per tutti gli amanti dei libri illustrati per bambini degli anni 40/70 del secolo scorso e di tante altre cose belle.
Siamo partite con i libricini, ma poi ci siamo allargate: qui si trovano gli argomenti più disparati,fiori, libri, ricami, film , viaggi e tanto d'altro, ma sempre in chiave soft!.....Chi vuole può seguirci sugli altri nostri blog: soloillustratori, passeggiando tra parchi e castelli, Dindì, storiedellamiafamiglia, specialepinup.
Amo le leggende e il mio pc stamattina, come l'ho aperto, me ne ha regalate un paio riguardanti un ponticello che si trova sull'isola di Skye, in Scozia, il ponte di Sligachan. Ve le giro pari pari, perchè non si sa mai che qualcuna di voi faccia un viaggio da quelle parti ed abbia l'occasione di tornare a casa bella, bella, anzi bellissima fino alla fine dei suoi giorni!
La prima leggenda racconta:
Secondo una di queste leggende, due clan scozzesi, che erano costantemente in guerra tra loro, decisero di trovare un accordo. L’uomo più bello di un clan avrebbe sposato la donna più bella dell’altro clan.
Nel giorno fissato per il matrimonio, la bellissima sposa si mise in viaggio a cavallo con un servo, per andare incontro al suo futuro marito. Purtroppo improvvisamente il cavallo si spaventò e la donna venne scaraventata giù da un ponte, cadendo sulle rocce sottostanti. Riuscì a mala pena a salvarsi e sopravvivere. Ma la donna, una volta bella, a seguito della caduta era ormai orribilmente sfigurata.
Per timore che il patto concluso dal suo clan venisse meno e iniziasse di nuovo la guerra, il suo servitore l’aiutò a nascondere il viso sfigurato sotto un velo, con l’intenzione di rivelarsi soltanto dopo la cerimonia. Tuttavia, quando il marito scoprì che la sua “bellissima” sposa era orribilmente sfregiata, il bell’uomo impazzì. Nella sua rabbia per essere stato ingannato, picchiò selvaggiamente la sua nuova sposa, il suo servo e persino il cavallo, buttandoli fuori dal castello perché morissero di stenti.
Sanguinanti, pieni di percosse, senza un posto dove poter andare, i tre tornarono al ponte dove la donna era caduta. Questa iniziò a fissare l’acqua e pregò di morire. Impietosita, la regina delle fate apparve loro. Vedendo il loro dolore e la loro bontà d’animo, disse ad ognuno di immergere il viso nell’acqua per 7 secondi ciascuno. Poiché l’acqua era magica, non solo avrebbe guarito le loro ferite, ma avrebbe ripristinato la loro bellezza… per sempre. A turno, la donna, il servo e il cavallo misero tutti i loro volti nell’acqua e, come aveva promesso la fata, ognuno guarì e divenne più bello di prima. La bella donna e il suo servo, ormai divenuto bellissimo, si innamorarono e si allontanarono (sul loro altrettanto bel cavallo) al tramonto per vivere felici e contenti.
Di questa prima leggenda c'è una versione diversa... eccola:
Una leggenda scozzese racconta di una bellissima fanciulla, Fiona MacDonald, che il giorno delle sue nozze cadde da cavallo e, totalmente sfigurata in viso, venne rifiutata dal promesso sposo. In lacrime, corse sulle rive del fiume sotto il ponte di Sligachan, dove incontrò il Re delle Fate. Colpito dalla bellezza interiore della ragazza, quest’ultimo le disse di immergere il viso nell’acqua del fiume, in modo da recuperare il suo aspetto. Una volta tornata bellissima, Fiona decise di rinunciare a tutto per colui che era riuscito ad amarla senza fermarsi alle apparenze, scomparendo insieme al Re sulle sponde del fiume.
…….. e la seconda leggenda sulle magiche acque dice:
Molti anni fa, sull’Isola di Skye, viveva la più forte guerriera di tutta la Scozia. Si chiamava Scáthach. La fama della sua forza e del suo coraggio si diffuse ovunque, anche oltre i confini, fino a giungere alle orecchie del più forte guerriero d’Irlanda, Cúchulainn.
