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lunedì 21 marzo 2016

Gita nel Kent


Gita a Canterbury e dintorni - di Donatella






Era dal lontano 1993 che non mettevo piede in Inghilterra e, quando mi si è prospettata l’opportunità di ritornarci, non me lo sono fatto dire due volte e mi son decisa a vivere questa avventura. … Avventura perché,consapevole di aver perduto completamente la pratica della lingua e di ricordare solo le regole grammaticali e sintattiche che non servono a niente, (ah se i miei alunni di allora pluri-martellati mi sentissero! ) tremavo all’idea di farmi prendere dall’ansia e dal disagio, soprattutto nel comprendere più che nel parlare… Beh non ero sola e in due l’impatto si affronta meglio …In due certo …e chi si sarebbe mai avventurato in terra straniera, dato il mio risaputo, scarso …ma che dico, assente, senso di orientamento? Quindi mi sono rilassata completamente e ho seguito in tutto e per tutto ogni passo della mia compagna di viaggio, una ragazza giovane, scattante, molto sicura di sé, innamorata come me dell’Inghilterra e alla quale avevo dato piena libertà di organizzare e di riempire al meglio quei cinque giorni che mi ero concessa di vivere ... un po’ delusa da chi aveva voluto restare a casa e non aveva voluto condividere con me questa esperienza…ma dopo poco, questa sensazione è passata,  insomma … che si arrangino tutti …io vado! E tornando al programma devo dire non ci siamo fatte mancare niente… nemmeno una sera al Marlowe Theatre a Canterbury ( mi raccomando si legge con accento su ‘a’ e non su ‘e’ come si sente sempre anche in tv perché la cosa mi fa innervosire e non poco).





La performance era Breakfast at Tiffany’s interprete una certa Pixie Lott che sembra sia famosa in Inghilterra come cantante. Allego alcune foto. 







 Certo chi ricorda la frizzantissima splendida Audrey difficilmente ce la fa a vedere nel suo ruolo una tipa completamente diversa che ricorda più la Marilyn… ma, a parte questo, è stato tutto molto piacevole, una bella esperienza che se non altro mi ha spinto a studiare…prima di partire mi sono letta il libro di Truman Capote in inglese,  ho annotato tanti modi di dire e poi mi sono rivista il film in lingua originale per essere pronta a cogliere la maggior parte delle battute. 










Avevamo deciso di non andare a Londra per evitare il caos e rilassarci. Cena e pernottamento sempre a Fordwich (Fordwich è, mi hanno detto, il paese più piccolo dell’Inghilterra )una manciata di case nel verde e nel silenzio dove abita una parente della mia amica che, insieme a lei, ha ospitato anche me …e il resto della giornata a Canterbury a soli 10 minuti di autobus; solo una volta sul mare a Whistable, un mare desolato come si vede dalla foto, l’unico pub che c’è, sembra fuori posto … non perché ora, "fuori stagione", il mare non sia sfruttato,  ma perché là siamo sempre fuori stagione …. Comunque devo dire che, anche se mi piace prendere il sole, ci farei la firma a vivere senza l’estate soffocante che usa da noi …un vero incubo almeno per me che dal caldo atroce non mi difendo.







Canterbury l’abbiamo ‘spulciata ‘ in lungo e in largo e secondo me è bellissima dappertutto. C’ero stata con i ragazzi durante le vacanze studio e avevo visitato la Cattedrale dove sono ritornata.
























 Io, mi rendo conto, non faccio testo perché l’Inghilterra così vicina a noi da raggiungere e così diversa, mi affascina. Non si tratta di esprimere giudizi o di far confronti …non sopporto chi li fa perché ogni posto ha il suo bello,  ma quello che io provo là è inspiegabile:  tutto mi dà benessere e quello che vedo intorno mi piace ..Mi ha sempre fatto questo effetto prima ancora di ragionarci sopra, me lo hanno confermato quei bucotti sotto pelle , quelle sensazioni epidermiche che ti avvisano prima di mettere a fuoco il contorno, cioè prima che la testa ne prenda completamente atto… che ci posso fare …a me succede questo …magari ad altri no…ognuno ha il suo mondo percettivo.








