sabato 28 aprile 2012

C'era una volta...(Quarta parte)

Del ritorno a casa della famiglia, e della mia "prima volta", non conservo alcun ricordo, né personale (avevo solo sei mesi) né di altri.
Per quanto mi  riguarda penso che in quel periodo il mio interesse fosse concentrato su una cosa sola: il seno di mia madre,bianco, morbido e soprattutto sempre disponibile.




Mio padre amava i quadri e in casa ce n'erano parecchi appesi alle pareti, tra gli altri il ritratto a mezzo busto di una dama che metteva in bella mostra un ampio décolleté.


La mamma raccontava che ogni volta che guardavo quel quadro, invariabilmente pronunciavo la parola "pappa".
Altro che sindrome di Stendhal!!
A parte una forma acuta di morbillo  che a due anni stava per portarmi via, è probabile che abbia trascorso la mia primissima infanzia sommersa di coccole e di attenzioni da parte di tutta la famiglia.





I ricordi più lontani risalgono, credo, al '48, quando avevo tre anni e mezzo, quattro, ma si trattava di immagini, suoni, sensazioni non organizzate : la ricerca in giardino di un fantomatico cestino pieno di uova di cioccolato lasciato sotto un cespuglio da un'altrettanto fantomatica lepre (come voleva farmi credere il fidanzato di mia sorella Alma) ; il cuscino di raso con gli anelli per gli sposi che dovevo portare all'altare come damigella il giorno delle nozze ; l'odore della camomilla con cui mia madre mi curava il mal di pancia ..... cose così.
Intanto con il passare del tempo imparavo giorno per giorno a costruire il mio porto sicuro all'interno di quel guscio, di quella casa.
Dalla familiarità delle stanze in cui si svolgeva la nostra vita quotidiana veniva un messaggio di certezza, di stabilità, di appartenenza.



E poi c'erano altri spazi che sembravano fatti apposta per suscitare curiosità, stimolare la fantasia, sviluppare la creatività, soddisfare la necessità di gioco propria dell'infanzia.
Nel seminterrato il vecchio rifugio contro i bombardamenti era tornato ad essere una normale cantina per conservare il vino e  l'accesso al tunnel per le uscite d'emergenza era stato murato, tuttavia dallo sbocco sul giardino si poteva ancora sbirciare dentro quel buco nero e qualche brivido correva lungo la schiena....
La cosa più interessante del seminterrato era però la "camera oscura", naturalmente off limits. Mio padre, che era appassionato di fotografia e non si accontentava di perseguitarci con gli scatti della sua Leika, si era costruito un vero e proprio laboratorio  dove  sviluppare foto, fare ingrandimenti, ritocchi, esperimenti vari. L'accesso era consentito solo in sua presenza : c'erano bacinelle di smalto bianco profilate di blu, boccetti di acidi e reagenti,pellicole, diapositive, tutto disposto ordinatamente sugli scaffali, ma la vera magia iniziava quando mio padre immergeva un foglio bianco nella bacinella. La stanza era completamente al buio ad eccezione di una fioca luce azzurrina che proveniva da una lampada speciale.Papà iniziava a contare sottovoce 101,102,103....e sul foglio di carta apparivano ombre indefinite che piano piano diventavano immagini riconoscibili. Ancora oggi se devo misurare un tempo breve senza orologio o contaminuti, dico anch'io sottovoce 101,102,103..., perchè mio padre mi aveva spiegato che l'inserimento del 100 serviva a calcolare correttamente la lunghezza dei secondi.
Anche quello che veniva impropriamente definito solaio era uno spazio dove fare piacevoli incursioni. La sua superficie era uguale a quella dei piani sottostanti ma i soffitti erano bassi e spioventi. C'era una camera per gli ospiti con i letti gemelli vestiti di crétonne a fiori e uno stanzone di stoccaggio come in tutti i solai che si rispettano : c'era il cassettone per le trapunte con il doveroso effluvio di naftalina, c'era la collezione delle Domeniche del Corriere rilegate in grossi volumi e quella del Corriere dei Piccoli con le avventure del Signor Bonaventura... ricco ormai da far paura..., c'era il "saccodellepezze" dove finivano i vecchi ritagli di stoffa che potevano diventare utili per il guardaroba delle bambole. In autunno quando i cachi erano quasi maturi, venivano messi nei cesti e issati con delle corde fino al solaio dove venivano stesi su assi di legno per completare la maturazione.
Nella bella stagione il giardino diventava il posto favorito per i giochi, ma di questo vi racconterò nella prossima puntata.


(continua)

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