollire, deve semplicemente scaldarsi.
Per servire, filtrare il tutto in una caraffa pulita o mettere in una coppa e filtrare bicchiere per bicchiere quando si serve.

In Inghilterra:



Lo smoking bishop era considerato in epoca medievale un elisir di lunga vita. Questa bevanda è citata anche da Dickens, nel suo racconto A Christmas carol.
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Dall’Ottocento ci arrivano svariate ricette dettagliate per la preparazione dello “Smoking Bishop” dal sapore aspro e fruttato da addolcire a piacere


RICETTA:
6 grandi arance amare, 2 grandi limoni
8 chiodi di garofano
1 bottiglia (750ml) vino rosso
1 bottiglia (750ml) porto rosso
3 bastoncini di cannella
120 g di zucchero di canna
1/4 cucchiaino di zenzero in polvere
1/4 cucchiaino di cannella in polvere
1/4 cucchiaino di allspice ovvero pepe giamaicano (detto anche pimento)
1/4 cucchiaino di noce moscata

1/4 cucchiaino di noce moscata


PREPARAZIONE:
Il giorno prima : cuocere arance e limoni in forno su una teglia poco profonda (a 120 ° C e fino a quando sono marrone chiaro ovvero dopo circa un’ora e mezza) Eventuali succhi rilasciati durante la cottura vanno aggiunti al vino.
Steccare le arance e i limoni con i chiodi di garofano e metterle in una grande ciotola, con tutte le spezie in polvere e lo zucchero. Versare il vino rosso e mescolare bene per qualche minuto. Coprire e lasciare in un luogo caldo durante la notte o per 24 ore.

Il giorno dopo : tagliare le arance e limoni a metà e spremere tutto il succo nella ciotola del vino. Passare al setaccio, versare il tutto in una grande casseruola, e spremere bene tutta la polpa contro il setaccio adoperando un cucchiaio. Quindi aggiungere i bastoncini di cannella. Riscaldare il vino a fiamma alta e sobbollire per 5 minuti, poi abbassate il fuoco e aggiungere il porto e cuocere a fiamma bassa per altri 20 minuti. Negli ultimi due minuti alzare la fiamma per far “fumare” il vescovo.




SERVIZIO
Servire fumante in bicchieri resistenti al calore o tazze con spicchi di limone e arancia tagliati al momento.
Opzionale: ulteriore zucchero e grattatina di noce moscata








Altra bevanda alcoolica da bere calda è il punch, che esiste in diverse varianti: all'arancia, al mandarino, al limone o al sapore di qualche amaro, come la china o il rum.

La composizione originale del punch inglese (a sua volta versione meno rozza del grog) prevedeva cinque ingredienti (da cui il nome, derivato dal termine della lingua indi panca o pancha, "pugno" o "cinque"): tè, zucchero, cannella, limone e acquavite (oppure acqua bollente, succo di limone, rum delle Antille, spirito di noce moscata e arak, un distillato di vino di riso originario dell'Indonesia).




Ci sono poi le bevande calde sempre alcoliche, ma con l'aggiunta di uova.







L’eggnog o egg nog — conosciuto come lait de poule (letteralmente latte di gallina) nei paesi di lingua francese— è una bevanda alcolica tipica del periodo natalizio in Gran Bretagna,Stati Uniti, Canada e Lussemburgo, i cui ingredienti principali sono latte, uova, liquore (rum, brandy o whisky), noce moscata e altre spezie.

Il termine eggnog è composto da egg , "uovo" e nog, un termine antico inglese che indicava un tipo di birra molto forte.



3 Metodi di preparazione:

Eggnog semplice

4 Tuorli d'uovo
120 ml di Latte intero
120 ml di Panna per dolci
115 g di Zucchero

1/2 Cucchiaino di estratto di vaniglia
1/4 di Cucchiaino di cannella in polvere
1/4 di Cucchiaino di noce moscata
90 ml di Rum o Brandy

Eggnog tradizionale

12 Uova grandi
1,125 l di Latte
750 ml di Panna per dolci
300 g di Zucchero
Noce moscata q.b.
Bourbon, Brandy, Rum scuro
750 ml di Bourbon o Brandy
750 ml di Rum scuro

Eggnog leggero ghiacciato

2 Piccole uova
1/2 Cucchiaio di cannella
80 g di Nettare d'agave
360 ml di Latte di mandorle
90 ml di Cognac
90 ml di Rum
60 ml di Crema di sherry


Preparazione:

Versare il latte, il liquore e l'uovo in un recipiente e sbattere fino ad ottenere un composto omogeneo.
Aggiungere la noce moscata e lo sciroppo. Poi lasciar riposare in un recipiente o in vari bicchieri di vetro coperti da carta stagnola. Aggiungere preferibilmente il ghiaccio in parti non molto piccole, frantumato, nel drink.







