mercoledì 31 maggio 2017

Il discobolo

Parliamo un po' di arte! E leggiamo qui:





Nel vasto capitolo dell’arte classica greca, il Discobolo di Mirone è tra i paragrafi che restano più impressi nella mente. I motivi risiedono nelle “istantanee” che la scultura ci induce a visualizzare sul grande periodo ellenico: l’amore degli antichi greci per la bellezza delle forme del corpo umano, il ricordo della nascita dei giochi olimpici, il culto per le competizioni sportive. Del resto, lo stesso Discobolo è da considerarsi come un’istantanea, una fotografia: nella sua staticità ritrae il momento esatto in cui l’atleta si accinge a scagliare il disco il più in alto possibile.



Anche se non si sa come la scultura originale sia andata perduta, secondo le ricostruzioni storiche alcuni dati sulla nascita del Discobolo sono quasi dati per certi: sarebbe stato fuso intorno al 455 a.C. per Sparta, una delle più influenti polis dell’antica Grecia, nota per i temibili guerrieri del suo esercito, e caduta secondo la leggenda per causa di una macchina da guerra a forma di cavallo.
Inoltre, è stato appurato che il Discobolo sia anche una delle massime espressioni dello “stile severo”—che si basava sulla ricerca sempre più dettagliata delle masse corporee—che lo scultore Mirone aveva abbracciato completamente. Lo si può notare nell’armonia ed equilibrio delle forme della scultura, rintracciabili in due grandi linee immaginarie. La prima linea è un’ampia curva che va dalla mano che regge il disco al piede quasi sospeso; la seconda è una serpentina che si estende dalla testa al piede che poggia a terra.








Fatte queste dovute premesse: come mai siamo venuti a conoscenza del Discobolo nonostante l’originale non esista più? Fortunatamente, perché nel corso dei secoli sono state realizzate copiose riproduzioni in materiali più resistenti del bronzo. Attualmente le due riproduzioni più fedeli all’originale, risalenti al II secolo d.C., sono ospitate al Museo nazionale romano di Palazzo Massimo.
La prima riproduzione è il “Discobolo Lancellotti” alta circa 123 cm. Si chiama così perché, dopo essere stato ritrovato nel 1781 sull’Esquilino, era entrato nella collezione di Palazzo massimo Lancellotti. Dopo quel periodo, durante la seconda guerra mondiale venne trasferito in Germania, per poi essere restituito definitivamente all’Italia nel 1948. La seconda riproduzione, invece, è il “Discobolo di Castelporziano”. Venne ritrovato nel 1906—purtroppo acefalo—tra i resti di una villa imperiale nella tenuta di Castelporziano.
Un’altra riproduzione, invece, si trova al famoso British Museum di Londra. Si tratta del “discobolo Townley“, alto circa 170 cm. Venne scoperto nella villa di Adriano a Tivoli nel 1791, e comprato successivamente dal collezionista e gentiluomo Charles Townley. La differenza con le altre riproduzioni consiste nel fatto che quest’ultima è di stile adrianeo: presenta i capelli più lunghi e presenta un ridotto tronco d’appoggio.




Curiosità: nelle Olimpiadi moderne il lancio del disco maschile è presente sin dalla prima edizione, mentre la gara femminile venne introdotta ai Giochi di Amsterdam del 1928.

martedì 30 maggio 2017

Le padelle dei romani


Ma non l'avrei certo mai pensato!!
Troppo interessante! Leggo qui: https://www.helloworld.it/cultura/gli-antichi-romani-cucinavano-le-padelle-antiaderenti







A scuola, studiando la storia, abbiamo imparato che all’ingegno degli antichi romani dobbiamo tanto. Le arterie stradali, gli acquedotti, la legge; le grandi opere architettoniche e d’intelletto sono prese come massima espressione civile e morale del nostro passato.
Non conosciamo ancora completamente la loro grande eredità culturale, e questa recente scoperta sta lì a confermare ancora una volta, se ce ne fosse ancora bisogno, la loro straordinaria lungimiranza. Non parliamo di imprese artistiche sovrumane, ma di un accorgimento piccolo ma straordinario che riguarda la loro e la nostra quotidianità. Parliamo di cucina e più in particolare di padelle.





