sabato 30 settembre 2017

Tacchi a spillo


Ok, i tacchi bassi sono sempre esistiti, da quando sono nate le scarpe e i sandali. Ma il tacco alto come lo intendiamo oggi è un’invenzione al 100% italiana. C’è un inventore del tacco come lo intendiamo noi oggi, anzi un’inventrice. La prima a lanciare la moda fu Caterina de’ Medici, che per essere all’altezza – letteralmente – del suo sposo, il duca di Orleans e futuro re di Francia, ed essendo piuttosto bassina, usava tacchi alti 7 centimetri.




Era il ‘500, ma da lì in poi la moda si diffuse e i tacchi ebbero grande successo nel ‘600 e nel ‘700, fino ai giorni nostri, diventando sempre più alti. Fino a una delle più grandi invenzioni dei tempi moderni: il tacco a spillo! Anche questa grande innovazione è tutta italiana.




Era il 1953 e a Vigevano, terra di scarpe per eccellenza, nascono le prime scarpe con il tacco a spillo, cioè scarpe con tacchi alti 8/10 centimetri. All’epoca si facevano solo in legno, ma essendo quello a spillo piuttosto fine, la geniale soluzione degli abili artigiani di Vigevano fu di fare la base in alluminio, materiale più resistente, che non si sarebbe spezzato come il legno.
L’idea funzionò e da lì in poi il tacco alto, fino al mitico tacco 12, diventò un’icona di femminilità, eleganza e sensualità. Dior lo diffuse in tutta Europa, spesso destando scandalo. 




Il tacco a spillo ebbe poi un periodo di decadenza tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70, prima perché il movimento hippy e femminista lo rifiutava e ci vedeva un simbolo dell’oppressione maschilista. Poi perché, con la cultura dance in particolare, si diffusero altri tipi di scarpe, come quelle platform.

Ma dagli anni ’80 in poi il tacco a spillo è ritornato di moda e ormai possiamo dire che probabilmente non passerà mai più. Tra brand come Louboutin o Manolo Blahnik (le cui scarpe vengono fatte proprio a Vigevano,  il tacco a spillo è diventato un’icona intramontabile. Una lunga storia, al 100% Made in Italy.




E se la mitica Marilyn Monroe in una sua famosa frase diceva “Io non so chi abbia inventato i tacchi alti, ma tutte le donne devono loro molto”, oggi potremmo risponderle: sono stati gli artigiani italiani, a cui tutti dobbiamo molto!







I tacchi alti aiutano a sentirsi più sexy e sicure di se stesse. Un aiuto per l'autostima che, tuttavia, necessita di una strategia: così si potrà evitare lo stress godendosi al massimo le calzature preferite.

Ecco alcuni suggerimenti a chi vuole cimentarsi nell'impresa ( non certo io!!!)

I tacchi alti sono bellissimi, slanciano, ti fanno alta quanto lui se non di più, ma possono essere anche scomodi e insidiosi.
E tuttavia quale donna riesce a resistere al fascino di un tacco 12?
Fanno molto "femme fatale" e sono terribilmente affascinanti, per questo prima o poi, si dovrà scendere a patti con un paio di tacchi alti.
Però, com'è noto, camminare con disinvoltura sui tacchi è un po' un'arte.
Ci sono donne che sembrano nate per portare le scarpe con i tacchi ed altre che invece non si sentiranno mai a loro agio con questo tipo di calzature.
Come camminarci con naturalezza?
I punti cruciali sono quattro:
- il movimento dei fianchi, che deve essere oscillante per meglio mantenere l'equilibrio;
- la posizione della testa: bisogna camminare a testa alta e con il mento all'insù, in maniera tale da dare stabilità alla colonna vertebrale
- il movimento delle braccia: spalle rilassate e braccia morbide. Se sentite il bisogno di avere maggiore equilibrio portatele in avanti
- il modo di poggiare il piede. Su questo argomento ci sono diverse scuole di pensiero: secondo alcuni bisognerebbe poggiare prima il tacco e poi la punta, secondo altri bisogna poggiare direttamente tutto il piede. Un trucco per chi è alle prime armi? Cercate di alzare il ginocchio per meglio controllare la falcata: anche quando avrete acquisito una certa dimestichezza, non andate in giro come se indossaste un paio di sneakers. Un tacco a spillo richiede sempre una certa attenzione ai movimenti: bisogna tenere sotto controllo costante la propria andatura, e soprattutto fare attenzione a dove si mettono i piedi. 