Cúchulainn sapeva che se voleva mantenere alta la sua reputazione avrebbe dovuto mettere fine a queste voci e sconfiggere Scáthach, dimostrando così di essere il migliore. Salpò quindi per l’isola di Skye. Una volta arrivato si imbatté in un tirocinante di Scáthach, cui chiese subito che la sua padrona venisse ad affrontarlo. Scáthach, ovviamente, non si tirò indietro e si presentò per affrontarlo e dimostrare a tutti quale dei due guerrieri fosse il più forte.
Tutti trattenevano il fiato mentre questi due guerrieri combattevano l’uno contro l’altro. Quando partirono i primi colpi, la terra scrollò i petali di tutti i fiori nella valle circostante, i bambini iniziarono a cercare le loro madri e i cavalli a nitrire spaventati. Nessuno dei due era disposto a cedere: era una lotta all’ultimo sangue.
Per la preoccupazione, la figlia di Scáthach corse via, piangendo, verso il fiume. Non poteva sopportare di vedere morire sua madre e così chiese agli angeli e alle fate di salvarla. Il suo dolore era così intenso che, combinato con le grida della vicina battaglia, raggiunse le orecchie delle fate. Come probabilmente sapete, l’acqua è una porta, una sorta di tramite, tra il mondo fatato e il nostro.
Alcune fate andarono da lei e raccolsero delicatamente le sue lacrime, che versarono in acqua come offerta alla regina delle fate. Le sue lacrime piene d’amore avevano talmente commosso le fate che queste decisero di esaudire il suo desiderio. Le chiesero di lavarsi il viso nel fiume e non appena fatto ciò, le fu improvvisamente chiaro come avrebbe potuto fermare la battaglia e salvare sua madre.
Tornò a casa, fermandosi lungo la strada a raccogliere erbe profumate e noci, e le mise sul fuoco. Immediatamente il delizioso aroma si diffuse per tutta la valle giungendo anche ai due combattenti.
La ferocia della battaglia iniziò a placarsi. Entrambi si resero conto di essere stanchi ed affamati. Decisero di deporre le armi e, concordata una breve tregua, si avviarono verso la casa della guerriera di Skye. Li attendeva la figlia di Scáthach che aveva preparato un pasto degno di questi leggendari guerrieri. Mentre Cúchulainn mangiava, sotto il tetto di Scáthachs, entrambi i guerrieri si resero conto che non avrebbero più potuto farsi del male a vicenda. Per tradizione, infatti, in tutte le terre del nord, l’ospite è sacro e mai, per nessuna ragione al mondo, gli si può far del male.
Da allora, si dice che a causa della bellezza della figlia di Scáthach e delle sue lacrime d’amore riversate nel fiume, a chiunque sarà abbastanza coraggioso da immergere la faccia nelle acque sotto il ponte di Sligachan, sarà garantita la bellezza eterna.
E allora... Tentar non nuoce…Ecco le istruzioni e come fare!
Che crediate o meno a miti e leggende – e in Scozia sapete bene che pullulano -, un tentativo lo si può fare. Non si sa mai!!! Tenete presente, però, che lavarsi il viso in quella che molti definiscono la “fonte dell’eterna giovinezza” non è una cosa così semplice come sembra!
Bisogna, innanzitutto, arrampicarsi un po’ sulle rocce e fare attenzione a non scivolare. In secondo luogo, è necessario immergere la faccia nell’acqua, e non, semplicemente, portare l’acqua fino al vostro viso. Per fare questo, occorre tenere mani e ginocchia a bordo della riva e immergere completamente il viso per sette secondi. Fate attenzione e ricordate che siete in Scozia e l’acqua è tutt’altro che calda!
Inoltre, non vi dovete asciugare il viso una volta fuori dall’acqua, è necessario che il viso si asciughi da solo naturalmente. A questo punto ringraziate le fate per la loro gentilezza, ricordandovi sempre di ciò che è veramente importante nella vita. Se il vostro cuore è sincero, potrete sperare di ottenere la bellezza eterna!
