venerdì 11 luglio 2014

Letti e riletti

Il mio pusher di libri preferito, Dindi,  in questi giorni, come ben sapete, è alle prese con i gialli della Mary Higgins Clark , così non avendo tempo e voglia di andare in libreria, onde evitare una imbarazzante crisi di astinenza, ho scartabellato nella biblioteca di casa alla ricerca di qualche libro letto secoli fa e del tutto, o quasi, dimenticato.




La scelta è caduta su questo tascabile del '67, periodo in cui Erich Maria Remarque godeva di grande popolarità non solo per i suoi libri, ma forse anche per le sue vicende personali.






Erich Maria Remarque, pseudonimo di Erich Paul Remark, nacque a Osnabruck nel 1898 in una famiglia cattolica. A diciotto anni fu sollecitato ad arruolarsi  e si trovò presto a combattere sul fronte francese nord- occidentale presso Verdun, dove visse in prima linea uno dei combattimenti più aspri della prima guerra mondiale, la battaglia delle Fiandre.
Dall'esperienza di guerra, che lo porterà a soffrire di profonde crisi depressive per tutta la vita, nasce il suo capolavoro Niente di nuovo sul fronte occidentale, romanzo- diario che ricostruisce la vita in trincea di un gruppo di giovani studenti tedeschi. L'opera viene pubblicata con il nome di Erich Maria Remarque, che era stato il cognome della famiglia fino a suo nonno.

In seguito scrisse altre opere sullo stesso tema, tra cui appunto Tempo di vivere, tempo di morire.
Nel 1933 i nazisti bruciarono e misero al bando le opere di Remarque, mentre, secondo alcuni biografi, la propaganda faceva circolare la voce che discendesse da ebrei francesi e che il suo cognome fosse Kramer, cioè il suo vero nome al contrario.
Remarque si era trasferito in Svizzera nel 1931e nel 1939 emigrò negli Stati Uniti con la prima moglie, Ilsa Jeanne Zambona, che sposò e dalla quale si separò due volte. Nel 1948 tornò in Svizzera e dopo una relazione con Marlene Dietrich, sposò nel 1958 l'attrice Paulette Goddard che rimase con lui fino alla morte  nel 1970.




Dal libro è stato tratto un film di produzione americana nel 1958, con la regia di Douglas Sirk. Liselotte Pulver interpreta il ruolo di Elizabeth Kruse e un giovane John Gavin quello di Ernst Graeber.
Lo stesso Remarque appare in un cameo nel ruolo del vecchio professore  Pohlmann, un insegnante di religione dichiaratamente avverso al regime nazista.

Remarque racconta nel suo romanzo che da due anni il giovane protagonista Ernst Graeber combatte senza sosta sul fronte russo, adattandosi, per così dire, agli orrori quotidiani a cui assiste e da cui non può estraniarsi. Ormai non spera più di poter tornare, sia pur brevemente, alla sua vita di un tempo, alla sua famiglia , alla sua città, quando inaspettatamente arriva il permesso per una licenza di due settimane.
Ernst è incredulo e nel lungo viaggio verso casa teme che il suo sogno per mille motivi imprevisti non possa avverarsi. Ma quando finalmente si sente pronto  ad assaporare la gioia del ritorno, ecco che ai suoi occhi si presenta una città devastata dai bombardamenti, le macerie di una casa che non c'è più, i genitori dispersi chissà dove o forse morti.

Se al fronte aveva potuto sopportare le atrocità della guerra in uno stato di trance emotivo, ora Ernst non può più ignorare la voce della coscienza, nè sottrarsi agli interrogativi sul senso di ciò che sta accadendo.
Consapevole di essere sia pure non volontariamente corresponsabile della tragedia che si sta compiendo, incontra casualmente Elizabeth, una ex compagna di scuola, figlia del suo medico di famiglia, ora deportato in un campo di concentramento, e con lei cercherà di ridare un significato alla propria esistenza in un rapporto di struggente tenerezza e infinito rimpianto per ciò che ormai è irrimediabilmente perduto. Alla fine della licenza Ernst dovrà tornare al fronte perchè non può fare altro, e morirà, perchè anche in questo caso, non potrà fare altro.  

Confesso che durante la rilettura di questo libro ho dovuto concedermi molte pause perchè il senso di angoscia che mi procurava era a volte insostenibile. Infatti, nonostante il periodo storico in cui si svolge la vicenda mi sia stato raccontato per anni nei dettagli più drammatici, non mi è possibile  liquidarlo come una pagina di storia definitivamente chiusa. 

Ma non voglio annoiarvi con le mie riflessioni...al contrario vorrei proporvi la lettura di una pagina del libro che a me ha fatto l'effetto di una carezza.

Premessa : Ernst ed Elizabeth si sono sposati con una sbrigativa cerimonia civile, la licenza sta per finire e Ernst invita la giovane moglie a spendere  i pochi soldi che gli sono rimasti in tasca - e che comunque non gli serviranno al fronte - acquistando qualcosa di folle, un oggetto assolutamente inutile. Con lei entra in un negozio di cappelli ...

La proprietaria li condusse in una stanza dietro al negozio oscurato e incominciò con Elisabeth una conversazione della quale Graeber non capiva una parola; perciò si mise a sedere su una fragile seggiolina dorata accanto alla porta, mentre la proprietaria accendeva la luce davanti a uno specchio e cavava cappelli e stoffe da grandi scatole di cartone. Il grigio negozio si trasformò improvvisamente in una caverna magica. L'azzurro, il rossso, il rosa e il bianco dei cappelli divamparono in mezzo a uno scintillio di broccati multicolori come si trattasse di corone da provare per una festa misteriosa. Elisabeth si muoveva entro la cascata di luce davanti allo specchio come fosse appena uscita da un quadro e dietro a lei scendesse il crepuscolo che invadeva il resto della stanza. Graeber osservava in silenzio quella scena quasi irreale dopo tutto ciò che aveva vissuto durante la giornata. Per la prima volta vedeva Elisabeth fuori del tempo, abbandonata a un gioco profondo e spontaneo, coperta di luce, di tenerezza, di amore, seria e raccolta come una cacciatrice che provi le armi per la battaglia.
Senza ascoltare udiva il parlottare sommesso delle due donne come il mormorio d'una fontana, vedeva il cerchio luminoso che circondava Elisabeth come se emanasse da lei, la amava e la desiderava dimenticando ogni cosa per quella tacita felicità dietro alla quale sorgeva l'inconcepibile ombra della perdita, ma soltanto per rendere quella felicità ancora più profonda, più luminosa e preziosa e fugace come i riflessi di quei cencini di seta e di broccato.
" Un berretto" conchiuse Elisabeth " un semplice berretto d'oro che stringa la testa."


















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