Se qualcuno mi dicesse …cosa ti manca di più ? Non vi mettete a ridere …vi dico Il Cimitero di Canterbury ….immmenso dove ci si perde, pieno di viali, panchine, alberi secolari, tombe non curate, povere, una croce e basta …qualcuna antica più lavorata..ma niente che ricordi il nostro business …niente forni, lumini, foto …una pace infinita …ho pensato che avrei potuto sdraiarmi in quel verde e lasciarmi avvolgere da quell’atmosfera impalpabile, passare una giornata su una panchina a leggere un libro… o gli innumerevoli epitaffi che avrei voluto ricopiare tutti … E poi si dice che gli Inglesi non sono romantici ? Leggete questa lapide Prima muore lui …. poi lei …e la frase si chiude ..bellissimo !







In questo cimitero c’è la tomba di Joseph Conrad, il famoso scrittore.
Questo cimitero è enorme, vero, ma ce ne sono tanti altri aperti che si vedono percorrendo le strade un po’ qua e là.

L’unico aspetto dell’Inghilterra che non sopportavo e che difficilmente riuscivo a superare: il cibo! Quegli odori abominevoli blehhh che riempivano l’aria. Ora è tutto diverso e devo dire che si mangia bene,   le persone si sono evolute e nelle case trovi di tutto grazie a MARK & SPENCER dove ce n’è per tutti i gusti … con un po’ di fantasia si possono creare piatti da far invidia ai nostri.  E molti locali ne sono la riprova.





In conclusione, tutto si può dire degli inglesi, ma non che non siano "formali" nelle scuse.....





Tutto passa e si consuma … sembrava così lontana la data della partenza ed è già finito tutto. Se non ci fossero i ricordi !!!!!

Donatella







giovedì 24 maggio 2012

Per non dimenticare - capitolo terzo



I tedeschi ci avevano visto bene ad accamparsi lì accanto, proprio nell ‘area dove c’erano i macelli pubblici, a due passi dalla nostra casa, lo credo, era come stare in un paradiso terrestre… non mancava niente.. dalle viti agli olivi e agli alberi da frutto di ogni  tipo.

Vi si accedeva alla sinistra del pollaio e si camminava per  metri e metri e tutto intorno c’era un pergolato fitto e ramificato  che aveva creato come una specie di galleria . 

Un’altra struttura in muratura era al centro dello spazio antistante la casa.

Si trattava di un vasto rialzo che accoglieva un grande tavolo tondo in cemento e, da una parte, il pozzo, e aveva per tettoia un altro pergolato fitto e rigoglioso con uva colombana e uva fragola.

Alzando gli occhi sembrava un quadro dipinto, avente per tela il cielo.

Ad essere sinceri, si era creata un’amicizia con quelli del campo… inevitabile, se ci si sveste dell’uniforme e si ragiona da esseri umani... basta non avere un cuore pietrificato..se poi c’è la complicità del  buon cibo e di un bicchiere di vino, il resto viene da sé.

Questo a dire il vero, ci dava un po’ di tranquillità.

C’era sempre un ragazzino di paese che faceva da  portavoce  e   avvertiva se c’era  pericolo o stava accadendo qualcosa .

Anche quel giorno si udirono parole come “I tedeschi !!

 I tedeschi rastrellano gli uomini.. Sono dal Cangia!”, prendendo a riferimento un punto preciso , dove appunto abitava questo Del Cangia.

In genere, per sicurezza, le volte precedenti, sia lo zio che il babbo si nascondevano alla velocità della luce dove nessuno avrebbe mai cercato,  cioè negli ingranaggi del mulino che ne consentivano un occultamento più che perfetto.

