mercoledì 16 gennaio 2013

The master



 Per filo e per segno:      la recensione di Paola

                                                                              The master






La critica era entusiasta: Leone d’argento al regista, Coppa Volpi  agli interpreti, un film da non perdere…. Purtroppo però si tratta dell’occasione perduta di creare  un capolavoro .
E allora subito un accenno alla trama cercando di dare un ordine logico alle immagini viste: è finita la 2.a guerra mondiale e due personalità  stravaganti e dirompenti  si incontrano…sono Freddie Quell ( un eccezionale, sgradevolissimo e bravo Joaquim  Phoenix) e Lancaster Dodd ( un altrettanto superbo Philip Seymour Hoffman) che si legano in un rapporto complicato.  




 












Freddie è  un marinaio reduce dalla guerra, 
alcolizzato, con  turbe sessuali e attacchi d’ira incontrollabili, Lancaster Dodd ,invece, è l’istrionico e visionario medico, fondatore di una organizzazione miliardaria detta la Causa che si sta propagando negli Stati Uniti. 
Un incontro fatale  nel quale ognuno dei due porta se stesso, la sua personalità e le sue instabilità.
Freddie diventa la cavia, lo strumento di Lancaster che su di lui sperimenta i metodi che poi imporrà alla  setta, ma a sua volta Lancaster si trova ad essere legato a doppio filo alla sua creatura e a subirne gli eccessi:  in un  misto di odio e amore, che poi li condurrà allo scontro finale.
Tra i due c’è la moglie di Dodd, Peggy, (l’ottima Amy Adams) manipolatrice e algida, che, in un primo tempo accoglie nella Causa il fragile e corrotto Quell, con la fanatica certezza di  salvarlo da se stesso, ma che poi lo allontana  duramente temendone l’effetto distruttivo sul marito e sulla Causa a cui è fortemente legata.






 
Il soggetto, originale e interessante, è stato osteggiato a lungo da Hollywood, in quanto sospettato di ironizzare sugli esordi di Scientology, a cui moltissime star aderiscono.
Ma il  regista Paul Thomas Anderson(geniale: ricordiamo  Magnolia e il Petroliere) , tornato sugli schermi dopo 5 anni di assenza, risolve purtroppo ogni problema trattando la sua opera con mano pesante e piena di lentezza e con un dialogo pieno di parole pronunciate l’una sull’altra.. Per cui la narrazione appare di difficile comprensione e lascia lo spettatore incerto e perplesso.




Eppure il regista e sceneggiatore usa il  formato 70 mm in modo straordinario, le ambientazioni negli anni 50 sono rese in modo perfetto, i montaggi e l’uso delle voci, che  molto spesso giungono da fuori scena con l’inquadratura ferma sul volto di un solo interlocutore, sono interessanti e le musiche di Jonny Greenwood  sono addirittura ammalianti.
Tutto il tessuto narrativo è sostenuto dai tre protagonisti che rendono al meglio l’atmosfera di quell’inizio degli anni 50 quando gli uomini e le donne, emersi dalle atrocità di una guerra mondiale, erano alla ricerca appassionata di un nuovo senso della vita.
Il film termina come inizia : con la visione del mare e della donna di sabbia un simbolo? Forse……….



Che peccato  : tutto poteva contribuire alla creazione di un vero capolavoro, ma lo spettatore si annoia.
paola.                                               

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