martedì 23 giugno 2020

Una leggenda molto antica

Un incubo della quarta ginnasio: imparare a memoria i versi di Piramo e Tisbe, in latino!
Non capivo quello che leggevo, quindi non mi restava in testa...eppure oggi mi torna spesso in mente quel primo verso, recitato rispettando la metrica. Solo quello, ma la storia la sapevo: è una Romeo e Giulietta ante litteram, tanto per dire che nessuno inventa niente e che la culla della cultura occidentale ( della orientale non so nulla) è sempre qui, nel Mediterraneo, anche se qualcuno vorrebbe spostare Odisseo nel mare del Nord....

Questa leggenda è famosissima, tanto che perfino Dante la ricorda nel Purgatorio.


Ho trovato qui:
invece, un'applicazione della storia dell'infelice amore, alla pianta e ai frutti del gelso. E questo non lo sapevo. O non me lo ricordavo, il che è lo stesso.
Ecco la storia:



Per i Greci il gelso era la pianta consacrata al dio Pan, ricca di simbologia, intelligenza e passione ed è proprio ai suoi piedi che si consumò, come racconta Ovidio nelle sue “Metamorfosi”, il dramma d’amore di Tisbe e Piramo.


Piramo e Tisbe erano due bellissimi ragazzi che vivevano in case vicine. Figli di famiglie antagoniste, quando i loro genitori si accorsero che i ragazzi amoreggiavano, li fecero rinchiudere, ciascuno nello sgabuzzino del proprio palazzo.
Nessuno però si era mai accorto che i due sgabuzzini erano divisi solamente da un muro e che attraverso una piccola fessura sul muro i due innamorati, Piramo e Tisbe, riuscivano a scambiarsi baci e sussurrarsi frasi d’amore.





Innamorati e feriti dalla loro separazione, un giorno decisero di escogitare un piano per fuggire: Tisbe avrebbe raggirato la sua ingenua nutrice, mentre Piramo si sarebbe accordato con il suo guardiano che avrebbe finto di essere stato aggredito e gli avrebbe consegnato le chiavi.
Così riuscirono a scappare e girovagarono a lungo per le campagne,  fino a quando decisero di mettersi al riparo di un antico albero di gelso bianco, dove trascorsero un’appassionata notte d’amore. Secondo la leggenda, alle prime luci del giorno Tisbe si avvicinò ad una fonte d’acqua ma, alla vista di una leonessa che stava bevendo alla stessa fontana, presa dalla paura fuggì e nella corsa le cadde il velo che le era servito a nascondere il viso durante la fuga dal palazzo.



La leonessa, indispettita dalla presenza estranea, prese il velo e lo lacerò sporcandolo con il sangue dell’ultima sua vittima. Giunto poco dopo, Piramo, vedendo il velo della sua amata Tisbe lacero e sporco di sangue, e non trovandola nei paraggi, credette che fosse stata divorata dalla leonessa, così, dopo aver baciato il mantello tante volte, preso dalla disperazione, estrasse il pugnale e con quello si uccise.



Superata la paura per la tigre, Tisbe uscì dal suo nascondiglio per raggiungere il suo amato, ma con sua grande disperazione lo trovò senza vita ai piedi del gelso e disperata gridò all’albero: “Per sempre i tuoi frutti si tingeranno di rosso scuro, nel ricordo di noi due, innamorati, che ti bagnammo con il nostro sangue“. E dopo aver pronunciato queste parole, estrasse il pugnale dal corpo dello sfortunato Piramo, lo rivolse verso di lei cadendo morta sul corpo dell’amato.



Prima di morire la fanciulla espresse due desideri: che il gelso da quel monumento producesse soltanto frutti scuri, in segno di lutto per quell’ amore sfortunato, e che i genitori di entrambi, dopo averli separati in vita, almeno li lasciassero vicini da morte collocandoli nella stessa tomba. Gli dei –dice il poeta- esaudirono il primo desiderio e i frutti del gelso cambiarono colore; i genitori dei due giovani esaudirono l’altro e almeno nella morte Piramo e Tisbe rimasero sempre uniti.

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