martedì 3 ottobre 2017

Cachi- un frutto e un colore






Diciamo comunemente “mangiare un caco”, “il caco non è ancora maturo”. In realtà è un errore, uno di quegli errori che a poco a poco diventano uso. La parola cachi con cui si indica sia la pianta che il frutto è invariabile, rimane cioè immutata tanto nel singolare quanto nel plurale. Dovremmo dire “il cachi ha messo i frutti”, “il cachi è maturo”, “un cesto di cachi”. Dovremmo, anche se l’uso prevalente si è ormai inventato il singolare caco e sarà ben difficile estirparlo.
Il nome cachi è di origine giapponese – come la stessa pianta – e si scrive anche esoticamente kaki.

 Il nome scientifico secondo Linneo, il famoso botanico svedese vissuto nel Settecento, è Diòspyros kaki, e significa grecamente “cachi frumento di Giove”: composto da Diós, di Giove, e pyrós, frumento.




Detto mela d'Oriente, fu definito dai cinesi l'albero delle sette virtù: vive a lungo, dà grande ombra, dà agli uccelli la possibilità di nidificare fra i suoi rami, non è attaccato da parassiti, le sue foglie giallo-rosse in autunno sono decorative fino ai geli, il legno dà un bel fuoco, la caduta dell'abbondante fogliame fornisce ricche sostanze concimanti. Dalla Cina si è esteso nei paesi limitrofi, come la Corea e il Giappone.




Viene considerato "l'albero della pace", perché alcuni alberi di questa specie furono i soli a sopravvivere al bombardamento atomico di Nagasaki del 1945.

Il kaki è comunemente chiamato in lingua napoletana legnasanta. L'origine del nome è dovuta al fatto che è possibile, una volta aperto il frutto, scorgere al suo interno una caratteristica immagine del Cristo in croce.






Tutt’altra origine ha invece l’aggettivo cachi, anch’esso invariabile, che indica un colore simile a quello della terra arida, riarsa. Questo sì, è rimasto invariabile anche nell’uso comune. Nessuna relazione col colore del frutto, che invece è di un bell’arancio ramato. L’origine è inglese, khaki, e questo dall’indostano kaki, che vuol dire polveroso, color polvere, a sua volta derivato dal persiano khâk, polvere. Fu, in origine, il colore delle uniformi militari inglesi in India; scelto per la sua facile mimetizzazione col terreno riarso di quelle regioni. Si dirà dunque “stoffa cachi”, “abiti cachi”. Qui dubbi non ce ne sono.



Storicamente, il khaki venne adottato dall'esercito inglese per la prima volta in India nel 1848. L'utilizzo ufficiale di uniformi khaki ebbe inizio con la campagna di Abissinia del 1867/68, quando truppe distaccate proprio dall'India, al comando del generale Sir Robert Napier, vennero inviate a liberare alcuni prigionieri britannici presi dall'imperatore etiope Tewodros II. La campagna di Etiopia del 1868 è considerata la prima occasione in cui truppe con uniformi khaki hanno preso parte ad azioni belliche. In realtà, divise di questo colore erano state introdotte nell'esercito inglese come uniformi da lavoro nel 1861, ma vennero ritirate nel 1864. Malgrado la nuova disposizione, truppe britanniche, particolarmente quelle in Asia, continuarono a tingere le uniformi da combattimento bianche con foglie di te o con altri coloranti.






Secondo alcune fonti, l'invenzione del colore khaki per le divise mimetiche viene attribuita all'allora tenente, poi tenente generale Harry Lumsden, che nel dicembre 1846 inventò il Corpo delle Guide britannico.

Il color kaki  ha diverse tonalità, dal più chiaro, al più scuro:







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