Qui da noi, invece, si beve il bombardino.


Il bombardino è una bevanda a base di panna, zabajone caldo, brandy e caffè (la ricetta varia a seconda delle zone). Ha origini lombarde nasce a Livigno, ma è ormai diffuso in molte località sciistiche di tutta Italia.

Esistono tre varianti sempre a base di zabajone caldo:
Calimero (zabajone e caffè espresso),
Pirata (zabajone e rum),
Scozzese (zabajone e whisky).






E chi non ha mai assaggiato lo zabajone?



Lo zabajone – noto anche come zabaione o zabaglione – è una crema dolce e spumosa a base di tuorlo d'uovo, zucchero e vino o vino liquoroso.
Come nasce lo zabajone? Ci sono varie teorie:

Una di queste tradizioni racconta che sia stato "inventato" nel 1471 vicino a Reggio Emilia per una casualità. Si narra che il capitano di ventura Giovan Paolo Baglioni arrivò alle porte della città e si accampò. A corto di viveri mandò, com'era uso a quel tempo, alcuni soldati a razziare i campi dei contadini della zona. Il raccolto, però, fruttò ben poco e il Capitano Baglioni si ritrovò con uova, zucchero, qualche fiasca di vino e delle erbe aromatiche. In mancanza d'altro fece mescolare il tutto e lo diede ai soldati al posto della solita zuppa e questi ne furono entusiasti. Giovan Paolo Baglioni era popolarmente chiamato 'Zvàn Bajòun' e la crema ne prese il nome diventando prima 'Zambajoun', poi Zabajone e infine Zabaglione.


Un'altra tradizione, almeno altrettanto affermata, sostiene che questo preparato sia stato inventato, sempre nel XVI secolo, a Torino e chiamato dapprima crema di San Baylon e quindi semplicemente Sambayon (tuttora in piemontese lo zabaione si chiama sanbajon) per ricordare il francescano san Pasquale Baylòn, santo protettore di cuochi e pasticcieri.






Ma le più antiche fonti certe sullo zabaione arrivano da Mantova. È mantovana infatti, la più antica ricetta conosciuta, e si deve a Bartolomeo Stefani cuoco di corte della famiglia Gonzaga, eccola: «Per far un zambalione: Si pigliarà ova fresche sei, zuccaro fino in polvere libra una e meza, vino bianco oncie sei, il tutto si sbatterà insieme, e poi si pigliarà un tegame di pietra vitriato a portione della detta composizione, si mettarà due once di butiro a disfar nel tegame, quando sarà disfato si butterà la composizione dandogli fuoco sotto e sopra. Se si vorrà mettere nella composizione cannella pista se ne mettarà un quarto, se si vorrà ammuschiar conforme il gusto, avertendo però alla cottura che non si intostisca troppo. Puoi fare ancora il zambalione in questa maniera: pigliarai oncie due di pistacchi mondi, pellati e poi pistati nel mortaio e stemprali con il vino, che va fatto il zambalione, e questo zambalione serve assai per i cacciatori, perché alla mattina, avanti vadino alla caccia, pigliano questo; se per sorte perdessero il bagaglio possano star così sino alla sera; se può fare con il latte di pignoli, come di sopra, e per convalescenti, che non possono pigliar forza, si fa col seme di melone.»


Secondo alcune teorie, il nome zabajone potrebbe derivare da zabaja, bevanda dolce consumata in passato a Venezia e proveniente dalla costa illirica.

È tuttavia probabile che queste tradizioni siano almeno in parte romanzate e che, considerando la diffusione degli ingredienti e la loro semplice reperibilità, una crema simile allo zabaione fosse nota e diffusa in tempi ben più remoti: per esempio nel 1533 un dolce simile allo zabaione era servito, in forma ghiacciata, alla corte di Caterina de' Medici ed è probabile un'ascendenza ancora più antica.

