Quando sono andata all'università, sono uscita dalla provincia per approdare alla grande città: Milano!
A parte il disagio delle levatacce per prendere treni stile farwest dove ti cuocevi il sedere e gelavi per il resto, immersa nella nuvola del fumo dei pendolari che giocavano a carte, ero felice perchè ero finalmente grande: viaggiavo, studiavo senza tutori, ero padrona del mio tempo.
Con le amiche aprofittavamo delle ore buche per andare in centro a vedere le novità della moda.
Qui a Bergamo ci eravamo appena affrancati dalla sarta, ma quello che si trovava erano pochissimi negozi molto chic per signore abbienti, che non ci interessavano minimamente, oppure Upim e Standa dove pareva che la gente da bambina che era, diventasse adulta di colpo, senza passare per quell'età intermedia dove non si volevano più gonnelline a pieghe e non ancora abiti di couture.
A Milano, invece, c'era tutto!!
Il negozio che amavamo di più era il suo, quello di Elio Fiorucci
Lì c'era la moda giusta per noi: colorata, allegra, frizzante. Ma non solo! Da Fiorucci non c'era soltanto abbigliamento, ma si trovavano oggetti di ogni tipo e destinazione. Tutto sempre all'insegna del colore, della leggerezza e, soprattutto, del non costoso.
Fiorucci girava il mondo e portava a Milano da Londra, NewYork o Tokio, tutto quello che colpiva la sua fantasia. Allora non c'era internet e qui non si sapeva che cosa c'era dalle altre parti del globo. Ci pensava lui a farcelo conoscere.
Quello che potrei dire di Fiorucci è poco, lo si trova anche su Wikipedia. Ho trovato, però, un paio di interviste fatte a lui, che mi pare delineino la sua filosofia e il suo modo di essere, molto meglio di quanto potrebbe fare chiunque. Meglio dare la parola a lui....quindi queste interviste le copio qui pari pari:
ELIO FIORUCCI: Beh, vedi, il mio lavoro è quello di 'cercare' delle cose e riproporle in un gioco dove ci sia sempre l'ironia...
GRAZIANO ORIGA: In Florida - Miami e Key West - dove ho vissuto per vari anni, ho conosciuto tanta gente che non mi credeva quando dicevo di conoscerti personalmente. Mi urlavano: "Ma non esiste una persona in carne ed ossa che si chiama Fiorucci! È un marchio". E io gli rispondevo che esistevi, come esiste mister McDonald (che però adesso è morto, a 92 anni)...ELIO: Però a me piace che non si pensi a me persona ma a un lavoro collettivo. Io non disegno niente perché i nostri capi non sono 'disegnati'. Non sono uno 'designer' solo perché mi viene in mente di usare una vignetta di un Corriere dei Piccoli del 1940.
GRAZIANO: Ti piace più la boutique o il supermercato?...
ELIO: Il supermercato, mille volte di più. Amo tutto ciò che è popolare.
GRAZIANO: Sei interessato al look guerra?...
ELIO: I valori sono bisogni, e io non sento questo bisogno.
GRAZIANO: Ricordo le tue figurine degli anni anni Ottanta. Dei bei rotoloni quando non erano ritagliate. Dovresti metterti lì e pensare di rifarle...
ELIO: Sì, e le dedicherei ancora al mito americano... Oppure alla Serenità. Anzi meglio, all'Amore.
Questa l'ho presa da qui:
Quest'altra, invece, l'ho presa da qui:
eccola:
Stilista, imprenditore, cacciatore di novità, creativo, designer, comunicatore, pacifista, rosa, cuore. MozArty ha incontrato Elio Fiorucci, ed è stato amore alla prima domanda.
MozArty: “Sono nato con un progetto d’amore”. Meraviglioso. L’ha realizzato?
Elio Fiorucci: (Ride, NdI) Tutti nasciamo con un progetto d’amore!
M: Tutti crediamo di nascere da un progetto d’amore, ma di persone con un progetto d’amore ne conosco poche…
EF: Veniamo al mondo e l’amore vogliamo incontrarlo. Vogliamo incontrare il bello e il buono e, a volte, lo incontriamo anche. Altre no. La vita è una cosa complessa: si viene al mondo con un progetto d’amore, e purtroppo a volte non si riesce a realizzarlo.
M: Lei però rimane ottimista…
EF: Ah, questo sì! Guai a chi non lo è! Se non hai una visione positiva di ciò che puoi realizzare nella tua vita è un guaio. Io credo si possa, si debba e si debba voler vivere in un mondo migliore.
M: Magari ci aiuterà un angelo: c’è un dibattito aperto in rete sull’origine dei famosissimi angioletti. Se non sbaglio è con Italo Lupi (architetto, grafico e designer cagliaritano di fama internazionale, NdI) che ha deciso di farne un’icona-Fiorucci, ma l’opera originale di chi è?
