martedì 8 settembre 2015

Zenobia di Palmira.


E' bello conoscere la storia, soprattutto quella di specifiche persone, più che quella di eserciti e nazioni e io sono molto ignorante, quindi quando trovo un articolo che mi insegna e mi intriga, ecco che lo voglio  "fermare" sul mio spazio nel web e condividerlo con i miei lettori. Qui
ho trovato una storia davvero interessante, eccola:





Palmira, la regina del deserto, il punto di arrivo e di snodo di infinite carovane. Per le sue piazze e nel suo suk si incrociavano le spezie e le sete dell’Oriente lontano, portate a dorso di cammello attraverso le sabbie. Nei suoi vicoli e nei suoi templi si intersecavano genti di ogni origine, parlanti le lingue più diverse: arabo, persiano, greco, latino. Mercanti, intellettuali, mercenari, soldati. E poi ancora carovanieri, sacerdoti, gran dame, beduini, faccendieri e sfaccendati di ogni risma. Era un meraviglioso frullato di ogni cosa, Palmira, o forse era solo la più perfetta summa di quello che il mondo antico sapeva generare: un intarsio vivo e vivace di mille e mille destini e popoli.









A governarla un sovrano, che è di origini arabe, ma fedele alleato dei Romani. Si chiama Lucio Settimio Odenato, e nei turbolenti anni in cui l’impero è in grande difficoltà salva i Romani, combattendo e tenendo sotto controllo le frontiere con l’impero persiano. Ma non sarà lui a rendere famosa per sempre Palmira, bensì la sua seconda moglie, una ragazzetta bellissima, figlia di un capotribù locale: ZenobiaQuando arriva a corte Zenobia non è nessuno, o quasi. Il padre, un beduino del deserto, è morto assassinato in qualche faida che non capiamo bene. Lei viene data sposa al re forse per pregressi accordi fra famiglie. E’ giovane e molto bella. Le fonti la descrivono come scura di carnagione e con grandi occhi neri in grado di sedurre interi popoli con un solo sguardo. Ma non è il corpo quello che colpisce nella ragazza, bensì il suo spirito indomito. Cresciuta fra i nomadi, è abituata a cavalcare e combattere come un beduino: è una volpe del deserto, secoli prima di Rommel. Però non è una zotica incolta che conosce solo cammelli e piste carovaniere: parla il dialetto della sua tribù ma anche l’egiziano e il greco, e il latino. Si vanta di discendere da un’altra grande regina del passato, Cleopatra. Come non è chiaro, e probabilmente la storia è una bugia propagandistica che s’inventa lei. Ma se non ne ha il sangue, di Cleopatra Zenobia ha certamente l’animo, e sicuramente la testa.





Quando arriva a corte, nessuno scommetterebbe un baiocco su di lei. E’ la seconda moglie di un re che ha già due figli maschi di primo letto e quindi sicuri eredi: il destino sembra riservarle un futuro nell’ombra a partorire inutili cadetti. Ma Zenobia è Zenobia, e l’ombra non fa per lei. Si circonda di una corte vivace di intellettuali, che attira da Atene e dalle altre città del Medioriente romano. Ma il predominio culturale non le basta. Non appena partorisce un figlio maschio, Vallodato, vuole garantirgli anche il trono. E se per farlo deve eliminare marito e figliastri pazienza, si vede che il Fato prescrive così.

Difatti, quando il piccolo Vallodato non ha ancora un anno, diviene orfano di padre e privo di fratelli: un cugino, tal Meonio, li uccide tutti quanti, nel corso di una festa di famiglia. Non è certo che ad armarlo sia Zenobia, ma è molto probabile, e lei si ritrova in men che non si dica vedova e reggente di uno Stato ricco e fondamentale nella scacchiera del Mediterraneo.




