giovedì 24 maggio 2012

Per non dimenticare - capitolo terzo



I tedeschi ci avevano visto bene ad accamparsi lì accanto, proprio nell ‘area dove c’erano i macelli pubblici, a due passi dalla nostra casa, lo credo, era come stare in un paradiso terrestre… non mancava niente.. dalle viti agli olivi e agli alberi da frutto di ogni  tipo.

Vi si accedeva alla sinistra del pollaio e si camminava per  metri e metri e tutto intorno c’era un pergolato fitto e ramificato  che aveva creato come una specie di galleria . 

Un’altra struttura in muratura era al centro dello spazio antistante la casa.

Si trattava di un vasto rialzo che accoglieva un grande tavolo tondo in cemento e, da una parte, il pozzo, e aveva per tettoia un altro pergolato fitto e rigoglioso con uva colombana e uva fragola.

Alzando gli occhi sembrava un quadro dipinto, avente per tela il cielo.

Ad essere sinceri, si era creata un’amicizia con quelli del campo… inevitabile, se ci si sveste dell’uniforme e si ragiona da esseri umani... basta non avere un cuore pietrificato..se poi c’è la complicità del  buon cibo e di un bicchiere di vino, il resto viene da sé.

Questo a dire il vero, ci dava un po’ di tranquillità.

C’era sempre un ragazzino di paese che faceva da  portavoce  e   avvertiva se c’era  pericolo o stava accadendo qualcosa .

Anche quel giorno si udirono parole come “I tedeschi !!

 I tedeschi rastrellano gli uomini.. Sono dal Cangia!”, prendendo a riferimento un punto preciso , dove appunto abitava questo Del Cangia.

In genere, per sicurezza, le volte precedenti, sia lo zio che il babbo si nascondevano alla velocità della luce dove nessuno avrebbe mai cercato,  cioè negli ingranaggi del mulino che ne consentivano un occultamento più che perfetto.

Le due macine di cui dicevo prima erano nella prima stanza ma stavano sopraelevate  su una specie di soppalco piuttosto alto.

Ai piedi di questo basamento, era stata ricavata nel muro una porticina alta circa 70 cm.

 Entrandoci si accedeva alla parte inferiore degli ingranaggi appunto e due persone, non particolarmente abbondanti nel peso, ci potevano stare e neanche troppo scomode.. ed era proprio il caso del babbo e dello zio materno.

Quella volta il babbo non si nascose perché non c’era .

Era a lavorare per  loro, a riparare il motore di una jeep .

Gli era stato detto: “Tu no.., tu qui.. lavorare per noi !”

Questo ci aveva fatto stare più tranquilli e… non potevamo credere ai nostri occhi… quando lo vedemmo arrivare affiancato da due tedeschi non  ben intenzionati, che  lo spingevano su per le  scale intimandogli di  raccogliere velocemente un  po’ di cose utili.

 Tra lo sbigottimento di tutti e la disperazione lancinante di mia madre,  io capii che me lo stavano portando via .
Si avvicina intanto uno del comando.. è costernato, dispiaciuto, blatera qualche parola: “Io piccolo comandante.. lui grande comandante..” indicando il tedesco suo superiore e stringendosi nelle
spalle, impotente “No colpa.. no colpa.. io amico.. voi aiutare…”

La situazione è tragica : mio padre, indifeso, mi appare ancora più magro.. capelli sfatti, l’aria un po’ disordinata ..

Lo rivedo nei suoi pantaloni di fustagno blu che per quei tempi potevano anticipare i  jeans di oggi e a fianco, nell’uniforme  grigioverde, i due aguzzini,  senza la minima emozione.

“Noi portare via” Sono le parole. E di risposta l’urlo di mia madre che buca l’aria: “Come?.. lo portate via ? Scappa Marinoooo ! Scappa !!!”  in un ripetere continuo, convulso.

E’ la frazione di un attimo...afferro la gamba del tedesco e la mordo con tutta l’incoscienza dei miei otto anni e la forza incredibile che il mio dolore  ha moltiplicato.

Un urlo tremendo…L’altro non ci pensa su, imbraccia il fucile e me lo punta .

Il nonno mi si para davanti e mi copre totalmente, poi grida con tutto il fiato che ha in gola :”Uccidete ME, non lei !”

Il  fucile si  abbassa e io sento le  braccia del  nonno protettive stringermi forte e le  mani scorrermi sui riccioli in mille carezze.

Non passa molto tempo.. Sono molto infastiditi e non consentono a mio padre neanche di radunare le sue cose.

 Anche Feroce, il nostro cane fedele, abbaia tutto il suo dolore.

Lo spingono sulla camionetta che, risalito il ponte, scompare sotto i nostri occhi.
 Ad inseguirli solo le nostre grida….  sempre più deboli




mamma e papà

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