Qualunque fosse la sua origine, la ricetta si diffuse ovunque, legandosi ai diversi vini liquorosi tradizionali (Porto, Marsala, Xeres, Rivesaltes), grazie alla maliziosa tradizione che lo pubblicizzò come rinvigorente nei giochi d'amore.





































































sabato 29 novembre 2014

Il gioco dell'oca







In questo periodo uno dei giochi che diverte maggiormente Beatrice è il gioco dell'oca. E per la verità ci si divertono anche i nonni perchè si tratta di un gioco semplice, divertente e la vincita è determinata soltanto dalla fortuna, tanto che, a volte, è molto difficile riuscire a far vincere la bambina, che si delizia di battere i grandi.
Il gioco dell'oca fa parte dei  giochi di percorso, una categoria di divertimenti molto antica e di cui sono noti esempi risalenti al terzo millennio avanti Cristo in Egitto, Iran e Iraq.







da http://www.prolocomirano.it/gioco_oca_mirano.asp:



Per la prima volta, all'epoca dei Medici, verso il 1580, appare il nome "Il nuovo e molto dilettevole giuoco dell'oca", ma la più antica stampa conosciuta del "gioco dell'oca" risale al 1640. Fu pubblicata a Venezia da Carlo Coriolani. Al centro vi è raffigurata una famiglia seduta attorno ad una tavola imbandita e nel bel mezzo un'oca arrosto. In alto sul bordo del foglio è scritto "Il dilettevole gioco di loca". Molto probabilmente da qui deriva il nome del gioco , secondo altri studiosi invece proviene dall'usanza dei giocatori di impiegare la vincita per comperare una bella oca. Certo è che questo gioco è molto antico come testimoniano documenti rinvenuti in tombe egizie e reperti cinesi.
 Rappresentava il concetto del bene (le oche) e del male (le avversità, gli ostacoli).
Le oche di "Meydum", IV Dinastia.
Il Cairo, Museo Egizio
Il gioco dell'oca è formato da 63 caselle (a volte il loro numero sale a 90) disposte a spirale e numerate da 1 a 63. Si gioca con due dadi. Le caselle occupate dalle oche sono 13 , ogni 5 e 4 caselle; qui il giocatore raddoppia il valore ottenuto dai dadi e avanza (l'oca porta fortuna !).Nelle caselle occupate dagli "accidenti" o pericoli, in totale 8 :il ponte al numero 6, l'osteria al 19, i dadi al 26, il pozzo al 31, il labirinto al 42, la prigione al 52, i dadi al 53, la morte al 58, ci si ferma per uno o più giri o si paga o si retrocede ..I giocatori muniti di contrassegno, dopo aver stabiliti il turno e la posta avanzano secondo il punteggio indicato dai due dadi tirati. Risulta vincitore chi arriverà per primo al 63.






Questo gioco semplicissimo, dove non è necessaria l'abilità ma solo la fortuna affidata ai dadi, permetteva la partecipazione di tutti giovani ed anziani, popolani, borghesi e nobili. Cosicché si diffuse rapidamente tanto che nel XVII° secolo aveva conquistato l'Europa. Molto conosciuto e molto giocato si prestò moltissimo ad essere trasformato in giochi diversi dove nelle caselle vuote si inserirono temi didattici, religiosi, storici, ecc.

Il modello base del gioco venne reinventato e adattato alle esigenze ed alle istanze del momento nelle varie epoche storiche. Si ebbero così il gioco delle civette, il gioco della guerra, il gioco del militare, il gioco della vita di Napoleone, delle favole di Esopo, del giro del mondo, del treno, fino al gioco del giro ciclistico d'Italia.



Il gioco dell'oca è talmente popolare, che in alcuni paesi si organizza ogni anno il gioco in piazza, anche con pedine viventi, come succede per gli scacchi a Marostica.
Uno dei paesi di cui parlo è Mortara, in provincia di Pavia




Il palio di Mortara è una competizione tra le sette contrade della città, basato sulla disputa di un gioco dell'oca vivente, i cui punteggi sono assegnati per mezzo del tiro con l'arco.
Si svolge annualmente, l'ultima domenica di settembre, nell'ambito della sagra del salame d'oca.
Come nella maggior parte dei palii, il premio assegnato ai vincitori è un drappo (generalmente dipinto da artisti locali), raffigurante un soggetto riguardante la città, il Patrono San Lorenzo o il gioco stesso.