L’impero romano c’è ancora ed è potente, ma è già acciaccato. Gli imperatori corrono ai confini dell’Est per fermare o almeno arginare le prepotenze dei Goti. E poi sono imperatori che muoiono come mosche: non fanno tempo a salire sul trono che già scendono nella tomba. L’Occidente, anche se non se ne rende conto, ha già imboccato la china discendente. Ma l’Oriente no. L’Oriente è ricco, ed è ancora sicuro: è come un frutto maturo che aspetta di essere colto. E Zenobia allunga la mano per spiccarlo dal ramo e mordere la bella e succosa mela che il destino le porge.




Conquista. Non solo gli uomini, ma le città e gli Stati. Cilicia, Siria e poi Bitinia ed infine l’Egitto. Novella Cleopatra, ricostruisce quel nucleo di territori che la sua presunta ava si era fatta donare da Antonio, e che forma il regno indipendente di Palmira. I suoi due consiglieri fidati sono il generale Zabdas, infaticabile cavaliere che percorre le strade d’Oriente a capo del suo esercito, e il raffinato retore Cassio Longino, già maestro ad Atene e ora trapiantato nella perla del deserto. E lei, la regina delle dune, per un attimo prova l’ebrezza di essere davvero la padrona del mondo. Roma è un puntino lontano, una città oscura e squassata dalle lotte interne del Senato e da imperatori ignavi o sventurati, e Palmira invece è il futuro, il faro che riluce.






Sembra che il destino di Roma sia segnato. E invece no. Con uno di quei colpi di scena che la Storia talvolta riserva, le carte vengono scombinate e il tavolo ribaltato all’improvviso. Sulla scena arriva un imprevisto: si chiama Aureliano.




Sono simili, in fondo, i due. La ragazzina venuta su fra i beduini del deserto, scattante ed assetata di vita, che ha scalato la corte ed è diventata regina, e il ragazzetto uscito dalle selve dei Balcani, che si è arrampicato per tutti i gradi dell’esercito romano, fino a diventare imperatore. Ragionano nello stesso modo, che è quello di chi ha poco alle spalle e quello che ha lo ha conquistato pezzo a pezzo. Sono duri, in primis con se stessi, spregiudicati quando serve, poco avvezzi all’autocommiserazione o ai rimorsi. Sono gente dal pensiero chiaro e finalizzato all’obbiettivo da raggiungere: gente che taglia e sfronda ciò che non è necessario, e non si perde in chiacchiere. Sono dei conquistatori, sono dei re.



Per questo si capiscono, e in fondo si rispettano. La loro lotta è senza esclusioni di colpi, perché entrambi non sanno accettare nulla di meno che una vittoria. Zenobia perde, alla fine, ma da regina. Per domare Palmira, Aureliano, il grande condottiero, ha dovuto sputare sangue e impegnarsi allo spasimo. Forse per questo, quando finalmente cattura la regina, non si comporta come se avesse di fronte una donna, o uno sconfitto, ma un suo pari.




Viene presa prigioniera, ma ha salva la vita. I suoi sodali, il generale Zabdas e Cassio Longino pagano con la morte la ribellione a Roma, lei no. Aureliano la porta a Roma e la espone, legata con catene d’oro al seguito del suo carro trionfale, ma non la uccide. Forse stregato dal suo fascino, o più probabilmente colpito da quel carattere così indomito e simile al suo, le dona una villa a Tivoli, dove Zenobia, dicono alcune fonti, invecchierà circondata da filosofi e sposata con un ricco senatore romano. La donna che ha fatto tremare Roma viene da Roma adottata come figlia, e alcune epigrafi ci parlano di sue discenti, a buon diritto divenute parte dell’aristocrazia dell’urbe.





 Perché la grandezza degli Stati e dei regimi si misura in questo: nella capacità di rispettare i nemici e alla lunga assorbirli e farsi assorbire, mischiando culture e tradizioni per creare il nuovo, anziché arroccarsi nella tradizione per difendere una pretesa e stolida purezza.
Zenobia, la figlia del deserto che rese grande Palmira, questo lo sapeva. Difatti riuscì a creare un suo impero e poi persino da sconfitta ad integrarsi in quello romano.

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