Le due macine di cui dicevo prima erano nella prima stanza ma stavano sopraelevate  su una specie di soppalco piuttosto alto.

Ai piedi di questo basamento, era stata ricavata nel muro una porticina alta circa 70 cm.

 Entrandoci si accedeva alla parte inferiore degli ingranaggi appunto e due persone, non particolarmente abbondanti nel peso, ci potevano stare e neanche troppo scomode.. ed era proprio il caso del babbo e dello zio materno.

Quella volta il babbo non si nascose perché non c’era .

Era a lavorare per  loro, a riparare il motore di una jeep .

Gli era stato detto: “Tu no.., tu qui.. lavorare per noi !”

Questo ci aveva fatto stare più tranquilli e… non potevamo credere ai nostri occhi… quando lo vedemmo arrivare affiancato da due tedeschi non  ben intenzionati, che  lo spingevano su per le  scale intimandogli di  raccogliere velocemente un  po’ di cose utili.

 Tra lo sbigottimento di tutti e la disperazione lancinante di mia madre,  io capii che me lo stavano portando via .
Si avvicina intanto uno del comando.. è costernato, dispiaciuto, blatera qualche parola: “Io piccolo comandante.. lui grande comandante..” indicando il tedesco suo superiore e stringendosi nelle
spalle, impotente “No colpa.. no colpa.. io amico.. voi aiutare…”

La situazione è tragica : mio padre, indifeso, mi appare ancora più magro.. capelli sfatti, l’aria un po’ disordinata ..

Lo rivedo nei suoi pantaloni di fustagno blu che per quei tempi potevano anticipare i  jeans di oggi e a fianco, nell’uniforme  grigioverde, i due aguzzini,  senza la minima emozione.

“Noi portare via” Sono le parole. E di risposta l’urlo di mia madre che buca l’aria: “Come?.. lo portate via ? Scappa Marinoooo ! Scappa !!!”  in un ripetere continuo, convulso.

E’ la frazione di un attimo...afferro la gamba del tedesco e la mordo con tutta l’incoscienza dei miei otto anni e la forza incredibile che il mio dolore  ha moltiplicato.

Un urlo tremendo…L’altro non ci pensa su, imbraccia il fucile e me lo punta .

Il nonno mi si para davanti e mi copre totalmente, poi grida con tutto il fiato che ha in gola :”Uccidete ME, non lei !”

Il  fucile si  abbassa e io sento le  braccia del  nonno protettive stringermi forte e le  mani scorrermi sui riccioli in mille carezze.

Non passa molto tempo.. Sono molto infastiditi e non consentono a mio padre neanche di radunare le sue cose.

 Anche Feroce, il nostro cane fedele, abbaia tutto il suo dolore.

Lo spingono sulla camionetta che, risalito il ponte, scompare sotto i nostri occhi.
 Ad inseguirli solo le nostre grida….  sempre più deboli




mamma e papà

domenica 20 maggio 2012

Per non dimenticare - capitolo secondo




Mio nonno era Paolino per tutti, Paolino il mugnaio. Massiccio nella corporatura, l’aria severa, sempre elegante con l’immancabile panciotto da cui fuoriusciva la catena dell’orologio, stava, così impeccabile, anche nella stanza del Buratto dove era impossibile non  essere contaminati dalla farina che vi regnava.



nonno Paolino

Capelli grigi, un volto disteso che non conosceva ancora i segni del tempo, bei lineamenti armonici, una figura di tutto rispetto.. bastava uno sguardo per sentirsi un po’ a disagio e per provare quella soggezione che impediva ogni slancio e soffocava ogni volontà di ritornare su argomenti trattati,  se qualcuno riteneva di dover aggiungere qualcos’ altro.

Ricordo ancora quando mi metteva alla prova e mi costringeva a vincere la paura del buio in quelle enormi stanze che erano al piano terra e dove, scendendo le scale interne, si poteva accedere attraverso un altro uscio ricavato nella parete, per evitare di  passare dal fuori.

