mercoledì 27 febbraio 2019

Lo scialle

Per la verità i miei rapporti con lo scialle non sono mai stati un granché : se rimesto nei ricordi d'infanzia, emergono in proposito immagini sbiadite di vecchiaia e di malattia, dal momento che  lo vedevo spesso sulle spalle di quelle vecchiette del paese che d'inverno lo preferivano al cappotto, oppure su quelle ancor più fragili di persone malate, costrette a letto, come la mia amica Alba che lo indossava anche d'estate.
La mia diffidenza nei confronti dello scialle si affievolì nel corso del tempo;  in età adulta, dimenticata la sua connessione con vecchiaia e malattia,  si presentarono nuove opportunità per apprezzarlo; accadeva a volte che amici e parenti  mi portassero in regalo dai loro viaggi scialli meravigliosi da diverse parti del mondo o che io stessa me ne procurassi .

Fu così che conobbi la leggerezza dello scialle sardo da portare sulle spalle nelle sere d'estate,



la brillantezza dei colori dello scialle russo per rallegrare un cappotto troppo scuro




l'allegria dello scialle messicano (ma questo quando lo metto??!!??)






il caldo poncho dell'America latina (....per un eventuale viaggio al Polo? )






né poteva mancare lo scialle con i motivi paisley ricorrenti nei tessuti cashmere





Pace fatta ? Purtroppo no, dal momento che mi fu finalmente chiaro che il problema non era lo scialle, ma ero io che non sapevo indossarlo come si deve. Ogni volta che ci provavo era un disastro: mi sentivo goffa, ridicola, fuori posto, scomoda...e pensare che c'era chi sapeva indossare lo scialle come strumento di seduzione.....



  


Fu così che la mia collezione di scialli fu archiviata in una bella scatola che periodicamente apro e richiudo, non prima di aver accarezzato  con gli occhi la bellezza del suo contenuto e riassaporato il rammarico per non aver saputo farne buon uso.



Chi mi legge si chiederà : ma se lo scialle non fa per te, perché parlarne ?

Ne parlo perché non amo il pregiudizio, perché ,se indossato comme il faut,lo scialle merita di essere apprezzato in tutte le sue declinazioni ed è stato a lungo protagonista nella storia dell'abbigliamento femminile.

Ho letto delle sue origini lontane, della sua storia, delle sue diverse interpretazioni e ho visto immagini che ne esaltano la bellezza e ne dimostrano la versatilità ancora oggi, grazie alla bravura di chi  lo crea, la disinvoltura di chi lo indossa e la creatività di chi lo presenta.


























A proposito della sua storia, occorre ricordare che fin dall'XI secolo, in India, nella regione del Kashmir venivano realizzati a mano magnifici scialli di lana pregiata, che arriveranno in Europa alla fine del XVII secolo,  destinati alle classi sociali più elevate a causa del loro ingentissimo costo.


Ma come si sa, la moda è la moda, e quando prende piede è difficile arginarla. Così, visto che erano in pochi ad avere la disponibilità economica di Maria Antonietta, che ne possedeva parecchi, né, più tardi ,quella di Napoleone che ne regalava a dozzine alla moglie Giuseppina, sorsero in Europa alcuni centri di produzione di ottima qualità, in Inghilterra in particolare, in cui l'utilizzo di speciali telai meccanici e la successiva stampa del tessuto ridussero i tempi di produzione e i relativi costi, pur mantenendo la qualità del prodotto. 







Per quasi un secolo, praticamente dal 1780 al 1870 lo scialle diventò un elemento indispensabile nel guardaroba femminile, perché era un complemento irrinunciabile per l'abito di stile impero e, più tardi, per accompagnare le gonne di crinolina : quale altro soprabito si sarebbe potuto indossare con quei volumi?











Gli scialli venivano prodotti in forma rettangolare o quadrata - in tal caso si potevano piegare a triangolo - e si indossavano drappeggiati intorno al collo, appoggiati alle spalle, fissati con una spilla... insomma la fantasia certamente alle signore non mancava.

Nell'800 la regina Vittoria li adorava e contribuì a renderli ancora più popolari.




Nella seconda metà dell'Ottocento in Inghilterra la produzione locale di scialli più economici crebbe  enormemente. In Scozia , nella cittadina di Paisley , fu creato un disegno che prese il suo nome e che ebbe grande successo.





Il paisley è un disegno ottenuto raffigurando il boteh o buta,un motivo vegetale a forma di goccia, di origine persiana, simbolo della vita e della fertilità. Di fatto era l'imitazione, o se si vuole, la variante dei disegni impressi sugli scialli in lana pregiata che provenivano dall'India.

La  moda si sa è volubile per natura , così l'eccessiva produzione locale di scialli a basso costo   ne determinò la fine : le signore della nobiltà e della ricca borghesia mal sopportavano di vedere le cameriere indossare scialli simili ai loro e così li bandirono dai loro guardaroba.

Lo scialle comunque aveva avuto storie diverse nei vari paesi in cui si era diffuso.

In Spagna, ad esempio, arrivarono dopo un viaggio lunghissimo: intorno al XVI secolo preziosi mantelli di origine cinese furono imbarcati a Manila per arrivare a Siviglia, passando per il Messico.
In Spagna divennero i famosi mantòn de manila, con l'aggiunta di lunghe frange e disegni di rose e garofani.





A Venezia nel 1761 fu concessa, a un certo Giovanni Zivaglio,  l'autorizzazione a "fabbricare fazzoletti come  si usano nelle Indie e portati anche dalle donne dello Scià di Persia". Questo fazzoletto fu chiamato zendado ed era un grande scialle con lunghe frange, confezionato in seta, in pizzo e, per le popolane più povere, in lana, di vari colori o finemente ricamato. In seguito fu chiamato scialle ( da scià di Persia).