Una distrazione può costarvi una slogatura.
Ma ecco i 5 punti chiave per l'approccio al tacco 12:
1) Acquistare sempre scarpe con un numero in più per evitare la punta stretta
2) In negozio controllare il piombo del tacco: se è fuori asse, chiedere un altro paio dello stesso modello, stesso numero
3) Scarpe nuove: sempre risuolarle per renderle antiscivolo!
4) Per le principianti: iniziare con le zeppe. Ricordare comunque che le più stabili sono le scarpe chiuse o sandali a lacci multipli
5) Capire i vostri limiti: scegliere un tacco con cui potete mantenere una camminata elegante e disinvolta. Stancarsi = slogarsi, ricordatelo.
















































venerdì 29 settembre 2017

San Michele

Quella poesia mi piaceva moltissimo. Era lunga e anche un po' triste per la verità. Non ce l'avevano fatta studiare a scuola, l'avevo trovata da sola nell'Enciclopedia dei Ragazzi e a furia di leggerla e rileggerla avevo imparato a memoria le prime strofe :

Viveva con sua madre in Cornovaglia:
un dì trasecolò nella boscaglia,
nella boscaglia un dì tra cerro e cerro
vide passare un uomo tutto ferro.
Morvàn pensò che fosse San Michele:
s'ingocchiò : Signore San Michele
non mi far male, per l'amor di Dio!
Né mal fò io, né San Michel son io.
No: San Michele non poss'io chiamarmi:
cavalier, sì: son cavaliere d'armi.

Allora non avevo idea di dove fosse la Cornovaglia e non ero nemmeno sicura se i cerri fossero alberi o animale, ma forse per quei versi rimasti impressi  così a lungo nella mia mente, forse per le fantasie che aveva suscitato il testo completo della poesia, o forse per qualche lontana pagina di catechismo, S.Michele è da sempre associato nella mia mente all'immagine di un fiero cavaliere errante.





 
 
Oggi 29 settembre la Chiesa ricorda l' Arcangelo Michele, con Gabriele e Raffaele, e quale occasione migliore per saperne di più di questa figura così importante non solo per la Chiesa ma anche per la tradizione popolare in genere e per i suoi fedeli in particolare ?
 
 



 

 
 
 
San Michele ha una posizione di assoluto rilievo nelle gerarchie celesti, infatti è uno degli unici tre Arcangeli, (con Gabriele e Raffaele) di cui si conosce il nome, che in aramaico significa "Chi è come Dio?". Il suo compito è quello di distruggere Satana e i suoi seguaci. E' dunque un combattente, un guerriero e nell'iconografia viene rappresentato con una spada o una lancia, mentre trafigge il nemico.
 




 

Un altro suo compito è quello di pesare le azioni buone e quelle malvagie dei defunti. Per questo motivo viene rappresentato mentre regge, oltre alla spada,una bilancia. 

 
 
 
 
 
 

Il culto di S. Michele è antichissimo, diffuso in particolare in Oriente, dove gli si attribuisce il titolo di "archistratega". L'imperatore Costantino volle che nella città che portava il suo nome fosse costruito un tempio dedicato al culto di Michele, il Michaelion.

 


 
 
 

In breve tempo il culto di Michele si diffuse e se nel VI secolo le chiese a lui dedicate a Costantinopoli erano una decina, nel IX secolo erano ormai trenta.





 
 

 
Durante tutto il corso dell'alto Medio Evo, il culto dell'Arcangelo si diffuse rapidamente anche nel mondo di cultura romana e oltre.
A Roma la prima chiesa a lui dedicata fu eretta nel 494; altre ne sorsero a Milano, Piacenza, Genova, Ravenna, Venezia, ecc.




 
 
 In tre luoghi in particolare il culto di S.Michele  appare particolarmente radicato: un santuario posto in una grotta sul monte Gargano, testimone di tre leggendarie apparizioni, una grotta sul Monte Tancia  dedicatagli dai Longobardi nel VII secolo, e il meraviglioso Mont- Saint- Michel in Normandia, dove secondo  la leggenda , sarebbe apparso per la prima volta il 16 ottobre 708.