Si trovava, per prima, l’enorme stanza delle macine e, attigua, un’altra stanza con altre due  macine .

Una parte era adibita ad ufficio con una scrivania in legno dove venivano tenuti i registri giornalieri delle entrate e delle uscite e sopra, una collezione di pipe, che il nonno teneva esposte, ma che usava .

Il profumo della farina fresca che aleggiava non l’ho più sentito  da  allora  e   se, come in  molte  memorie,  gli  odori sollecitano rievocazioni nitide, non sarebbe questo il caso perchè quel profumo è rimasto dentro di me e non è mai stato rievocato da niente di simile.

nonno Paolino con i butesi


Succedeva che, come accennavo prima, il nonno mi ordinasse di andare a prendergli la pipa e questo sempre tardi la sera…non si poteva replicare, bisognava farlo e subito, e una cosa era certa, non si poteva trasgredire.

Tremando come una foglia, scendevo la rampa di scala, aprivo quella piccola porta sulla sinistra  e dovevo scendere ancora altri scalini ricavati da enormi massi di sasso  irregolari, per niente agibili e impervi, per accedere alla prima stanza.  Poi dovevo attraversarla tutta ed entrare nell’altra dove stavano le pipe.. il tutto nel buio quasi totale e dove la poca luce  non faceva che accrescere le mie paure perché creava strani giochi di ombre che la mia fantasia di bimba trasformava regolarmente  in creature irreali e mostruose .
Era stato chiaro :”Prendimi  la seconda a partire da destra”.
 Ma ogni volta ,la pipa che gli portavo era quella sbagliata e lui ribadiva che avevo capito male..mi aveva detto quella a partire da sinistra.. oppure.. non la seconda…ma la terza. Era il suo gioco un po’ crudele ma anche tenero e così facendo mi rimandava giù sempre due volte perché io riuscissi a liberarmi delle mie paure .
Poi  la sua morale: “Di notte c’è quello che c’è di giorno!”
I suoi insegnamenti all’antica erano già allora un po’  'di altri tempi’  ma  lui  aveva la sua visione della vita e  teneva molto che le regole fossero rispettate.  Non imponeva mai niente che non fosse stato prima rappresentato  nella pratica e quando doveva puntualizzare qualcosa o sgridarmi, le
 parole erano poche ma essenziali.
Io non ero molto tranquilla, ne combinavo di tutti i colori e sfidavo il pericolo senza preoccuparmi troppo delle conseguenze…

Di episodi ce ne sarebbero tanti da raccontare ma uno non me lo posso dimenticare perché, se non fosse intervenuto il nonno, avrei sfiorato la tragedia.
Stavo bene in quel piccolo paradiso dove c’erano sempre cose nuove da scoprire, dove non ci si annoiava mai e si poteva correre e muoversi in quegli spazi aperti senza vederne i limiti.
Quella volta mi era venuta voglia di sguazzare coi piedi nella gora di legno…ma scivolai per la melmosità del fondo e la forza della corrente  cominciò a trascinarmi inesorabilmente.
La nonna si mise a gridare e  dalla finestra della stanza del grano, dove bastava affacciarsi e allungare una mano per toccare l’acqua, quella volta fu la presa sicura della mano del nonno ad afferrarmi in tempo, impedendo così che la ruota mi travolgesse .
Un giorno era andato a Firenze per i suoi interessi con l’autista,  però,  se  doveva far visita ai clienti nei paesi vicini per consegnare la farina o per far spese, andava sempre col  calesse rosso e quando era sulla via del ritorno, sulla salita in prossimità del cimitero, si capiva che stava per arrivare dal tintinnio dei campanelli. 

nonno col calesse


Forse quel giorno mi sarò sentita più libera, più incostudita non so.. fatto è che chi mi conosce, sa che ho da sempre  una passione incredibile per il volo..paracadute..insomma tutto quello che consente di poter sentire il proprio corpo sospeso e fluttuante nel vuoto, mi ha sempre affascinato e mi affascina ancora.