Anche a Mirano, in provincia di Venezia, si fa una gran festa dell'oca  e questa festa è collegata a San Martino. Ecco cosa ho trovato sul sito di mirano:


La Compagnia dell'oca e la Festa dell'oca

Di tutto ciò è rimasto molto poco salvo il desiderio di impedire che tradizioni antichissime andassero completamente dimenticate e sepolte da nuove mode. Così va vista la riscoperta e il rilancio dei festeggiamenti a Mirano : quella che era una semplice festa paesana cominciò a fregiarsi di una certa "nobiltà storica". Nella ricerca di tutto questo materiale fu proprio Sandro Zara a riscoprire il vecchio detto: "CHI NO MAGNA OCA A SAN MARTIN NOL FA EL BECO DE UN QUATRIN" e subito gli venne in mente di rispolverare la vecchia tradizione di festeggiare il giorno di S. Martino mangiando l'oca. Così con un gruppo di amici, si trovò attorno ad un tavolo e tra un bicchiere e l'altro diedero vita alla Compagnia dell'Oca con un Comitato permanente il cui scopo è quello di organizzare i festeggiamenti di S. Martino con la grande cena dell'oca dell'11 novembre. Era nata la Festa dell'oca di Mirano nel lontano 1986.


Il comitato inoltre si riunisce ogni anno un mese prima della festa per decidere il tema della serata. Prendendo spunto da fatti, personaggi o avvenimenti della cronaca dedicò la serata ad esempio ai Tiepolo (Oca Rococò), alla Perestroika (La Perestroca), alla caduta della Repubblica di Venezia (Oca Serenissima), a Giacomo Casanova (Oca Casanova), o ancora al Giubileo (Oca Giubilante). E naturalmente seguendo il tema viene ideato anche il menu che potrà essere medioevale, settecentesco, ottocentesco tradizionale , ruspante , raffinato , ecc. ecc.
Son diventate ormai famose, tra i gastronomi, queste cene sempre completamente e rigorosamente a base d'oca. La "voglia d'oca", ha coinvolto tutti i miranesi e ormai anche molti "foresti" , che affollano i ristoranti della zona che propongono l'oca per tutta la settimana di S. Martino.








  Martino di Tours è il santo più popolare che la Francia abbia avuto nell'antichità e nel Medio Evo; fu il primo padre del monachesimo e grande apostolo delle Gallie. Nacque nel 316 d.c. a Sabaria in Pannonia. Figlio di un tribuno militare pagano, a quindici anni si arruolò nella guardia imperiale a cavallo.
A diciott'anni ad Amiens in Francia, avendo scorto un poverello intirizzito dal freddo che si appellava al buon cuore dei passanti, divise in due con un colpo di spada il suo mantello militare e ne diede metà al povero. Provocando così a seguito di quest'atto di carità, un breve miracoloso miglioramento del clima:"Estate di S. Martino". Fu battezzato ad Amiens lo stesso anno. Lasciò il servizio militare essendosi rifiutato di combattere contro i barbari ed iniziò studi teologici. A Poitiers fu consacrato diacono e poi prete. Dopo dieci anni fu eletto a voce di popolo Vescovo di Tours il 4 luglio 371. Diede notevole impulso alla vita monastica e nel 372 fondò la prestigiosa Abbazia di Marmotier, vicino a Tours, dove accorsero monaci, chierici e vescovi santi. Martino provvide alla conversione delle campagne pagane ; accompagnato dai suoi monaci, intraprese regolari spedizioni missionarie nelle quali predicava, convertiva, distruggeva i templi sostituendoli con chiese e introdusse le festività cristiane.
A parte la fama delle gesta miracolose, l'azione svolta da Martino nei 26 anni del suo episcopato fa di lui una delle figure più significative del cristianesimo. Morì a Candes l'8 novembre 397. Il suo corpo fu accompagnato a Tours da 2000 monaci, molte vergini e da un'immensa moltitudine di popolo e ivi fu sepolto l'11 di novembre data alla quale è commemorato. Con ciò praticamente incominciava il culto di questo grande santo, che divenne popolarissimo in tutto l'Occidente ed anche in Oriente. In Francia, Italia, Spagna, Inghilterra furono intitolate a lui chiese e parrocchie.

