domenica 3 agosto 2014

Al cinema


Negli anni '50, quando ero bambina, nel mio paese c'erano due sale cinematografiche: la prima, quella laica, si trovava sulla piazza principale in un edificio che mostrava nelle forme i tratti inconfondibili dell'architettura del ventennio, l'altra, chiamiamola confessionale, era situata in un anonimo edificio col tetto a capanna,  tra la chiesa parrocchiale e la canonica.

Il cinemadell'oratorio, come era più semplicemente definito, era a un centinaio di metri, forse meno, da casa mia perciò era quello che frequentavo con più assiduità, ovviamente la domenica pomeriggio.

La vicinanza a casa era una gran comodità dal punto di vista strategico perchè consentiva nell'intervallo tra la proiezione del primo e quella del secondo spettacolo ( ovviamente sempre dello stesso film) di rientrare in tempi brevissimi per una merenda veloce e una puntatina in bagno, senza che si rendesse necessario acquistare un nuovo biglietto d'ingresso.
Del resto io in quel locale avevo delle conoscenze per cosi dire altolocate. Il fidanzato della sorella di una mia compagna di classe, l'Annunciata Bonati, era l'addetto al proiettore  collocato in uno stanzino proprio in alto, appena sotto il tetto . Una volta ci aveva permesso perfino di entrare nel suo stanzino dove c'erano quelle scatole piatte e rotonde di latta che contenevano le pellicole. Naturalmente non ci aveva detto, ammesso che lui stesso lo sapesse, che quelle scatole venivano chiamate "pizze", ma anche se  l'avesse fatto, non ci sarebbero venute in mente le pizze vere, quelle con mozzarella e pomodoro, perchè allora da noi  erano del tutto sconosciute...




Lo spettacolo non incominciava prima della conclusione della "dottrina" per adulti in parrocchia, ma nell'atrio del cinema c'era comunque il banchetto dei dolci e nell'attesa si decideva come spendere al meglio la "mancetta" della domenica: c'erano grosse spumiglie bianche e rosa, delle finte pesche tagliate a metà e riappiccicate insieme con una crema di dubbia provenienza ma molto apprezzata dalle mosche locali, confetti di forme diverse, compresi quelli con delle patriottiche sezioni biancherosseeverdi, duri come sassi, e soprattutto c'era la liquirizia. Oddio, a giudicare dal colore proprio liquirizia liquirizia non doveva essere, ma bastava comunque per lasciare i denti e la lingua marrone. Di forme c'era ampia scelta: c'erano i bastoncini rigidi, i bastoncini a spirale più morbidi, le stringhe lunghe come quelle delle scarpe o avvolte a spirale intorno a un confettino colorato. Il pezzo più economico era il bachèt dols, un bastoncino di legno che sapeva di liquirizia. E poi c'erano gli asabesi, caramelle di liquirizia a forma di facce o animaletti, simili a scarafaggi e ovviamente le gomme da masticare, le cicche, o ciuinghe, espressione casalinga per indicare le chewing-gum, che finivano regolamente appiccicate sotto i sedili.















Il cinema aveva una platea e una galleria, i sedili erano di legno con il piano ribaltabile, uniti l'uno all'altro in lunghe file. A me non piaceva andare in galleria perchè il rumore del proiettore era troppo forte e il cono di luce che usciva dal finestrino sembrava contenere miliardi di microbi, ma quello che più temevo erano le bravate di alcuni ragazzini che spingevano con i piedi i sedili della prima fila  come se volessero scaraventarli di sotto, spettatori compresi.





Appena le luci si spegnevano calava il silenzio, o quasi, perchè il film stava per incominciare.
La maggior parte delle pellicole erano in bianco e nero, ma non mancavano nemmeno quelle a colori. C'erano Marcellino, pane e vino, i film con Peppone e don Camillo, quelli che raccontavano la storia di Bernadette, ma di anno in anno la programmazione si faceva più ardita con l'arrivo di film americani, western in particolare. 













La storia era più o meno sempre la stessa : c'erano i coloni che attraversavano la prateria con i carri, gli indiani, Apaches o Comanche, cattivissimi, che spuntavano all'improvviso e assalivano la carovana, e poi le giubbe blu, i buoni, che arrivavano sempre al momento opportuno per sistemare le cose. Quando si sentiva lo squillo della tromba che annunciava l'arrivo della cavalleria, nella platea si scatenava l'inferno : tutti in piedi a gridare "arrivano i nostri" con tanta foga da pregiudicare quasi la stabilità dell'edificio.





Erano ancora lontani i tempi in cui , a partire da un certo film intitolato "Soldato blu", si sarebbe incominciato a rileggere la conquista del West da parte dell'uomo bianco con un po' di obiettività...

A volte capitava che nel lieto fine ci scappasse un bacio tra il "lui" e la "lei" della storia  e allora partivano bordate di fischi da parte dei ragazzini più maliziosi, a guastare quel momento di romanticismo che invece piaceva tanto alle ragazzine presenti. Già, perchè quella era la stagione in cui tuttto doveva ancora succedere e i sogni ad occhi aperti erano così fragili che si dileguavano in fretta anche dentro al cassetto.



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