Recentemente ho notato il proliferarsi di locali strettamente dedicati al consumo e alla produzione della birra artigianale. Ho fatto un po' di ricerca e vedo che evidentemente si sta cercando di tornare alle origini, quando la bevanda non era un prodotto industriale, ma un prodotto di nicchia. Interessantissima la storia della birra, che forse è più antica del vino, la leggo su wikipedia. E' una copiatura piuttosto lunga, ma sinceramente non potrei riassumerla, meglio non omettere nulla:
La birra è una delle bevande più antiche prodotte dall'uomo, probabilmente databile al settimo millennio a.C., registrata nella storia scritta dell'antico Egitto e della MESOPOTAMIA. La prima testimonianza chimica nota è datata intorno al 3500-3100 a.C.. Poiché quasi qualsiasi sostanza contenente carboidrati, come ad esempio zucchero e amido, può andare naturalmente incontro a fermentazione, è probabile che bevande simili alla birra siano state inventate l'una indipendentemente dall'altra da diverse culture in ogni parte del mondo. È stato sostenuto che l'invenzione del pane e della birra sia stata responsabile della capacità dell'uomo di sviluppare tecnologie e di diventare sedentario, formando delle civiltà stabili. È verosimile che la diffusione della birra sia infatti coeva a quella del pane; poiché le materie prime erano le stesse per entrambi i prodotti, era solo "questione di proporzioni": se si metteva più farina che acqua e si lasciava fermentare si otteneva il pane; se invece si invertivano le quantità mettendo più acqua che farina, dopo la fermentazione si otteneva la birra.
Un birrificio del XVI secolo
Si hanno testimonianze di produzione della birra già presso i Sumeri. Proprio in Mesopotamia sembra sia nata la professione del birraio e testimonianze riportano che parte della retribuzione dei lavoratori veniva corrisposta in birra. Due erano i principali tipi prodotti nelle case della birra: una birra d'orzo chiamata sikaru (pane liquido) e un'altra di farro detta kurunnu. La più antica legge che regolamenta la produzione e la vendita di birra è il Codice di Hammurabi (1728-1686 a.C.) che condannava a morte chi non rispettava i criteri di fabbricazione indicati (ad esempio annacquava la birra) e chi apriva un locale di vendita senza autorizzazione. Nella cultura mesopotamica la birra aveva anche un significato religioso: veniva bevuta durante i funerali per celebrare il defunto ed offerta alle divinità per propiziarsele.
La birra aveva analoga importanza nell'Antico Egitto
, dove la popolazione la beveva fin dall'infanzia, considerandola anche un alimento ed una medicina. Addirittura una birra a bassa gradazione o diluita con acqua e miele veniva somministrata ai neonati quando le madri non avevano latte. Anche per gli Egizi la birra aveva un carattere mistico, tuttavia c'era una grossa differenza rispetto ai Babilonesi: la produzione della birra non era più artigianale, ma era divenuta una vera e propria industria, con i faraoni che possedevano persino delle fabbriche.
Si parla di birra anche nella Bibbia e negli altri libri sacri del popolo ebraico come il Talmud; nel Deuteronomio si racconta che durante la festa degli Azzimi si mangiava per sette giorni il pane senza lievito e si beveva birra. Lo stesso avviene durante la festività del Purim.
La Grecia, più orientata sul vino, non produceva birra ma ne consumava molta, soprattutto per le feste in onore di Demetra e durante i giochi olimpici durante i quali era vietato il consumo del vino. La bevanda arrivava in Grecia tramite i commercianti fenici.
Anche gli Etruschi e i Romanipreferivano di gran lunga il vino, tuttavia ci furono personaggi famosi che divennero sostenitori della birra, come ad esempio Agricola, governatore della Britannia, che una volta tornato aRoma nell' 83 d.C.portò con sé tre mastri birrai da Glevum (l'odierna Gloucester) e fece aprire il primo pub nella penisola italiana.
Molti non riconoscerebbero come "birra" ciò che bevevano i primi abitanti dell'Europa in quanto le prime birre contenevano ancora al loro interno i prodotti da cui proveniva l'amido (frutta, miele, piante, spezie).
