venerdì 4 aprile 2014

A proposito di Davis

      Le recensioni di Paola   
  

A PROPOSITO DI DAVIS
Parlare di questo film mette in difficoltà, perché contiene immagini, suoni e suggestioni che hanno fatto parte anche della nostra vita di ragazzini e che ci hanno coinvolto a fondo…il movimento pacifista,  la guerra del Vietnam, la presidenza piena di speranza di Kennedy.

Comunque….la storia inizia nell’autunno del 1961 quando il Greenwich Village ancora non è il sogno dei cantanti folk ma solo il pezzetto di libertà per una generazione che voleva cambiare il mondo: e in questo momento storico sembra sospeso tra due pause musicali.






Ispirato dalla vita di Davis von Ronk (Oscar Isaac, bella dura faccia tra il sognante e il pervicace, è LLewyn Davis) il film si apre sul cantante che, con una chitarra in spalla, tutto arruffato e un gattone rosso tra le braccia, dopo essere stato picchiato in un vicolo, dietro il Gaslight Cafè, dopo aver dormito in casa di amici e aver rincorso e catturato il famoso gatto si mette in viaggio con un anziano grossissimo drogato cantante jazz e un ambiguo giovane autista. 




Un viaggio che si svolge non solo lungo i chilometri da New York a Chicago, ma attraverso la vita solitaria, senza altro calore che la musica e la necessità di confrontare i suoi sogni e le sue aspirazioni con il realistico giudizio del manager Bud Grossman (Murray Abrahams) che, feroce Caronte, gli nega l’ingresso nel mondo del successo..

Ogni spazio è riempito da ottimi brani folk americani alcuni dei quali sono eseguiti integralmente e dal vivo proprio dagli interpreti Isaac, Carey Mulligan e Justin Timberlake (la coppia di amici di Davis), mentre Al Cody è interpretato da Adam Driv e il soldatoTony Nelson da Stark Sands.



Così si riascoltano Please Mister Kennedy, 500 miles, la Ballata The Death of Queen Jane e poi in conclusione la bellissima Farewell cantata proprio da Dylan che in quell’anno sbarcava al Green, assetato di applausi.

Anche in questo film si trova quel movimento circolare tanto caro ai fratelli Coen e, infatti, la narrazione procede sviluppando una vicenda che si protrae per brevi giorni e in pochi ambienti, facendo rivivere, grazie alla bella fotografia di Bruno Delbonnet, le precarie condizioni di vita di questi primissimi e mai giunti al successo folksingers.



In alcuni momenti il freddo che entra nelle ossa di Davis sembra quasi palpabile come la sua crudezza e il suo rifiuto di ogni legame affettivo…la ragazza, il padre perduto nel suo mondo, la sorella….tutti rifiutati, tutti tenuti lontano.

Solo la memoria dell’amico che si è suicidato lo sconvolge.

Si incontrano ad ogni passo piccoli camei disegnati a tutto tondo, come l’altra coppia di amici più anziani, fedeli, pronti a donare ammirazione, un letto e un posto caldo, l’impresario imbroglione con la sua sorda segretaria, il jazzista drogato di John Goodman e infine il gatto…che nella scena sulla metropolitana sembra recitare in simbiosi con Davis…...incredibile, tutto da godere.



E’ un film affollato di interpreti, di nostalgia, di musica e di situazioni imprevedibili e amare, ma anche ironico e sottile che si conclude come inizia….

E che illumina una storia sconosciuta, oscurata dal successo planetario che arrise a Bob Dylan, il più grande di tutti .



paola

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