La tersa de otùber, la terza domenica di ottobre, si celebrava - immagino lo si continui a fare anche oggi - la festa del paese in cui mia madre era nata e cresciuta. Per l'occasione la famiglia era invitata a pranzo dalla zia Angioletta, così mio padre al mattino ci caricava in macchina e si disponeva di buon grado, perlomeno così lasciava intendere, a regalare alla mamma una giornata speciale.
Benché fosse sempre misurata nell'esprimere i propri sentimenti, si capiva al volo quanto lei fosse felice; scherzosamente dicevamo che "si leccava i baffi", perché il suo sorriso contenuto e sornione assomigliava proprio a quello di un gatto che aveva appena mangiato un topo.
Benché fosse sempre misurata nell'esprimere i propri sentimenti, si capiva al volo quanto lei fosse felice; scherzosamente dicevamo che "si leccava i baffi", perché il suo sorriso contenuto e sornione assomigliava proprio a quello di un gatto che aveva appena mangiato un topo.
Per mia madre quel giorno significava tornare alle radici, rivedere i luoghi dove aveva trascorso l'infanzia e l'adolescenza, incontrare i parenti e i parenti dei parenti, respirare l'odore di quel legno che rappresentava la materia prima dell'attività principale dei suoi compaesani : costruire mobili.
Prima di pranzo si faceva sosta al cimitero dove erano sepolti i suoi genitori. La maggior parte delle tombe mi apparivano austere con quella pietra annerita dal tempo e le fotografie color seppia dei defunti sembravano un po' inquietanti ai miei occhi di bambina. Molti apparivano straordinariamente giovani e la cosa mi stupiva, ma la mamma mi raccontava che quando lei era ragazza c'erano state epidemie che si erano portate via in poco tempo bambini e giovani; per non parlare della grande guerra che aveva lasciato tanti orfani e vedove, compresa sua sorella.
La zia Angioletta preparava per pranzo i piatti della tradizione locale, in onore della mamma. Anche quelli appartenevano al suo passato, perché dopo il matrimonio con un bergamasco nel 1925 aveva dovuto cambiare le sue abitudini alimentari.
Alla fine del pasto c'era ovviamente la torta nera paesana, un dolce di estrazione povera, fatta con il pane vecchio bagnato nel latte a cui venivano aggiunti cacao, uvette, pinoli, amaretti o altri biscotti secchi, secondo la disponibilità. Per questo non esisteva una ricetta precisa per prepararla e così nascevano le competizioni tra le varie famiglie e ingredienti segreti che si tramandavano di madre in figlia.
Purtroppo, quando nel pomeriggio si andavano a visitare i numerosi parenti, era d'obbligo mangiare la fetta di torta paesana ed era difficile trovare una scusa per sottrarsi, senza offendere qualcuno, anche se proprio non se ne poteva più...
Le famiglie vivevano quasi tutte nelle tipiche case "di ringhera", com'era consuetudine nei paesi della Brianza; erano gli anni '50 e non era ancora iniziato il boom dell'edilizia che avrebbe cambiato il profilo di paesi e città.
Fortunatamente, mentre gli adulti si attardavano in chiacchiere, ai più giovani era consentito fare un giro tra le bancarelle che vendevano dolciumi vari e castagne arrosto nel classico contenitore a cono fatto con la carta di giornale.
La cosa che mi incuriosiva di più erano le lunghe collane fatte di castagne, mi pare le chiamassero firùn , e la mamma raccontava che da bambina c'erano dei venditori che in autunno e in inverno giravano per le strade del paese con tutte le collane appese al collo.
All'imbrunire l'aria si faceva umida ed era tempo di tornare a casa. C'era uno strano silenzio in macchina, un po' per la stanchezza, un po' per gli eccessi di torta paesana, un po' per ripensare alle persone incontrate e già lasciate.
Con il trascorrere degli anni, e con i cambiamenti che ciò comporta, abbiamo perso la consuetudine di questa visita tradizionale, ma credo che a mia madre sia sempre rimasto nel cuore il ricordo del suo paese natale, fino a quell'ultima terza domenica di ottobre del 1988 quando, per una strana coincidenza del destino, se ne è andata per sempre.
La zia Angioletta preparava per pranzo i piatti della tradizione locale, in onore della mamma. Anche quelli appartenevano al suo passato, perché dopo il matrimonio con un bergamasco nel 1925 aveva dovuto cambiare le sue abitudini alimentari.
Alla fine del pasto c'era ovviamente la torta nera paesana, un dolce di estrazione povera, fatta con il pane vecchio bagnato nel latte a cui venivano aggiunti cacao, uvette, pinoli, amaretti o altri biscotti secchi, secondo la disponibilità. Per questo non esisteva una ricetta precisa per prepararla e così nascevano le competizioni tra le varie famiglie e ingredienti segreti che si tramandavano di madre in figlia.
Purtroppo, quando nel pomeriggio si andavano a visitare i numerosi parenti, era d'obbligo mangiare la fetta di torta paesana ed era difficile trovare una scusa per sottrarsi, senza offendere qualcuno, anche se proprio non se ne poteva più...
Le famiglie vivevano quasi tutte nelle tipiche case "di ringhera", com'era consuetudine nei paesi della Brianza; erano gli anni '50 e non era ancora iniziato il boom dell'edilizia che avrebbe cambiato il profilo di paesi e città.
Fortunatamente, mentre gli adulti si attardavano in chiacchiere, ai più giovani era consentito fare un giro tra le bancarelle che vendevano dolciumi vari e castagne arrosto nel classico contenitore a cono fatto con la carta di giornale.
La cosa che mi incuriosiva di più erano le lunghe collane fatte di castagne, mi pare le chiamassero firùn , e la mamma raccontava che da bambina c'erano dei venditori che in autunno e in inverno giravano per le strade del paese con tutte le collane appese al collo.
All'imbrunire l'aria si faceva umida ed era tempo di tornare a casa. C'era uno strano silenzio in macchina, un po' per la stanchezza, un po' per gli eccessi di torta paesana, un po' per ripensare alle persone incontrate e già lasciate.
Con il trascorrere degli anni, e con i cambiamenti che ciò comporta, abbiamo perso la consuetudine di questa visita tradizionale, ma credo che a mia madre sia sempre rimasto nel cuore il ricordo del suo paese natale, fino a quell'ultima terza domenica di ottobre del 1988 quando, per una strana coincidenza del destino, se ne è andata per sempre.
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