domenica 13 maggio 2012

C'era una volta (parte sesta)

Ormai non c'è più traccia dell'assioma secondo cui "Non ci sono più le mezze stagioni" che per anni ci ha consentito di colmare gli imbarazzanti silenzi di ogni conversazione stentata. Oggi, di fronte ai continui e repentini mutamenti climatici sono in molti a sostenere che non è una questione di misura : le stagioni non esistono più, intere o mezze che siano.
Per contro c'è il fronte di coloro che ribattono che le cose vanno così da che mondo è mondo, semplicemente siamo troppo sbadati per ricordare.
La discussione è accademica e non troverà mai un punto d'incontro; tuttavia, riflettendo sul tema e per quel che mi riguarda, osservo che se qualcuno mi chiedesse com'era la primavera nel '78, o l'inverno del '96, o anche solo se l'estate di un paio d'anni fa è stata più o meno afosa, non saprei assolutamente cosa rispondere, come se gli ultimi 50 anni fossero scivolati via, atmosfericamente parlando, in maniera del tutto anonima.
Al contrario, e  chissà per quale inconscio processo selettivo della mente, le stagioni dell'infanzia sono rimaste nel ricordo nitide e dettagliate, non solo per le caratteristiche climatiche pressochè costanti, ma anche per la loro stretta e invariabile connessione con fatti e ritmi della vita quotidiana.



La primavera iniziava con il fiorire della sassifraga, detta anche fiore di S.Giuseppe, e quindi a ridosso dell'equinozio di marzo.
Al risveglio del giardino si accompagnava il risveglio della casa : ogni cosa doveva essere pulita e lustrata. La passatoia che ricopriva le scale di granito rosso che portavano ai piani superiori veniva liberata dalle bacchette di ottone che la tenevano ancorata ai gradini e portata all'aperto per essere battuta a dovere. Nel frattempo mia sorella Annamì ed io ci divertivamo , partendo dal gradino più alto, a lasciarci scivolare giù per le tre rampe di scale nude, fredde e lucide, cosa che comportava a fine corsa un eccitante formicolio del fondoschiena.
Niente veniva trascurato : garage, cantina, la carta sul fondo dei cassetti,tutto veniva passato al setaccio ; perfino il campanello di ottone e la targa con la scritta Villa Anna all'ingresso di casa venivano lustrati con il Sidol fino a diventare splendenti come  l'oro.
Subito dopo arrivava la Pasqua con i suoi riti e i suoi misteri. Ricordo in particolare l'usanza del bacio al Crocifisso nella giornata del sabato : la chiesa era spoglia e silenziosa e ciò rendeva ancor più inquietante quel Cristo sdraiato e inchiodato alla croce, così freddo al contatto delle labbra.
Ma poi seguiva la festa e per l'occasione c'era ad aspettarmi un paio di scarpe nuove.
Se le bici e gli abiti potevano passare di mano, per le scarpe le cose andavano diversamente, per quelle non poteva esserci approssimazione.
Erano bianche, scollate, con la punta arrotondata e un cinturino che le chiudeva alla caviglia. Si chiamavano scarpe alla bébé ed erano esattamente come quelle che indossano le bimbe di Mariapia. Pare che queste scarpe stile anni 40 siano oggi considerate cool, e non solo per le bambine, ma si sa , la moda ha i suoi corsi e ricorsi....
A maggio le giornate si allungavano, il buio arrivava più tardi e così si poteva stare un poco all'aperto anche dopo cena. In tutti i giardini fiorivano le rose e il loro profumo si spandeva nell'aria , specialmente la sera, quando sul viale passavano frotte di ragazze che si recavano in chiesa per la recita del rosario e le prime lucciole ammiccavano dalla siepe per poi nascodersi tra i rami.



La fontana oggi

Anche l'estate si mostrava rispettosa del calendario e si presentava puntuale al solstizio di giugno quando iniziavano i preparativi per la festa di S.Pietro, il patrono del paese.
Per l'occasione si riordinava il giardino e si montava davanti all'ingresso principale la tenda da sole a rigoni bianchi e verdi. Anche la fontana veniva ripulita dalla melma che si era formata sul fondo durante l'inverno e l'acqua riprendeva a zampillare dando una gradevole sensazione di freschezza.
In casa, nella tarda mattinata, le tapparelle venivano un poco abbassate per ottenere una rilassante penombra , mentre fuori le cicale frinivano a più non posso sotto il sole di mezzogiorno. Del pranzo, ricordo solo che iniziava con un antipasto di prosciutto crudo e melone, una prelibatezza che a quei tempi si riservava solo alle ricorrenze speciali ; per il resto , la mia attenzione era tutta rivolta alla fiera che si teneva nella piazza principale del paese e richiamava gente anche dai paesi vicini. C'erano le giostre per gli adulti e quelle per i bambini, i baracconi con il tiro a segno e i pesciolini rossi nelle bocce di vetro, le bancarelle con lo zucchero filato, il croccante  e le frittelle e soprattutto tanto rumore, tanta musica a tutto volume e tanta eccitazione per noi bambini.
Quando la carovana dei giostrai lasciava il paese, era ormai tempo di partire per il mare.