Quella volta, forse molto incosciente anche per l 'età, presi il grande ombrello verde di incerato che stava nel coppino accanto alla scrivania, salii sul noce, aprii l’ombrello e mi lanciai felice e libera come l’aria che si respira…

Fu un volo di qualche metro ma per mia fortuna, caddi in un punto erboso e non mi feci niente.
Qualcuno mi vide ma io non me ne resi conto.
Lo capii l’indomani quando il nonno mi chiamò e mi disse di scendere.. ”Senti un po’.. ti sembra messo bene questo ombrello ? Mettilo com’era e ricorda che deve rimanere in questa posizione come l’hai messo ora ..a buon intenditor…”

nonna Maria


La nonna era il centro della Casa. Si chiamava Maria ma il nonno la chiamava quasi sempre Marina.

Un po’ remissiva, come quasi tutte le donne di quell ’epoca , anche se sottomessa, era tenuta dal nonno in grande considerazione specialmente per tutto quello che riguardava l’organizzazione e la conduzione familiare..

Quando si dovevano prendere decisioni importanti, l’ultima parola spettava a lei..

Si allevavano maiali per il consumo domestico, si riponevano le carni sotto sale nel coppaio dove era stato messo uno sgrondo per far scolare la salatura…poi i pezzi magri e saporosi  venivano riposti nei vasi.

Le olive erano scelte accuratamente e messe sotto ranno o in salamoia con cannella , aglio e chiodi di garofano.

Il ‘Voi ‘era di rigore “Il Tu si dà ai cani” andava ripetendo  sempre il nonno e  se a volte scappava il ‘tu’ nel rivolgersi alla nonna, bisognava correggersi.

Neanche mia madre era immune da tutto questo.
La nonna preparava il pane da lievitare nella madia e poi lo riponeva su lunghe tavole disposte
 all’interno dell’’enorme forno dove si poteva anche stare riparati se pioveva, perché era come una casetta in miniatura e quando la sua porta era  aperta, si poteva trasformare con un po’ di fantasia in una figura dalla grande faccia con la testa a punta e le fauci spalancate.
  C’era pane e farina per tutti e soprattutto per quelli che non avevano possibilità.

La nonna portava i capelli raccolti in una crocchia ed indossava sempre un grembiule ..credo di averla sempre vista così… Quando, però, si vestiva a festa e usciva anche per fare lunghi viaggi, non la si riconosceva tanto era elegante, come una signora di gran classe  e sapeva gestirsi e disbrogliarsi bene anche fuori dalle quattro mura domestiche.

 La aiutava la Cesira che serviva a tavola e dava una mano nelle faccende. Alta, capelli tirati e raccolti in una lunga treccia grigia che partendo dalla nuca le inghirlandava il volto..

L’ Alberta  veniva il venerdi per fare il bucato con la cenere nelle grandi conche e poi c’era Armando quasi tutti i giorni. Era l’uomo di fiducia del nonno per i lavori della terra e per l’orto.

 Sapeva fare delle capriole incredibili e quando si esibiva, restavo incantata ad osservarlo , estasiata da tanta bravura.

mercoledì 16 maggio 2012

Per non dimenticare - capitolo primo



Anche Donatella ha una bella storia del tempo di guerra da raccontare. La storia che ci racconta di come è possibile che lei sia nata.....la storia di un atto coraggioso di sua madre. Una bella storia, che Donatella non ha vissuto in prima persona, ma che si è sentita raccontare mille volte quando era bambina e poi ragazza....magari ascoltandola con l' insofferenza tipica dell'età. Ma adesso, che è in grado di capire quanto lei stessa deve ai fatti accaduti e quanto questi fatti abbiano avuto importanza per sua madre, li ha messi nero su bianco e ne ha fatto un libricino per sè e per i suoi nipoti.