EF: Non se ne conosce esattamente l’origine. C’è chi parla di un pittore tedesco del Settecento, c’è chi dice vengano dalla Svezia e chi parla di una cosa vittoriana… Eravamo negli Anni settanta e avvertivo la necessità di dare all’azienda un tocco di spiritualità. Dissi ad Italo Lupi che avevo bisogno di qualcosa di commerciale che fosse però in grado di rappresentare questa spiritualità. Lui mi disse che più forte della figura degli angeli non c’era nulla: gli angeli sono in tutte le religioni messaggeri di serenità, e nella nostra cultura c’è anche l’idea dell’angelo custode… Ma a dire la verità, la cosa che mi colpì sopra ogni altra fu proprio l’immagine di questi due angeli in particolare: uno era, anzi è, moro; l’altro è biondo, ed entrambi guardano al cielo con questi occhioni buoni… Decisi immediatamente di tenermi quell’immagine vicina, e così è stato. E’ tutto molto semplice, come spesso nella vita.
M: Rimaniamo in quegli anni. Mi parli della Sua esperienza negli States, di Warhol che lanciò la rivista Interview nello ‘store’ Fiorucci di New York…
EF: Se digita in YouTube “Warhol” e “Fiorucci” può vedere un filmato di Andy e Truman Capote in quel negozio, mentre firmano copie di quella rivista e di un libro che avevano prodotto insieme. E’ stata una cosa straordinaria: Warhol, dopo aver visitato il negozio Fiorucci, scrive nel suo diario di attento osservatore dei tempi delle cose divertenti, come che il negozio gli piace molto perché è tutto di plastica (Ride, NdI)…
M: Vi rendevate conto che stavate cambiando il mondo?
EF: No. Al momento non ti rendi conto di quanto un personaggio possa essere importante… Non ci si rende mai conto di quel che sta succedendo; è così nella vita: mentre viviamo un momento non capiamo quanto possa essere importante per la società che ci circonda, e nemmeno per noi stessi.
M: Quindi non si è reso nemmeno conto del fatto che i Suoi negozi fossero una sorta di portale culturale, di isola pop, di fil rouge, anzi multicolor, in grado di legare il cliente e l’arte —almeno un certo tipo di arte—, luoghi capaci di produrre cultura di massa?
EF: No, devo dire la verità: io ho sempre fatto le cose che mi piacevano. Non ho mai pensato di fare qualcosa di speciale, e meno male! Alla fine, se fai qualcosa che ti piace in maniera istintiva, è molto probabile che piaccia anche agli altri. Io ho vissuto la rivoluzione culturale degli Anni settanta, e ci tengo a dire che non va confusa con la rivoluzione politica: vedevamo —parlo al plurale perché eravamo in tanti— vedevamo nel cambiamento del costume la possibilità di una vita diversa. Guardavo Londra e vedevo la libertà: tutti ne eravamo affascinati.
M: Lei è andato a Londra a 25 anni, quando Londra era l’ombelico del mondo. Oggi un venticinquenne dove dovrebbe andare?
EF: Oggi siamo fortunati perché c’è Internet. E’ un miracolo. Nessuno avrebbe potuto immaginare, in quegli anni che stiamo raccontando, di poter dialogare con le persone sparse sul Pianeta guardandole in faccia. Questa è una rivoluzione ancora più potente di quella degli Anni settanta. Quella era un’idea; questa è una realtà. Posso andare a vedere Tokio, una vetrina di New York… Questo è un grande regalo. Nessuno avrebbe potuto immaginare che sarebbe arrivato uno strumento quasi gratuito tanto sconvolgente. La cosa straordinaria è pensare che in Internet sia raccolto tutto il sapere degli uomini, e che questo sapere sia condiviso. Siamo solo all’inizio di una grande rivoluzione pacifica che cambierà la vita degli uomini. Eccolo: siamo destinati ad un progetto d’amore.
M: Se non sbaglio, negli Anni novanta da Fiorucci a Milano già si navigava…
EF: E’ vero. A me piace tutto ciò che è nuovo. Dietro al mio modo di lavorare non c’è una filosofia precisa, ma soltanto la curiosità di una persona che vede nel nuovo, nel cambiamento e nella rottura degli schemi uno spazio di libertà. Tutto qui.
M: Parliamo di virtualità, sì, però l’approccio di Fiorucci alla realtà mi pare tutt’altro che virtuale, anzi decisamente sensoriale…
EF: Esatto! Io faccio sempre questa distinzione: non dobbiamo confondere il sensoriale col virtuale. Noi ci teniamo alla sensorialità. Un negozio Fiorucci colpiva tutti i sensi: c’erano i profumi, i quadri, la musica… La trasmissione di certi concetti deve essere fisica. Non si devono mai fare sottrazioni, ma somme: il virtuale è una possibilità in più.
M: Il negozio Fiorucci era però anche un altare al consumismo: “vado a comprare qualcosa da Fiorucci”. Quel tempo è finito? Sta finendo?
EF: Perché guardare sempre al consumismo come a qualcosa di sbagliato, da punire? Perché non accettare che chi non ha avuto desideri avere? E’ nell’animo dell’uomo il desiderio e sì, la felicità può arrivare anche attraverso un vestito nuovo. Esiste il buon senso, e non devono esserci lo spreco e l’eccesso, ma trovo assolutamente legittimo il desiderio di consumare. L’abbondanza di merci presente nei supermercati rappresenta e soddisfa un nostro bisogno.