Per la vacanza al mare i miei genitori affittavano un appartamentino per qualche settimana sulla riviera ligure. Le mie sorelle ed io non vedevamo l'ora che arrivasse il giorno della partenza, sia pure con motivazioni diverse vista la differenza d'età. Per la mamma invece si trattava di un vero tour de force : doveva riempire un baule intero con lenzuola, tovaglie, teli di spugna, abiti ed effetti personali e tante altre cose che ci sarebbero state utili durante la vacanza. Il baule poi veniva spedito con il treno mentre noi viaggiavamo un po' pigiati sull'auto di mio padre. Il viaggio era lungo - non c'erano autostrade - e il percorso tortuoso. Sentivo i grandi parlare di Passo del Turchino, Passo dei Giovi, ma la mia sola preoccupazione era tenere a bada lo stomaco, che non gradiva tutti quei tornanti, fino al momento in cui all'orizzonte appariva una sottile striscia azzurra scintillante che provava inequivocabilmente che non lontano da lì c'era il mare.
Quella parentesi marinara era piena di esperienze nuove e allo stesso tempo di esperienze ritrovate : acqua salmastra , tiepida e trasparente, giochi con la sabbia, collane di conchiglie e soprattutto bomboloni caldi, con il cuore di crema o marmellata, che lasciavano baffi di zucchero da cancellare con la punta della lingua, lentamente, molto lentamente, per godere fino all'ultimo granello.
Al rientro dal mare l'estate era ormai matura e , benchè ci fosse ancora tempo per i giochi all'aperto, bisognava pensare a quei compiti che la maestra aveva assegnato per le vacanze e che per troppo tempo erano rimasti in un cassetto.
Qualcosa cambiava piano piano nell'aria : stava arrivando l'autunno.


Il 1 ottobre ricominciava la scuola e quindi a settembre, con l'arrivo dell'autunno, bisognava attrezzarsi per tempo. In genere la cartella durava per tutto il ciclo elementare, così come l'astuccio di legno con il coperchio scorrevole. Fortunatamente i pastelli si consumavano - rosa, azzurro, giallo e rosso arrivavano alla fine dell'anno ridotti a moncherini - e quindi si poteva contare sull'acquisto di una scatola nuova da 12  o da 24 , marca Giotto, e nessuno aveva da ridire se nero, viola e ciclamino erano ancora praticamente intatti. Anche le penne a cannuccia dovevano essere rimpiazzate,  vittime innocenti di morsi tormentati inflitti in momenti di difficoltà, e ovviamente i pennini e la carta assorbente.
E i quaderni? Ve li ricordate quei tristissimi quaderni con la copertina nera e grinzosa e il bordo profilato di rosso? L'unico appeal che possedevano erano le righe che cambiavano secondo la classe. Per fortuna c'erano i libri, così belli nelle immagini e nei contenuti, sempre più cari nella memoria.
Il cambio di stagione comportava anche un cambio d'abbigliamento : si controllavano soprattutto orli e maniche per decidere gli interventi più appropriati e in ogni caso c'era un provvidenziale grembiule nero che scoraggiava eventuali critiche o lagnanze.
Per l'intimo ci pensava la zia Rosa : sottovesti e mutandine erano il suo pane. La zia Rosa era una sorella di mia madre, rimasta vedova giovanissima con un bambino da crescere. Nel tempo aveva acquisito una certa dimestichezza con il cucito, almeno quanto bastava per provvedere alle necessità di famiglia. A me piaceva osservarla quando stendeva sul tavolo il morbido tessuto di flanella rosa decorato con piccole stelline rosse , vi sovrapponeva il cartamodello e poi zac con le grossi forbici tagliava la stoffa  in maniera perentoria.
Ottobre regalava ancora qualche bella giornata, di quelle che ancora oggi amo di più in assoluto, con l'aria leggermente frizzante , il cielo cobalto e le foglie degli alberi che si colorano di giallo,rosso e arancio, mentre novembre portava  grigie giornate di pioggia e soprattutto la nebbia che cancellava ogni cosa. Eppure non tutto era perduto perchè a novembre si festeggiava il mio compleanno e non era poi così terribile rintanarsi in casa se qualcuno provvedeva per l'occasione a regalarmi qualche librino con le illustrazioni di Mariapia.