Leggende e tradizioni

La tradizione popolare ha fatto del Santo un personaggio diverso da quello che era stato, casto e semplice, attribuendogli il patronato della gioia disordinata dei giocatori, dei beoni, dei mariti ingannati. La data in cui cade la festa del Santo, l'11 Novembre, determina il significato e il carattere delle varie tradizioni popolari che hanno luogo in quel giorno. Esse possono ricondursi a due principali motivi inspiratori:
In quei giorni si compie la svinatura, occasione perciò di festose ed abbondanti libagioni e di conviti.
- Lo stesso S. Martino è rappresentato come ubriaco nell'atto di dar bastonate senza misericordia.
- Tra i cibi di rito sono in Italia il tacchino e la cicerchiata (ciambella di pasta dolce), in Germania l'oca, inoltre si preparano dolci da inzuppare nel vino ( i sammartini).

Il giorno del Santo segna, specialmente nei paesi di clima freddo, l'inizio dell'inverno onde si hanno usanze simili a quelle del 1° gennaio o del Carnevale portando un risveglio di vita nei villaggi.
- Nell'Italia settentrionale l'11 nov. è una delle date tradizionali per la scadenza dei contratti agrari.
- Secondo un proverbio l'estate di S. Martino durerebbe tre giorni; secondo un altro proverbio se piove a S. Martino pioverà per altri quaranta giorni.
- Fin dal 1700 era d'uso in Francia festeggiare l'arrivo dell' inverno l'11 novembre, giorno di S. Martino, mangiando un'oca.    


Affonda nei secoli bui la tradizione di cibarsi dell'oca nel giorno di S. Martino. L'oca costituì assieme al maiale la riserva di grassi e proteine durante l'inverno del povero contadino che si cibava quasi sempre solo di cereali e di grandi polente. Dopo gli egiziani sentiamo parlare dell'oca da Omero che ci narra che i Greci tenevano l'oca come allegro compagno d'infanzia, come guardiano . Anche i romani tenevano in grande considerazione le oche che servivano da guardiani notturni del tempio della dea Giunone nel Campidoglio. Le oche venivano ingrassate con fichi secchi provenienti dalle regioni meridionali per rendere il fegato bello grasso. I romani chiamavano "iecor" il fegato e "iecor ficatum" quello grasso , da cui l'italiano "fegato".
L'oca fu sempre allevata anche nel periodo medioevale nei monasteri e nelle famiglie dei contadini, come ordinava Carlo Magno. A favorire la diffusione dell'oca furono attorno al 1400 alcune comunità ebraiche di rito aschenazita che si stabilirono, provenienti dall'Europa del nord, nelle regioni settentrionale della penisola e quindi anche nel Veneto . Per motivi religiosi non potevano consumare carne di maiale, così i loro macellai preparavano deliziosi salami e prosciuttini d'oca. L'oca era cibo prediletto dalle ricche famiglie ebree sul finire dell'ottocento. Risulta che fra i barbari che saccheggiarono Roma nel 390 a.C., sotto la guida di Brenno , il palmipede era pure "simbolo dell'aldilà e guida dei pellegrini, ma anche della Grande Madre dell'Universo e dei viventi. La zampa dell'oca veniva usata come "marchio" di riconoscimento dai maestri costruttori di cattedrali gotiche che si chiamavano "Jars" che in francese vuol dire oche.


Quella dell'11 nov. era una festa pagana di origine antichissima , già della tradizione celtica, entrata a far parte delle feste cristiane grazie a S. Martino. Questo periodo dell'anno fin dalla tradizione più antica dedicato a S. Martino è sempre stato collegato alle oche. La leggenda racconta infatti che Martino, nonostante l'elezione a furor di popolo a Vescovo di Tours, non voleva abbandonare il saio e cercò di nascondersi, ma furono proprio le oche a stanarlo e così divenne vescovo amatissimo di Tours e poi Santo per la sua bontà nei confronti dei poveri. Secondo alcuni però la tradizione di mangiar l'oca ai primi di novembre non è altro che la conseguenza del fatto che in questo periodo le oche selvatiche migrano verso sud e quindi è più facile cacciarle. Nel secolo scorso e fino ai primi del Novecento l'oca era anche mezzo di scambio. Con essa fittavoli e mezzadri pagavano ai nobili proprietari terrieri una parte del dovuto. Oppure si recavano al mercato e scambiavano le oche con stivali come ricorda la fiera di S. Andrea a Portogruaro nel Veneto , detta "Fiera delle oche e degli stivali".
Non vanno dimenticati i detti : "Oca, castagne e vino, tieni tutto per S.Martino", oppure il venetissimo "Chi no magna oca a S. Martin no'l fa el beco de un quatrin". Questo spiega che la ricorrenza di S. Martino era una specie di capodanno contadino nel corso del quale si festeggiava. Per la nostra tradizione contadina , più semplicemente, l'oca era considerata il maiale dei poveri.   
      