Il team di archeologi dell’Università Orientale di Napoli, guidati da Marco Giglio, Giovanni Borriello e Stefano Iavarone, hanno scoperto delle speciali padelle antiaderenti, nell’antica città di Cuma, nei pressi di Napoli.
Cuma, ai tempi dei romani, tra le altre cose, veniva usata come officina specializzata nella produzione di recipienti per la cottura. Era loro uso stipare i resti della lavorazione e lì sono stati ritrovati 50mila pezzi: frammenti di coperchi, pentole e padelle rivestite da uno strato rosso antiaderente. Antico equivalente del politetrafluoroetilene che usiamo oggi.
Questi reperti risalgono a un periodo tra il 27 a.C. e il 37 d.C., durante i regni di Augusto e Tiberio. La testimonianza di questa trovata davvero geniale è contenuta in un antico ricettario, De Re Coquinaria, di Marco Gavio Apicio, che consigliava l’utilizzo di queste speciali pentole durante la preparazione di stufati di carne.





“Sembra che Cuma fosse il centro di produzione principale di queste pentole antiaderenti, ampiamente utilizzate in tutto l’impero romano”, ha detto uno dei ricercatori a Discovery News: “Trovare una discarica come questa è il sogno di ogni archeologo”.
Per ora è stata recuperata soltanto una piccola parte del materiale contenuto nel deposito, chissà che lì dentro non ci sia anche altro materiale di inestimabile valore.



lunedì 29 maggio 2017

The Chelsea Flower Show

Anche quest'anno, come succede puntualmente dal 1913( a parte le interruzioni nel corso delle due guerre mondiali) nella seconda metà di maggio, si tiene a Londra il Chelsea Show Garden, una delle manifestazioni del settore più antiche e frequentate al mondo.

L'evento, organizzato quest'anno dal 23 al 27 maggio dalla Royal Horticultural Society , non è un'attrazione solo per gli amanti della botanica, ma è parte integrante della Stagione Sociale estiva londinese, dal momento che vi partecipano membri importanti dell'aristocrazia, della finanza e dello spettacolo.
Fu la regina Mery ad inaugurare per prima questa mostra nel 1913 e a visitarla personalmente, così come ha continuato a fare fino ad oggi la Regina Elisabetta, che il giorno prima dell'apertura al pubblico, nel corso di una Private View , accompagnata dalla royal family, passa in rassegna il meglio del giardinaggio mondiale.
La mostra, che si tiene nel vasto giardino del Royal Hospital a Chelsea, è divisa in varie sezioni, con caratteristiche e dimensioni diverse, con progettazioni tradizionali accanto a quelle più moderne e una giuria di esperti assegna ogni anno a ciascuna di esse una medaglia d'oro, una d'argento e una di bronzo, oltre ad altri riconoscimenti e premi speciali.
Tra i vari espositori non può mancare un floricultore che io amo particolarmente per le sue rose : David Austin; ed essendo un'affezionata e vecchia cliente del suo vivaio, ho ricevuto nei giorni scorsi dall'Inghilterra un bellissimo servizio fotografico sul padiglione allestito per l'occasione da questa azienda, vincitrice per molti anni della medaglia d'oro.
Ecco alcune delle immagini più belle. Sarebbe stato fantastico per me poter assistere personalmente all'evento, ma chissà un giorno forse....

domenica 28 maggio 2017

Amaretti

Ieri ho raccontato della mia gita durante la quale sono passata da Sassello, patria degli amaretti  e così mi è venuta voglia di scoprire i segreti di questi biscotti che possono essere morbidi o secchi e che possono essere preparati in modi differenti.
Da:https://lorenzovinci.it/magazine/recipe/amaretti-di-sassello-e-saronno-origini-calorie-ricetta-originale/

 Il biscotto amaretto si distingue tra la versione di Saronno, più asciutta e friabile, e quella di Sassello che è invece tradizionalmente morbida.





Gli amaretti di pasticceria sono diffusi pressoché in tutte le regioni italiane. Oltre alla Liguria, terra natale della versione di Sassello, molti dolci del basso Piemonte devono molto a questo biscotto: dal famoso bunet ai nocciolini di Chivasso, in tanti hanno sfruttato questa prelibatezza dolce-amara per preparazioni d’eccellenza. Oltre alla Lombardia i biscotti amaretti sono amati anche nel Lazio e in Toscana fino alla Sicilia, dove la mandorla –ingrediente principale- è un caposaldo della tradizione pasticciera.
Nonostante i mandorli siano alberi da frutto conosciuti e piantati in Europea fin dal Medioevo, la produzione di Amaretti di Sassello ebbe inizio nell’ 800. Molti contadini delle zone erano soliti piantare i mandorli per raccoglierne i frutti, ma soprattutto per abbellire i propri poderi. L’abbondanza di mandorle spinse così i produttori di Sassello a creare dei prodotti dolci di pasticceria a base di mandorle, e il successo riscontrato è certificato dall’ancora attuale gradimento e richiesta di questo biscotto.