L'inverno iniziava un po' in anticipo rispetto alla data del solstizio ma nessuno se ne rammaricava , perchè dicembre era un mese carico di promesse. Il 13 cadeva la festa di S.Lucia, che dalle nostre parti porta i doni ai bambini buoni, e poi poco dopo arrivava il Natale.
Era bello pensare che si potevano desiderare intensamente due o tre cose e qualcuno dal Paradiso provvedeva a caricarle  su un asinello e a lasciarle proprio nel soggiorno della casa giusta, magari anche qualcuna in più. Quando frequentavo la prima elementare un giorno venne a trovarci in classe S.Lucia in persona , con un abito lungo e il volto coperto da un velo; ci portò in dono dei dolcetti di zucchero colorato e subito dopo se ne andò senza pronunciare una parola. Era proprio vero: S.Lucia esisteva e io l'avevo vista.....
I preparativi per il Natale si facevano a cuor leggero perchè , doni a parte, era pur sempre una bella festa. Mentre la mamma preparava il presepe con Maria e Giuseppe chini a contemplare una culla vuota - il Bambinello entrava in scena solo la notte santa - si sceglievano gli addobbi per l'albero di Natale, un abete di medie dimensioni rigorosamente vivo. A scelta ciascuno decorava i rami con delle fragilissime palline di vetro colorato, monete di cioccolato ricoperte di stagnola dorata, aranci , mandarini, candeline di cera infilate in piccoli moccoli dotati di pinze.
Alla vigilia di Natale arrivavano gli zii che si sarebbero tratenuti fino all'Epifania : la zia Angioletta, sorella della mamma, e il marito, lo zio Rino, maresciallo dei Carabinieri. Della zia ricordo in particolare l'odore di naftalina della sua pelliccia che probabilmente usciva dall'armadio solo per quell'occasione, mentre lo zio, un uomo molto mite nonostante la divisa, mi faceva sedere sulle sue ginocchia e mi diceva con il suo forte accento siciliano : Pupabbbella !
A gennaio l'inverno si faceva più rigido e spesso nevicava abbondantemente. Succedeva quasi sempre di notte e al mattino, prima ancora di alzare le tapparelle, si percepivano i suoni ovattati che provenivano dalla strada . Per prima cosa dovevamo dominare le esclamazioni di gioia per non innervosire mio padre a cui toccava  spalare la neve per aprire un varco fino al cancello , ma appena terminava il suo compito si correva in giardino per ammirare i ricami sugli alberi, toccare la neve, misurarne l'altezza lasciandosi cadere a peso morto sulla coltre bianca.
Febbraio era il mese delle frittelle  e del Carnevale ; a scuola si imparava a conoscere le maschere e le città da cui provenivano e a volte si mettevano in scena piccole recite per meglio rappresentarle.
A marzo il ciclo ricominciava e tutto lasciava supporre che niente sarebbe mutato. Invece il tempo passava e pur senza traumi e scossoni ci si accorgeva un giorno che l'infanzia era finita.
Da un po' di tempo a questa parte le persone hanno imparato a fare outing , per raccontare la propria omosessualità celata , i tradimenti fatti al coniuge o altre verità a lungo nascoste, importanti o banali, per beneficiare dell'effetto liberatorio che ne consegue. Io ho raccontato un po' della mia infanzia perchè la considero la mia stagione perfetta  e ho pensato di condividere con altri la gioia e la serenità che mi ha portato. Forse qualcuno , come in un gioco al Noi che..., si è riconosciuto in qualche dettaglio e lo ha rivissuto con piacere. Forse la memoria ha inconsciamente cancellato i momenti tristi , le giornate grigie di quegli anni, comportandosi come il cercatore d'oro che lascia scorrere la sabbia attraverso il setaccio per trattenere solo le pepite. Forse.... ma io quelle pepite le ho messe su uno dei piatti della bilancia e così facendo ho sopportato meglio i carichi pesanti che la vita ha deciso di mettere sull'altro piatto. E' un trucco che funziona, ve lo assicuro, anche nelle piccole cose di ogni giorno.

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