M: Del resto, la percezione del marchio Fiorucci non è mai stata legata al lusso, a qualcosa di dispendioso, ma a qualcosa che nel lusso, nel dispendioso, non sfigura. Fiorucci è davvero cheap&chic, certo più cheap di quanto non lo sia Moschino Cheap&Chic, e forse altrettanto chic…
EF: Io non ho mai pensato che il bello debba essere necessariamente caro. Credo che il buon gusto sia un bene disponibile a tutti, e il bello lo si riconosce. Puoi comprarti una camicetta indiana o un sandalo marocchino… Io ho sempre girato il mondo cercando nei mercatini, perché l’uomo ha disegnato e prodotto delle cose meravigliose che non sono ancora state viste dal grande pubblico. Agli inizi della Fiorucci io facevo il giro del mondo e portavo a Milano delle valigie piene di cose mai viste e assolutamente accessibili. Il bello è bello, poi certo ci sono delle cose belle e care…
M: Lei ha sdoganato le Espadrillas, il batik, le ballerine… E Topolino. Sua è l’idea di farne un’icona da T-shirt…
EF: Questa è una cosa divertente. Noi avevamo preso la licenza e avevamo fatto delle magliette per ragazza, poi abbiamo fatto una pubblicità in cui appariva una ragazza a seno nudo che si infilava una maglietta di Topolino. In un primo momento la Disney si scandalizzò, poiché non voleva facessimo cose per adulti coi loro personaggi, ma poi capì che non vi era assolutamente volgarità. Avevamo aperto una moda: ne vendemmo milioni di pezzi. Siamo stati i primi non solo ad associare i personaggi Disney all’età adulta, ma anche a mostrare il corpo nudo in pubblicità. Io ho sempre sostenuto questo: il corpo non è colpevole. Il corpo è bello, e se il buon Dio ci ha mandato una bella ragazza, non vedo perché dobbiamo nasconderla, o farla nascondere. Un tale un giorno mi chiese perché accostassimo gli angeli alle pin-up: una pin-up non è forse un angelo?
M: La grande rivoluzione del costume è esserselo tolto…
EF: La gente intelligente capisce che non c’è nulla di peccaminoso nella nudità. Anche una persona col cappotto può essere volgare!
M: Le T-shirt Disney hanno inaugurato un filone, quello delle icone infantili sfoggiate dagli adulti…
EF: Noi adesso abbiamo il nanetto come immagine. Il nanetto fa parte della nostra fantasia, e non c’è bisogno di essere dei bambini per sognare un attimo una favola. E poi, siamo tutti un po’ bambini! Chi se ne importa se lo sembriamo anche… Non capisco questa paura di essere giudicati, e ancor meno la paura di essere giudicati infantili: non è un delitto e, a mio parere, non è nemmeno brutto.
M: Dall’idea all’ideologia: “Abbiamo attraversato tante sofferenze e tanti sbagli. Abbiamo avuto le ideologie”. E’ una colpa della Sua generazione?
EF: Tutti quando siamo giovani vogliamo cambiare il mondo e cerchiamo delle soluzioni, poi magari ci accorgiamo che ciò che sembra una risposta al problema in realtà lo peggiora. Così è stato per tante ideologie dello scorso secolo: tanta gente che pensava di migliorare il mondo, di dare delle risposte, ha fatto danni enormi. E’ un discorso molto complicato e molto semplice: l’importante è avere la volontà di cambiare, ma più importante è stare attenti a non minare la libertà di nessuno. Quando qualcuno ti toglie libertà in nome di qualcosa è meglio trovare rifugio nell’anarchia e nell’incertezza.
M: E dove si rifugia quando vuole scappare da Milano?
EF: In campagna. Camminando in un bosco senti il senso dell’eternità. Amo i prati e i pascoli. Io ci sono cresciuto in campagna: ho amato sin da ragazzino la pace che viene dalla natura, dall’erba, dall’odore del fieno.
M: Cosa, chi vorrebbe essere?
EF: Vorrei essere Madre Teresa di Calcutta. Vorrei essere un idealista così idealista da rinunciare a tutto perché qualcun altro abbia tutto. E questo tutto è la gioia, la gioia di un amore.
M: Ha il dono della fede?
EF: Le dò una risposta presuntuosa, che è la stessa di Einstein: io ho una religiosità cosmica. Sento che c’è un progetto sopra di noi e ammetto di non capire quale sia ma, di fronte al tramonto o in mezzo al deserto capisco che, anche se mi sfugge, c’è qualcosa di più grande di noi comuni mortali, qualcosa di meraviglioso e straordinario che esiste. Il nostro piccolo genoma è parte del genoma cosmico: noi siamo una piccolissima parte di ciò che esiste ed io, in certe situazioni, mi sento in armonia col creato.
Il sito di Fiorucci è tutto da vedere, diverso dagli altri, naturalmente:
un sito allegro, sempre nello stesso stile di chi ha svecchiato la nostra giovinezza e al quale dobbiamo dire grazie per la sua allegria!