Dall'Italia meridionale la devozione all'arcangelo si diffuse verso Est in epoca carolingia lungo l'itinerario dei monaci celti fino alle Alpi bavaresi.




S.Michele è il santo protettore della Germania e patrono delle città di Bruxelles, Jena, Andernach, Colmar, Saragozza. In Italia oltre 60 località lo riconoscono come patrono; tra esse Caserta, Cuneo, Albenga, Alghero e Vasto.











 
 
 
 
 
 
 

giovedì 28 settembre 2017

Uno strano miracolo

Il fatto che ho letto qui http://www.bergamopost.it/pensare-positivo/luomo-miracolato-uno-santo-non/ mi ha colpito in modo particolare per ben due motivi: il primo è che, a quanto sembra, è accaduto un miracolo e questo miracolo non è stato compiuto da un santo o da Maria Santissima e nemmeno da Gesù Cristo o da Dio stesso, bensì da un'entità che potrebbe anche essere difinita il fantasma di un antico letterato; e il secondo è che la persona miracolata viene da un paese della provincia di Bergamo e ha lavorato per tutta la vita qui nel mio quartiere. Io non ne sapevo niente prima di leggere questo articolo...e pensare che anche il pettegolezzo più stupido gira per le strade ad una velocità supersonica, mentre un fatto così speciale è rimasto quasi segreto.
Ecco di che cosa si tratta:


L’uomo miracolato da un non-santo

5 agosto 2017


«Non sapevo chi fosse Alberico da Rosciate. A dire la verità sapevo che esisteva un signore con quel nome perché quando andavo all’Atalanta passavo per una strada che portava quel nome. Poi, quando è successo il fatto, mi sono ricordato che mio padre si chiamava Alberico; mio padre era morto a ventotto anni, a causa del bombardamento di Dalmine, io in pratica non l’ho conosciuto». Gian Paolo Zucchetti ha 77 anni e vive a Seriate, ha fatto il lavandaio per una vita. Adesso è in pensione, ma nel lavasecco di via IV Novembre a Bergamo continuano la moglie e i figli. Improvvisamente, nel 2001, il giureconsulto e letterato Alberico da Rosciate, vissuto nel XIV secolo, consigliere di Papi, è entrato nella sua vita e Gian Paolo ha cominciato a leggere il latino medievale manoscritto, come se fosse un paleografo, cioè un esperto di scritture antiche.
Signor Gian Paolo, che cosa è successo?
«È successo che avevo un mal di testa fortissimo e che mi avevano ricoverato al Bolognini, erano i giorni prima di Pasqua del 2001. Mi visitarono, ma non riscontrarono niente e allora mi rimandarono a casa. Ma il mal di testa non mi passava, diventava ancora più forte, insopportabile».
E allora?
«E allora i miei familiari mi accompagnarono di nuovo in ospedale, di nuovo tutte le analisi e gli esami e stavolta si accorsero di un grumo di sangue nel cervello, come se avessi avuto un’emorragia. Avevo perso buona parte della memoria e non ci vedevo più, non riconoscevo neppure i miei familiari, mia moglie. Stabilirono di operarmi. Nel frattempo finii in coma, i medici lo definirono “coma vigile”, non so. Durante questo stato di coma mi è apparso Alberico da Rosciate».
Alberico da Rosciate il giureconsulto del XIV secolo?
«Proprio lui».





Ma lei non lo conosceva.
«No, non lo conoscevo. Ma incontrai questo omone che entrò nella mia camera d’ospedale. Non fu un sogno, ma una visione. Voglio dire che lo incontrai davvero e che parlammo. I sogni sono un’altra cosa. Sarà stato alto due metri e aveva uno spadone grande che prese con la mano sinistra e me lo pose di traverso davanti agli occhi. La mano destra l’aveva appoggiata al fianco. Lo ricordo come fosse adesso. Indossava una camicia bianca con i volant al collo e i polsini ampi; portava un cinturone che poteva essere alto quindici centimetri e le scarpe avevano una lingua di pelle sul collo del piede e non si vedevano i lacci. Aveva un’aria forte e severa, eppure gli occhi erano buoni come quelli di un cerbiatto; portava un cappello con una bordura colorata e nella bordura c’erano tre piume. Poi ho scoperto che era davvero un grande uomo, un letterato, avvocato, diplomatico. Scrisse lui gli statuti di Bergamo che durarono per ben cinque secoli! E fu lui a far togliere la scomunica alla nostra città da parte di Papa Benedetto XII. Eravamo stati scomunicati perché avevamo appoggiato l’antipapa Niccolò V. Alberico era stato per anni presidente della Mia, Misericordia Maggiore di Bergamo».