La voce narrante è quella di Annarosa, la sorella maggiore di Donatella, che quel tempo l'ha vissuto.




mamma di Annarosa e Donatella



Buti: Era il 1944… ricordo nell’aria il tepore della primavera a volte interrotto da qualche improvvisa  sferzata di vento freddo.

Quell’anno avrei dovuto frequentare la seconda elementare ma invece ero stata volutamente tenuta a casa per la paura dei bombardamenti e per espressa volontà della mia famiglia…Qualunque cosa ci avesse colto di sorpresa, avrebbe dovuto trovarci tutti insieme ...

I tedeschi avevano allestito il loro campo a due passi, vicino alla casa dei nonni, unica nel suo genere , irrepetibile oltre che indimenticabile.

Si trattava infatti di una grande struttura  che accoglieva un mulino ad acqua e non solo, anche a forza motrice, raro e ambito da molti per quei tempi e si ergeva su un rio gorgoglioso e schiumoso.

Le grandi ruote giravano instancabili ,notte e giorno, in una sincronia perfetta e l’acqua sembrava riprodursi ad ogni giro sempre più abbondante e vigorosa, pur mantenendo la massa sempre contenuta ed uniforme, per arrivare a spingere le ruote con più forza, poi, raggiunto il colmo, ne riscaricava giù frotte in esubero che finivano per lambire le sponde erbose e diffondevano tutto intorno un odore di freschezza che sento ancora affiorare col ricordo .

Un terrazzino tutto in pietra, con al centro, tavolo e panche, sempre in pietra, dove d’estate si stava tutti insieme a mangiare, si ergeva sovrastante il grande rio .

Vi si accedeva da una porticina e, fatti pochi gradini, sembrava di affacciarsi sull’infinito.. solo spazi immensi a delimitare lo sprofondo di quell’ abisso piccolo ma imponente nella sua vastità.

Volendo, si poteva scendere fin giù a toccare l’acqua nei punti più accessibili, per la presenza di qualche masso  levigato che segnava qualche breve percorso.

Dal basso, alzando lo sguardo verso la ruota, il terrazzino sembrava davvero apparire come dal nulla, la vista era stupenda da qualunque parte e non c’era niente di disarmonico  in quel contorno affascinante…anche il rumore che proveniva dalla strada era attutito dal borbottio delle acque che era come una musica e contribuiva ad accentuare la poesia dell’insieme.

Sotto il terrazzino, correva una gora che si incanalava in altre due gore con letto e piccoli argini in legno e insieme,  portavano acqua alle gigantesche ruote che a loro volta, mettendo in moto tutti gli  ingranaggi, facevano lavorare le macine.

Risalendo il corso dell’acqua si arrivava al confine della proprietà fino al caterattino che veniva utilizzato in caso di piogge copiose  per evitare il tracimare delle acque e quel tratto si poteva percorrere  come una passeggiata rilassante , immersi nel verde di tutti quegli alberi, il fico ,il pero e ,primo tra tutti, per la sua maestosità, il noce secolare.  

 Da un lato lo sprofondo, dall’altro lo scorrere della gora in un letto di pietre che ne perimetravano il corso in tutta la lunghezza  .

Quell’acqua  fresca e cristallina sempre in movimento si beveva senza farci troppe domande.

 Ricordo le parole del nonno: “L’acqua corrente la beve il serpente, la beve Iddio…la posso bere anch’io”.






Una parte era adibita a lavatoio, ma mia madre e mia nonna spesso ,d’estate vi immergevano i piedi.. quando il caldo era proprio insopportabil ,perché tutto quel verde e la presenza di tanta acqua rendeva l’atmosfera perfetta e confortevole.
Ricordo le ortensie altissime, dappertutto, di un azzurro intenso, cariche di foglie verde smeraldo dai contorni smerlati, senza un’ombra di sbiadito