martedì 22 dicembre 2015

Gospel e Spiritual

 Da Wikipedia e http://mountgreenpeoplegosp.xoom.it/virgiliowizard/breve-storia-della-musica-gospel?SESS7a619f0555d27b32d5312ff1381cbce4=c8fc4957f7c

Il termine gospel, in inglese, significa Vangelo (God's spell), buona novella, "parola di Dio": i testi infatti, si ispirano alla Bibbia (soprattutto il libro dei Salmi). 



Il termine gospel può riferirsi a 2 generi musicali apparentemente affini: l'uno, strettamente legato alla musica religiosa, molto simile alla canzone corale spiritual, che emerse nelle chiese afroamericane cristiane-metodiste negli anni trenta; l'altro, alla musica religiosa composta diffusa e suonata successivamente da artisti di qualunque fede o etnia, soprattutto del sud degli Stati Uniti d'America, e diffusa poi nel resto del mondo. 
La divisione tra America nera e America bianca e quindi tra chiesa nera e chiesa bianca ed anche tra musica nera e musica bianca , tenne questi stili separati, ma mai in modo assoluto. Entrambi gli stili nascono da inni corali cristiani-metodisti degli afroamericani, a loro volta nati dagli antichi canti spontanei durante le giornate di lavoro della schiavitù negli Stati Uniti d'America, spesso nei campi agricoli del cotone.



 La storia di questo genere è complessa e articolata, e si sviluppa attraverso un paio di secoli di mutamenti sia sociali che culturali.
Ci si riferisce al Gospel per comprendere una serie di generi diversi che nascono tutti dalla stessa radice afro-americana: dagli schiavi strappati alle loro terre e costretti a vivere e lavorare in un mondo che era loro ostile.
La musica rappresentò per gli schiavi Neri d’America il solo conforto ed il solido sostegno ai tormenti fisici e morali subiti. 




La musica e la danza si praticavano in Africa quasi senza interruzione; erano l’espressione della religiosità africana. Ogni evento della comunità era scandito dalla danza rituale e dal suono degli strumenti a percussione, a corda e a fiato; i ritmi e le melodie rappresentavano un vero e proprio linguaggio sociale per veicolare informazioni importanti e per esprimere pensieri ed emozioni.




Gli schiavi erano persone letteralmente spogliate da ogni diritto di essere umano e riversavano nel canto e nella preghiera a Dio tutto il dolore per le umiliazioni subite e allo stesso tempo la speranza che un giorno tutto quel dolore cessasse. Cantavano per darsi il ritmo nelle dure e interminabili giornate di lavoro nei campi, cantavano per poter comunicare con i propri fratelli in un linguaggio in codice per pianificare tentativi di fuga, o adunanze.


La musica nera è definita come una musica di unità, ovvero una musica che unisce la gioia e la tristezza, l’amore e l’odio, la fede e la disperazione degli Schiavi Neri d’America che nella loro difficile condizione sociale trovarono nella musica religiosa la sola forza per sopravvivere. 



I testi delle canzoni hanno per lo più un contenuto sociale, avendo sempre presente la dimensione comunitaria del canto. Infatti il musicista è interprete della vita della comunità: la sua è una canzone popolare.
Il testo, comunque, è sempre secondario alla musica: sono le parole che si adattano ad essa e non viceversa.

Il genere Gospel  non fu altro che un’evoluzione dello Spiritual, l’espressione di un genere di musica religiosa, i cui testi di carattere soggettivo ed esortativo, erano generalmente interpretati da un solista e centrati su un unico tema, come la conversione, la salvezza e la ricerca della spiritualità.




E’ probabile che le più antiche forme di fusione fra la tradizione musicale Nera e quella Bianca siano stati i work songs , cioè le canzoni di lavoro.

Si tratta di canti semplici, senza accompagnamento musicale, usati per cadenzare il lavoro ed eseguiti generalmente seguendo lo schema del Call and Response, cioè l’alternanza di un solista e del coro.

Questo stile musicale spesso era (ed è tuttora) in modalità solo vs coro, cioè ad una breve frase canora, eseguita da un solo cantore (nei campi di schiavitù era cantata da un solo schiavo) si alternava la risposta di tutto il coro (all'epoca appunto, il resto degli schiavi che stavano lavorando). Mentre lo spiritual rimase più semplice a livello musicale, il gospel si raffinò e si arricchì nel tempo, con l'aggiunta di basi ritmiche del blues e del rhythm and blues, e si diffuse marcatamente in tutto il mondo occidentale. 


Al canto, era sempre associata la danza.





Ring Shout   

Erede della più comune forma cerimoniale africana, il ring shout venne per lungo tempo osteggiato dalle chiese ma, a causa delle sue profonde radici culturali, continuò a rimanere la forma preferita di espressione religiosa delle comunità Nere del Sud.

Il ring shout  è una sorta di danza e, in tal senso, il ruolo della musica e del canto è funzionale: si canta per danzare. Questa danza consiste in un movimento antiorario circolare e lento in cui i piedi vengono strascicati e si agita in modo più significativo la parte alta del corpo. I piedi sono trascinati, senza incrociare le gambe, per dimostrare che la loro non è una danza (proibita dalle comunità cristiane bianche durante le cerimonie).

Poiché nelle piantagioni è anche proibito il suono dei tamburi, questo è sostituito dal battito delle mani e dei piedi e, in certi casi, dal picchiare di un manico di scopa sul pavimento di legno.

E ieri sera siamo andati, Mianna, Giorgio e io, a sentire un concerto di questo gruppo:



quattro donne e tre uomini, più un tastierista ed un batterista.
Per la verità ieri al posto dell'uomo con gli occhiali ce n'era un altro: un bianco, che spiccava in mezzo agli altri per la diversità del colore della pelle, ma che si adattava molto bene alle voci notevolissime degli altri componenti.
Forse Gesù si è abituato, ma io, all'inizio, ho fatto un po' fatica: temevo per il mio udito, tanto potente era il coro. Il pavimento del palco tremava!!
E' stato un bellissimo spettacolo, il gruppo è fantastico sia, appunto, come gruppo, che ciascuno di loro come solista. Ognuno, infatti,  ha avuto una parte personale  nello spettacolo e non saprei dire quale voce fosse la migliore e la più potente.
Mi aspettavo canzoni del genere di quelle preparate dai ragazzi della scuola di suor Maria Claretta, nel film Sister act, invece erano tutti pezzi a me sconosciuti, tranne il famosissimo Amazing grace. Sul finale, però, gli Harlem voices, hanno intonato We are the world e hanno invitato tutto il pubblico a cantare. E per il bis, abbiamo cantato tutti a gran voce Oh happy day con il dottor Turner che girava fra il pubblico offrendo il microfono qui e là.
Non è mancata nemmeno una performance di ballo, da parte del secondo della fila: l'unico non in sovrappeso del gruppo!
Nel complesso una bella serata, molto diversa dal solito e da ricordare.



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