Il luppolo come ingrediente della birra fu menzionato per la prima volta solo nell'822 da un abate carolingio e di nuovo nel 1067 dalla badessa Ildegarda di Bingen.
Fu proprio merito dei monasteri durante il Medioevo il salto di qualità nella produzione della bevanda. Persino le suore avevano tra i loro compiti quello di produrre la birra, che in parte era destinata ai malati e ai pellegrini.
Anche in Gran Bretagna la birra prodotta dalle massaie veniva messa a disposizione delle feste parrocchiali ed utilizzata per scopi umanitari. In Inghilterra in particolare, la birra divenne bevanda nazionale in quanto l'acqua usata per la sua produzione veniva bollita e quindi sterilizzata.
La birra prodotta prima della rivoluzione industriale era principalmente fatta e venduta su scala domestica, nonostante già dal settimo secolo d.C. venisse prodotta e messa in vendita da monasteri europei. Durante la rivoluzione industriale, la produzione di birra passò da una dimensione artigianale ad una prettamente industriale e la manifattura domestica cessò di essere significativa a livello commerciale dalla fine del XIX secolo.
Lo sviluppo di densimetri e termometri cambiò la fabbricazione della birra, permettendo al birraio più controlli sul processo e maggiori nozioni sul risultato finale. Inoltre, sempre nello stesso periodo, furono eseguiti studi specifici sul lievito, che permisero di produrre la birra a bassa fermentazione, di gran lunga la più diffusa nel mondo.
Tipi di birra, a quanto pare, ne esistono centinaia...io saprei riconoscere soltanto la differenza visiva tra birra chiara e birra scura. Da:https://www.innaturale.com/differenza-tra-birra-chiara-e-birra-scura/ Nonostante, come si possa intuire, la principale differenza tra birra chiara e birra scura riguardi il colore le distanze tra queste tipologie di birra non si fermano qui. Si tratta di bevande con punti in comune ma anche con diverse caratteristiche e occasioni di consumo.
Per chiarire la differenza tra birra chiara e birra scura è necessario premettere che queste due macro categorie non sono sempre facili da inquadrare. Generalmente con birra chiara ci si riferisce alle birre bionde – pils e lager – e le birre bianche. Prodotti piuttosto leggeri, sia dal punto di vista organolettico che per gradazione alcolica. Si tratta di birre generalmente non particolarmente complesse, votate a un consumo poco impegnativo, ideali nella stagione più calda. Con il loro gusto rotondo e delicato sono eccellenti per abbinamenti con i sapori delicati ma anche per accostamenti più genuini, come la pizza o la carne alla griglia.
Con birra scura si fa riferimento a tutti i prodotti con una colorazione più decisa, dalle birre rosse fino alle stout. Si tratta di birre più complesse e – generalmente – più alcoliche, adatte per un consumo più contemplativo. Apprezzate per profili aromatici più articolati e per la maggiore intensità si prestano a essere bevute come accompagnamento a piatti dal sapore deciso o dopo cena, prendendosi il tempo per apprezzare appieno tutte le loro caratteristiche.
Va specificato che a dispetto della mera differenza tra birra chiara e birra scura, all’interno delle due categorie è racchiuso un vasto universo, sfaccettato e affascinante. Quindi parlare di birra scura (ma anche di birra chiara) rischia, talvolta, di risultare riduttivo ai fini di una conoscenza più approfondita del prodotto.
Quando io ero una bambina, a Pasqua arrivava la lepre, che nascondeva le uova colorate in giardino o in casa, a seconda di dove abitavamo. Noi piccoli dovevamo trovarle, come in una caccia al tesoro, per poi aprirle alla ricerca della sorpresa. La lepre, però, non arrivava anche dagli altri bambini, ma solo a quelli della mia famiglia. In effetti questa usanza, qui in Italia, è appena nata, mentre a quanto pare nei paesi anglosassoni e tedeschi era tradizione antica e poichè mio papà viaggiava molto in Austria per lavoro, l'aveva importata per la gioia dei suoi quattro bambini.