Gli amaretti morbidi di Sassello: ricetta originale

Ingredienti

  • mandorle dolci sbucciate: 150 g
  • mandorle amare sbucciate: 50 g (oppure 200 di mandorle dolci e si mette meno zucchero)
  • 2 albumi d’uovo
  • zucchero semolato: 200 g
  • zucchero a velo

Preparazione

1- Tritare le mandorle e montare a neve gli albumi d’uovo
2- Incorporare al composto le mandorle e lo zucchero fino a che non si saranno sciolti tutti i grumi. L’impasto non deve essere liquido.
3- Dopo aver steso su un piano da lavoro lo zucchero a velo, creare con le mani la tipica forma degli amaretti.
4- Scaldare il forno ed infornare a 160° per circa 20 minuti (devono prendere colore ma attenzione a non bruciarli). 





Gli Amaretti di Saronno sono un tipo di biscotto amaretto cosiddetto duro o secco avente come unici ingredienti zucchero, armelline, albume. Essi sono originari della città di Saronno e sono prodotti dall'azienda dolciaria D. Lazzaroni &C., la quale detiene tuttora il marchio registrato "Amaretto di Saronno", nonostante questo venga spesso utilizzato per indicare genericamente qualunque tipo di amaretto duro.
Secondo la leggenda riportata dalla stessa ditta Lazzaroni, nel 1718 il Cardinale di Milano decise di recarsi in visita al Santuario della Beata Vergine dei Miracoli di Saronno. In onore della sua visita una giovane coppia preparò un impasto a base di zucchero, armelline e bianco d'uovo che, fatto lievitare in forno, diede origine a dei biscotti tondi che vennero chiamati Amaretti. Al di là della leggenda fu la famiglia Lazzaroni, che si era trasferita da Teglio a Saronno agli inizi del settecento, a farsi portabandiera di questa specialità dolciaria inizialmente nel piccolo laboratorio familiare, in seguito a livello industriale grazie alla fondazione della D. Lazzaroni & C. nel 1888.
  • I biscotti sono famosi per il loro incarto, fatto di carta velinache, se arrotolata, messa in piedi in un piattino e infiammata con un accendino, si mette a svolazzare lentamente verso l'altoalcuni si divertono a esprimere un desiderio che si realizzerebbe qualora la carta si mettesse a svolazzare.



Ricetta per fare gli Amaretti classici

Ingredienti

  • mandorle amare non spellate: 100 gr
  • mandorle non spellate: 150 gr
  • zucchero: 750 gr
  • albume: 3
  • bicarbonato d’ammonio: 0,5 gr

Ricetta e preparazione

1. Mescolate lo zucchero con il bicarbonato d’ammonio, poi mettetene metà nel mixer e unite tutte le mandorle, tritate questi ingredienti per un paio di minuti e poi aggiungete lo zucchero rimasto, e continuate a tritare fino ad avere una polvere sottile.
2. Mettete mandorle e zucchero tritati in una ciotola e poi unite gli albumi leggermente sbattuti con la forchetta, impastate bene tutto e poi formate delle palline, passatele nello zucchero semolato e man mano appoggiatele su una teglia coperta di carta da forno. Cuocete gli amaretti in forno preriscaldato a 170° C per 15 minuti.
3. Fate raffreddare gli amaretti e poi serviteli