Si racconta che le popolane lo usassero per "adescare" i giovani troppo timidi da cui si sentivano attratte: dopo essersi avvicinate alla "vittima" , con la mano prendevano un lembo dello scialle e lo facevano volteggiare per coprire la spalla, facendo svolazzare le lunghe frange che andavano a impigliarsi nei bottoni della giacca .
Si dice che da qui sia nata l'espressione "attaccare bottone" (tacàr botòn).



Recentemente su una famosa rivista di moda, ho visto la storia  dello scialle del secolo scorso. raccontata attraverso le stars del cinema .
 


1929 Phyllis Haver - diva del film muto









1945 Ingrid Bergman



1950 Janet Leigh





1954 Gina Lollobrigida







1969 Raquel Welch




1979 Monica Vitti





1985 Brooke Shields





1999 Uma Thurman.

lunedì 25 febbraio 2019

Writer's nest


Una delle cose per cui ringrazio quasi quotidianamente il cielo è che esistono gli artisti: musicisti, pittori, cineasti, ma specialmente gli  scrittori. Non tutti, ma quelli che scrivono i libri che piacciono a me. Un esempio sopra tutti: Ken Follett.
In mancanza di immaginazione e cultura personale, sono grata che ci sia qualcuno che, invece, ne abbia in abbondanza e che ami condividere col mondo la sua ricchezza rendendo migliore la nostra vita circondandoci di bellezza e di storie che ci permettono di capire chi è diverso da noi, di sognare situazioni irraggiungibili, insomma di passare del tempo piacevole.
Mi chiedo che cosa abbiano in più dei comuni mortali queste persone eccezionali, ma non ho la risposta. Forse l'ambiente che li circonda è ricco di stimoli? Forse anche questo. In effetti ho scoperto oggi che ci si può aiutare a creare, anche andando in qualche posto particolare ricco di suggestione.
Ad esempio leggo qui: 
questa notizia:


Sul Lago di Como c’è un rifugio per chi vuole diventare scrittore



Costruito alla fine dell’800 all’interno di una cava di sassi, un tempo quello di Riva di Faggeto Lario, in provincia di Como, era un rifugio per i cavatori di pietra.
Oggi questo luogo è diventato il paradiso degli scrittori.
Affacciato sul Lago di Como, il Rudere, è un luogo isolato che ispirerebbe anche chi di fantasia non ne ha molta.
Il panorama che si può ammirare è magico. Il silenzio è ispiratore. Tutt’intorno un enorme giardino privato isola chi sceglie questo rifugio dal resto del mondo. Anche per mesi.
Ci vive lo scrittore Giuseppe Guin che vi ha ambientato alcuni romanzi. Ora si è trasformato nel Writer’s Nest, il rifugio dello scrittore, dove può soggiornarvi chiunque sia in cerca di un’atmosfera speciale.
Sul fondo della cava, la roccia a strapiombo sull’acqua conserva ancora i segni dei cavatori che vi hanno lavorato per secoli, prendendo dalla montagna le pietre per costruire le ville della zona e le chiese del lago. In riva al lago, sotto il nido, c’è una spiaggia privata racchiusa tra scogli a gradoni, utilizzati in passato dai pescatori.
All’interno ci sono due camere con bagni, una affacciata sul lago e l’altra sul bosco, perché ogni scrittore possa prendere ispirazione dall’ambiente che preferisce.
Un’enorme veranda di legno e vetro guarda direttamente il lago e una gigantesca biblioteca, piena zeppa di libri, costruita con antiche assi di legno di castagno fissati direttamente sulla pietra viva, è lo studio perfetto per qualunque topo di biblioteca.
Si può affittare l’intera villa e averla tutta per sé (costa circa 800 euro al giorno) o anche solo una delle camere. Se il romanzo che si riesce a scrivere in questo luogo avrà successo saranno soldi spesi bene. Angolini suggestivi dove comporre un’opera letteraria non mancano di certo.




La mia paura ( certezza) è che nemmeno qui riuscirei a scrivere un libro...meglio lasciare che ci vada chi un briciolo di creatività già la possiede.

sabato 23 febbraio 2019

Henry Hutt

E' da parecchio che non parlo di illustratori su questo blog, perchè a tale argomento in particolare è dedicato soloillustratori.blogspot.it. Un'immagine postata da Antonietta Alfano su facebook, però, mi ha fatto tornare la nostalgia per quel genere di artista, che illustrava le copertine delle riviste americane nella prima metà del secolo scorso. 






Tra loro Henry Hutt, americano di Chicago, nato nel 1875, figlio di immigrati: tedesco il padre, russa la madre.
Il padre morì presto, lasciando la moglie a crescere i figli da sola, in difficoltà economiche. Henry, appena poteva, disegnava e copiava le illustrazioni che più gli piacevano; riuscì ad introdursi nel gruppo di artisti " Palette and Chisel Academy of fine Art" e pian piano raggiunse la notorietà, finchè si trasferì a New York, dove trovò lavoro come pubblicitario. e come illustratore di copertine delle principali riviste americane. Le sue bellissime donne fecero tendenza e altri illustratori copiarono il suo stile. Henry sposò la sua modella preferita Edna Garfield Della Torre, da lui considerata la donna più bella del mondo.
Purtroppo Henry conduceva una vita sregolata, abusava di alcool e soffriva di disturbo bipolare. Il matrimonio finì in un divorzio ed Henry, più tardi, sposò un'altra modella, Josephine. Continuò come ritrattista, ma anche come paesaggista ed illustrò diversi spartiti musicali e sovracopertine salvapolvere per libri.
Morì nel 1950.