Per raccontare qualcosa su questa abitudine, copio da qui: https://www.bresciaatavola.it/it/il-coniglio-di-pasqua-tra-storia-e-leggenda/ la storia. Sapete da dove deriva l’usanza di questo simbolo pasquale? La questione non è affatto semplice. C’è chi la fa risalire ad antiche tradizioni arrivate dalla Germania, dove il cosiddetto “Osterhase”, (il coniglio di Pasqua) nasconde le uova, per poi farle ritrovare ai bambini che si sono comportati bene.
Ma la storia più affascinante, riguarda una divinità sassone associata alla Primavera di nome Eostre – o Ostara, da cui la parola per Pasqua in tedesco, Ostern, e in inglese, Easter.
La leggenda racconta che, un pomeriggio di primavera, la dea Eostre, per far divertire i bambini da cui era circondata, trasformò in coniglio l’uccellino che aveva appoggiato sul suo braccio. I bambini furono molto felici per questa trasformazione, non l’uccellino, che al contrario ne era rattristato. I piccoli, allora, chiesero alla dea di ritrasformare il coniglio in volatile. Nel frattempo era però giunto l’inverno e la dea, esausta, non aveva più le capacità per annullare l’incantesimo. Ritornata la primavera, la dea Eostre riacquistò le proprie forze e ridiede all’uccellino la forma originale. Per la gioia il piccolo pennuto, depose delle uova colorate che regalò ai bambini e alla dea.
La tradizione di regalare uova colorate è arrivata fino ai giorni nostri, così come quella del coniglietto Pasquale, sebbene il significato di questo dono sia mutato con l’avvento del cristianesimo. Le uova sono infatti diventate il simbolo della risurrezione di Cristo ed emblema della primavera come rinascita a nuova vita.
secondo alcuni, queste storie sono solo una corruzione dei racconti folcloristici ucraini legati alla tradizione locale di decorare le uova (pysanky).
Storicamente parlando, il coniglietto pasquale sarebbe arrivato in America nel 1700 con gli immigrati tedeschi che portarono in Pennsylvania la tradizione della lepre che depone le uova (Osterhase/Oschter Haws). All’inizio i bambini realizzavano dei nidi in cui le creature potevano lasciare le loro uova colorate; successivamente la tradizione iniziò a coinvolgere anche la cioccolata, le caramelle e i cestini colorati al posto dei nidi.
Dall’antica lepre al nostro coniglio il passo è breve, ma cosa dire del bilby? In Australia il protagonista della Pasqua appartiene alla famiglia dei marsupiali, ma ha le orecchie molto lunghe, come i conigli.
L’immaginario pasquale, comunque, non si ferma alla famiglia dei leporidi: in Svizzera le uova colorate vengono trasportate dal cuculo, mentre in alcune parti della Germania da una volpe!
L’Easter Bunny è senza dubbio frutto di una tradizione pagana. Eppure, lo si trova spesso nell’iconografia cristiana che vede protagonista Maria. Vi starete chiedendo cosa abbiano in comune la Vergine e i conigli. Non è un paradosso: visto che i leporidi sono così fertili, gli antichi greci e i cristiani di età medievale pensavano che potessero riprodursi senza avere rapporti… proprio come accadde a Maria secondo la tradizione. Il vero protagonista della celebrazione cristiana, però, è l’uovo che, insieme alla colomba, simboleggia la risurrezione di Gesù dal sepolcro.
Tuttavia, la tradizione dell’uovo come simbolo della vita ha origini medievali: le uova venivano bollite con delle foglie che rilasciavano il colore e poi venivano regalate alla servitù. I re trecenteschi invece, come Edoardo I, chiedevano per sé uova di Pasqua tutte d’oro. L’idea di inserirvi un regalo all’interno arrivò solo nella Russia ottocentesca grazie all’estro dell’orafo Fabergé, il quale creò, su richiesta dello zar Alessandro III, un uovo di platino smaltato di bianco con all’interno un uovo, una corona imperiale e un pulcino d’oro. Il prestigioso presente avrebbe allietato la zarina Maria Fëdorovna e avrebbe segnato per sempre l’immaginario di tutto il mondo.
Fatto sta che ormai anche da noi il coniglietto pasquale è diventato una tradizione e i gadget per ricordarcelo non mancano certo, per la gioia dei collezionisti!