venerdì 19 giugno 2020

Ernesto Che Guevara poeta

Ernesto Guevara de la Serna fu uno degli ideologi e dei comandanti che portarono alla cosiddetta Rivoluzione Cubana, che aiutò Fidel Castro ad ottenere il governo di Cuba. Nato a Rosario, in Argentina, il 14 giugno 1928, Che Guevara studiò medicina prima di viaggiare in giro per il Sud America; durante questo viaggio si convinse sempre più delle sue ideologie marxiste. Dopo aver aiutato Fidel Castro a capovolgere il governo cubano, lavorò al suo fianco come politico. Si impegnò pochi anni dopo in azioni di guerriglia in Bolivia, e qui venne ucciso. Che Guevara viene considerato al giorno d'oggi come un simbolo di idealismo e ribellione, e il suo ritratto fotografico è una delle immagini più riprodotte al mondo.


“Fino a quando il colore della pelle non sarà considerato come il colore degli occhi noi continueremo a lottare.”


“Chi lotta può perdere, chi non lotta ha già perso.”


“Siate sempre capaci di sentire nel più profondo qualsiasi ingiustizia, commessa contro chiunque, in qualsiasi parte del mondo.”


“Un popolo che non sa né leggere né scrivere, è un popolo facile da ingannare.”


“Vale la pena di lottare solo per le cose senza le quali non vale la pena di vivere.”

“Per non lottare ci saranno sempre moltissimi pretesti in ogni circostanza, ma mai in ogni circostanza e in ogni epoca si potrà avere la libertà senza la lotta!”


“La vera rivoluzione dobbiamo cominciare a farla dentro di noi.”


“L'uomo deve camminare col viso rivolto al sole in modo che questo, bruciandolo, lo segni della sua dignità. Se l'uomo abbassa la testa, perde questa dignità.”





Contro ogni logica
respiro ancora quell’aria,
quel soffio di vento
che cerca il suo tempo
la ragione, la memoria.Nei sensi d’anima
cerco l’ultima follia
di primavera inoltrata,
che nei bianchi capelli
s’aprì un varco.E cerco te che cerchi altro
che cerchi te attraverso me
che cerco te altrove
e altrove di capire. Nell’insano girotondo
scovo regole nascoste
della logica del vivere
della razionalità del sopravvivere.Cerco la fonte luminosa
e chi la sprigionò,
quel flebile raggio di sole
che un giorno
s’aprì nell’uniformità del buio,
quel piccolo
che si schiuse all’immenso
a quell’infinito
dov’IO non sapevo spaziare
dove la bellezza dominava,
dove solo l’amore-insegnava a volare





La mia unica al mondo…;
ho estratto di nascosto dalla dispensa di Hikmet questo unico verso innamorato, per
lasciarti l’esatta dimensione del mio affetto.
Ciò nonostante,
nel labirinto più profondo della lumaca taciturna
si stringono e combattono gli estremi del mio spirito:
tu e TUTTI.
Quei TUTTI che mi chiedono la consegna totale,
che la mia sola ombra annerisca il cammino!
Ma senza truccare codici d’amore sublimato
ti porto di nascosto nel mio sacco di viaggio.
(Nella mia borsa di viaggiatore insaziabile io ti porto
come il pane nostro di ogni giorno).
Esco ad innalzare primavere di sangue e di calcina
e ti lascio, nell’incavo della mia assenza,
questo bacio senza dimora conosciuta.
Ma non mi è stata predetta la piazza riservata
alla marcia trionfale della vittoria
e il sentiero che porta al mio cammino è cosparso di ombre già funeste.
Se sono destinato all’oscuro fosso delle fondamenta,
mettilo da parte nell’archivio confuso del ricordo;
usalo nelle notti di lacrime e di sogni…
Addio, mia unica,
non tremare davanti alla fame dei lupi
né al freddo da steppa dell’assenza;
cammini acanto a me, dalla parte del cuore,
insieme andremo avanti fino a quando
sfumerà la rotta …









Spogliati tutta,
mostrami serena
le rughe
le piaghe,
non temere,
sono come te
ferito
spaventato dalla vita.
Strappa con rabbia
i veli orientali adornanti
quelle maschere di ghiaccio
che occultano lividi,
mostrati fiera
nei tuoi lineamenti.
Quando sarai spoglia,
come un albero d’autunno
e solo quando sarai nuda
indifesa come un neonato,
ti mostrerò le mie ricchezze
custodite in un forziere
di vetro sottile.
Ti donerò sincero
la mia fragilità
le mie insicurezze
le paure ancestrali
le impurità nascoste,
ti porgerò poi,
in un vassoio
di rose bianche,
la verginità della mia anima.







Cammino senza meta 
nemmeno questo sole caldo così bello, penetra,
 non riesce a spalancare le finestre socchiuse .
 Forse sei tu che chiudi, che mi manchi,
 tu con quel tuo tanto da fare così simile al mio impigrirmi, malessere di una comune fratellanza,
 figli di anime in disordine. 
Non mi risolleva l’amore donatomi da altri e il tiepido ricambio, perché mi manca ancora quel sogno interrotto,
 quelle rughe dove inserire ultime note. 
Ansioso in similsguardi scruto in altrui occhi
 ricerco quella luce soffocata, quel dolore gemello. 
Nostalgico è il ricordo del tuo "riempirti di me" della mia essenza, di quel desiderio così strano di tenerti per mano
 e nella stretta, trovare il coraggio nell'atto finale.







Quando saprai che sono morto 
non pronunciare il mio nome
 perché si fermerebbe la morte e il riposo.
Quando saprai che sono morto di sillabe strane. 
Pronuncia fiore, ape, lagrima, pane, tempesta. 
Non lasciare che le tue labbra trovino le mie dieci lettere. 
Ho sonno, ho amato, ho raggiunto il silenzio.

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