Lei lo incontrò mentre era in coma.
«Sì, ero in coma e forse è per questo che mi è apparso! Il mio cervello percepiva una realtà differente rispetto alla nostra, non so».
E che cosa le disse?
«Mi disse precisamente così: “Io sono Alberico. Alberico da Rosciate”. Ripeté il nome due volte e una volta il cognome. Io non avevo idea di chi fosse, per me era solo una via sulla strada dello stadio. E poi mi disse impugnando lo spadone: “Tu domani non ti farai operare, hai capito?”. E io risposi: “Va bene, non mi faccio operare”. Al mattino ero uscito dal coma. Venne il medico e gli dissi che non mi facevo operare; lui protestò, ma io fui irremovibile. Rimasi in ospedale per diciotto giorni. Il grumo di sangue si dileguò. Ricordo che uscendo, sulla soglia dell’ospedale qualcuno mi toccò la spalla, mi voltai e vidi il primario che mi chiese quando avevo avuto la visione. Io ripetei che l’avevo avuta nella notte prima dell’operazione. Lui mi salutò, poi se ne andò scuotendo la testa, disorientato».
Perché Alberico ha deciso di comunicare con lei?
«Mi apparve altre volte in quei giorni, ma da quando uscii dall’ospedale non lo incontrai più, soltanto l’ho sognato diverse volte, ma è diverso, non hai la stessa sensazione di realtà, non riesci a dialogare».
Ma perché è apparso a lei?
«Mi ha aiutato, il grumo di sangue è sparito. E mi ha chiesto di andare a recuperare dei documenti, i suoi testamenti perché quando morì i suoi “jutores” falsificarono le carte. Alberico mi ha detto che metà delle sue proprietà – molto ingenti – dovevano andare agli otto figli e metà per aiutare i poveri e gli infermi».
E invece?
«E invece i suoi “jutores”, cioè i suoi collaboratori della Misericordia Maggiore, intascarono la metà che doveva andare ai poveri».
Ma da allora sono passati settecento anni. E perché si è rivolto proprio a lei?
«Non so perché lui voglia che si sappia la verità, oggi. Ho fatto delle ricerche genealogiche, ho scoperto che Alberico era un mio lontano antenato, io forse sono il suo ultimo discendente. Ho capito perché nella mia famiglia torna spesso il nome Alberico… mio padre, un mio prozio…».



Quindi lei che cosa ha fatto?
«Alberico mi disse di andare all’Archivio di Stato, e così feci. Non ci avevo mai messo piede. Chiesi i documenti relativi ad Alberico, mi portarono una montagna di roba. Rimasi sgomento, decisi che non avrei potuto fare assolutamente nulla, io ho frequentato la terza media… anzi la terza commerciale. Non sapevo una parola di latino. Stavo per rinunciare quando urtai un plico, caddero dei fogli, mi chinai a raccoglierli e mi fermai a guardare il testo. Mi accorsi che sapevo leggerlo. Era in latino, scritto alla maniera medievale».
Improvvisamente leggeva il latino manoscritto.
«Sì. Incredibile. Io capivo tutto. Andai dal direttore della biblioteca Angelo Mai, Orazio Bravi, un esperto di queste cose, perché io stesso non ci credevo. Ma anche lui mi disse che leggevo e traducevo correttamente».




Un altro miracolo.
«Sì».
E i testamenti?
«Li sto studiando, non è semplice. Ma Alberico aveva ragione, gli “jutores” lo fregarono e fregarono i poveri della città. Ho saputo altre cose. Che in una cassaforte della Misericordia c’è la traduzione della Divina Commedia in latino, scritta da Alberico da Rosciate. Che l’epitaffio sulla tomba di Dante a Ravenna è di Alberico. E che il famoso Calepino, il dizionario, altro non era che un aggiornamento di un’altra opera di Alberico da Rosciate, l’Alphabetum de verborum significatione. Vede, Ambrogio da Calepio non era in grado di realizzare un’opera così ampia e profonda».