Consigli

Per formare le palline conviene avere le mani bagnate, quindi mettete una ciotola piena di acqua vicino al piano di lavoro

sabato 27 maggio 2017

Una scappata in Francia

La ragione vera del viaggio era uno "stacco" necessario dallo stress accumulato di recente, mentre la scusa addotta era un salon de broderie a Puget sur Argens. Così giovedì dopo pranzo siamo partiti sotto un cielo grigio e poco invitante. Comunque già il fatto di metterci in macchina era rilassante...ce la siamo presa comoda evitando, dove possibile, l'autostrada. Usciti ad Ovada, abbiamo fatto il passo dei Giovi, con una sosta a Sassello, che avevamo scoperto l'anno scorso e ci era piaciuta.
A Sassello fanno dei dolci molto famosi:






ma quello che mi attira, più che gli amaretti, sono le scatole che li contengono...le avrei comperate tutte!
Senza cedere a tentazioni, siamo ripartiti dopo un buon caffè e siamo arrivati a destinazione: Vallecrosia di Bordighera, dove avevamo prenotato un B&B per due notti.  Ottima grigliata di pesce  e nottata molto buona.
La mattina finalmente c'è un cielo limpido col sole; partiamo per la nostra destinazione, ma anche oggi non facciamo tutta autostrada: vogliamo goderci l'Esterèl. 





All'andata la sua parte interna: una strada tutta curve fra boschetti di sugheri e pini marittimi, con un profumo di fresco nell'aria che invita a respirare a pieni polmoni. Poco traffico, paesaggio incantevole, qualche villa discretamente nascosta nel verde rende l'idea del buen retiro, dove riposare,studiare, passare il tempo in buona compagnia. Il paesaggio scorre via senza che mi venga nemmeno l'idea di fermarmi a fare qualche fotografia.
A Puget troviamo subito l'edificio dove si svolge la mostra perchè ci eravamo già stati anni fa.



Mostra piuttosto deludente....piccola, nessuna novità e poche cose interessanti. Me l'aspettavo! Ormai l'unica mostra del genere che vale la pena di andare a vedere è Fili senza tempo, a Formigine. Qui, devo dire, che essendo giorno feriale, c'è poca gente e si riesce a vedere bene ciascun banco con tutto quello che c'è esposto. La maggior parte degli espositori preferisce che non si facciano fotografie ravvicinate, quindi non posso fare un reportage dettagliato, tranne che per una piccola eccezione.
Pazienza! I lavori di mio gusto erano veramente pochi!








nemmeno le foto mi sono uscite bene....Due manufatti mi sono piaciuti, più per l'idea che esprimevano, che per la loro esecuzione: un intero libro di ricette tutte ricamate a punto croce, gran lavoro ma con colori poco vivaci e un libro in cui ogni pagina riportava una diversa lettera M, purtroppo ricamata in viola su un fondo grigio....piuttosto triste. Fosse stata nel tradizionale rosso su ecrù, sarebbe stato bellissimo!

Dopo pranzo, piccolo tour a Frejus, antica città romana e medievale.
 Frejus ha diversi ruderi che rimandano alla sua origine romana. Fondata sotto Giulio Cesare il suo porto accolse le navi di Antonio dopo la sconfitta di Anzio nel 31 d.C.
Resti del periodo romano sono l'arena, alcuni archi dell'acquedotto e il teatro.
Frejus ha anche un centro medievale, la Cité Episcopale, con la Cattedrale gotica e il palazzo vescovile.
L'orario è quello di chiusura, quindi vediamo poco o nulla.


foto da wikipedia


Poco male...si riparte verso la costa: decisamente affascinante! Le rocce rosse che si tuffano in un mare blu e verde che scintilla sotto il sole ci invitano a fermarci spesso e a fotografare un angolo dopo l'altro, l'acqua è trasparente, l'aria fresca, ci sono già delle persone che nuotano al largo. Mi dispiace che le foto non rendano assolutamente l'idea del tripudio di colori che avevo sotto gli occhi.
























Purtroppo non abbiamo calcolato che a Cannes c'è il festival del cinema! Accidenti, per attraversarla ci mettiamo un'eternità....ma finalmente arriviamo ad Antibes, dove vogliamo fare un giretto nella città vecchia













E' ora di rientrare, una doccia, un'altra cena a base di pesce, fritto misto questa volta, e un'altra dormita di quelle giuste.
Sabato mattina si parte per tornare a casa, abbiamo un impegno nel pomeriggio, comunque allunghiamo ancora il giro passando per il Col di Nava, famoso per la sua lavanda







e a pranzo? C'è un ristorante, dalle parti di Acqui terme, davanti al quale siamo passati molte volte senza poterci mai fermare perchè diretti a casa di amici e che ci ha sempre attirato. Questa volta non abbiamo impegni e finalmente lo proviamo: ne valeva decisamente la pena! Lo segnaleremo ai nostri amici che abitano da quelle parti e ci torneremo di sicuro con loro.