Castelli del Galles : Castell Coch

Lo chiamano anche "castello rosso" per via della colorazione delle sue  mura, specialmente all'ora del tramonto.




Il Castell Coch, che in lingua gallese significa appunto "Castello Rosso", sorge in un villaggio non lontano da Cardiff, arroccato su ripide rocce e immerso nei boschi.
Benchè costruito sulle rovine di una preesistente fortezza del 1240-1265 fatta costruire dal normanno Gilbert de Clare, il castello, edificato tra il 1875 e il 1890 su progetto dell'architetto William Burges, può considerarsi relativamente moderno, un mix tra il tipico gusto di epoca vittoriana per lo stile gotico e le enormi ricchezze di John Patrick Crichton-Stuart, terzo marchese di Bute.


 

Non si hanno molte notizie sulla storia del castello originale, ma pare che Gilbert de Clare l'abbia fatto costruire insieme ad altre fortezze nel Galles del Sud per difendersi dagli attacchi  nemici durante la lotta intestina tra alcuni signorotti della zona.

Il castello aveva forma triangolare, con mura curve che univano tra loro tre torri d'angolo circolari, formando un piccolo cortile interno ovale.
Pare che il castello abbia continuato ad esistere fino al XIV secolo, quanto fu danneggiato da un grande incendio e ridotto in rovina.


Verso la fine dl XIX secolo le rovine divennero proprietà del 3° Marchese di Bute, uno dei più ricchi uomini al mondo.
Lord Bute aveva guadagnato le sue ingenti ricchezze con le risorse minerarie dei suoi possedimenti di Glamorgan e aveva già ingaggiato dal 1866 l'architetto William Burges per restaurare l'altra sua proprietà, il castello di Cardiff.




  Gli interni furono creati con opulenza: affreschi alle pareti, intarsi di legno, vetrate multicolore, dorature e stucchi senza risparmio.







 





 La camera da letto di lady Bute presenta delle pareti con 28 pannelli che raffigurano scimmie e il letto reca sfere di cristallo sulle colonne.
 



La Parche

St.David, il santo patrono del Galles.

Scene dalle favole di Esopo



Il castello non era stato concepito, né probabilmente intendeva esserlo, come dimora abituale e infatti le visite della famiglia erano infrequenti.
Oggi questo castello delle fate è gestito dal Welsh Historical Monuments.
 


 
Dimenticavo....
Come ogni castello che si rispetti anche Castell Coch ha il suo fantasma : pare si tratti di un cavaliere Realista che durante la Guerra Civile aveva nascosto un ingente tesoro nei sotteranei del castello e che ora torna ogni notte per controllare che nessuno abbia toccato ciò che gli appartiene per sempre.



venerdì 28 novembre 2014

Angelo: gli angeli della Brundage

Anche di Frances Brundage vi avevo già parlato, esattamente qui: http://ilclandimariapia.blogspot.it/2013/05/frances-brundage.html, ma poichè Angelo ne ha parlato curando l'aspetto "Angeli", vi propongo il suo articolo e le sue immagini , che sono diverse da quelle scelte da me, ma che meritano di essere guardate.

Gli Angeli di Frances Brundage



Frances Isabelle Lockwood (1854-1937) fu un'illustratrice americana nota per le sue belle bambine dipinte su cartoline, calendari, valentine. Ricevette fin dalla tenera età un'educazione artistica dal padre, architetto, incisore, miniaturista. A diciassette anni dovette incominciare a guadagnarsi la vita, quando il padre abbandonò la famiglia. Il suo primo lavoro fu l'illustrazione dei libri di L.M. Alcott.
Nel 1886 sposò l'artista William T. Brundage ed ebbe una bambina, che morì nel 1891 all'età di diciassette mesi.