domenica 14 agosto 2016

Cassette postali

Volevo parlare un po' delle buche per le lettere, che stanno pian piano scomparendo dato che ormai si comunica quasi esclusivamente per mezzo di email o messaggi telefonici, e ho trovato qui:



 un bell' articolo del 2015, a firma Mauro Pianta, che ne traccia un po' la storia prendendo spunto da un libro sull'argomento che era stato pubblicato qualche anno prima. Ne ho copiato una parte:



....Dunque, la cassetta rossa che un tempo custodiva le speranze, gli amori, le gioie e i dolori degli italiani (soprattutto sotto forma di cartoline, e pensate che una buca ne poteva ospitare fino a mille), oggi rischia di divenire un tenace reperto di archeologia urbana. Eppure, anche se la storia finirà per mandarla in pensione, questa strana scatola nella quale infilavamo pensieri che poi non potevamo più riacciuffare, continua a sprigionare un certo magnetismo. E a raccontare qualcosa del nostro Paese. 




Lo sa bene Manuela Alessandra Filippi, una storica dell’arte, che nel 2004 ha curato un volume pubblicato da De Luca Editori, intitolato proprio Buca delle lettere. Storia e immagini. «Le buche – dice Filippi – raccontano la nostra storia e, spesso, sono delle vere e proprie opere d’arte. Mi è piaciuto guardarle un po’ come se fossero dei quadri». 




Il libro, realizzato con l’Archivio storico delle Poste, è una miniera. Scopriamo, per esempio, che la prima buca italiana, compare nel 1632 all’interno del portico del palazzo priorale di Montesanto di Spoleto, nell’allora Stato Pontificio. «La portata innovativa della buca – scrive Filippi – che in larga parte ha contribuito allo sviluppo della corrispondenza, consiste nella possibilità di depositare le lettere in partenza anche in assenza del corriere, o di un suo rappresentante, in qualsiasi momento della giornata, in un luogo sicuro e protetto». Per tutti, non solo più per i nobili come era stato fino ad allora. E infatti in un’antica buca a Bertinoro (Forlì) campeggia la scritta: «Al ricco e al povero deve consentirsi di viaggiare di qua e di là».
 Gli italiani sono affezionati a questi oggetti. A Pienza (Siena), per dire, la popolazione è insorta di recente contro le Poste che volevano mettere fuori servizio una cassetta del XIX secolo, mentre a Casteldelpiano (Grosseto) se ne trova una del 1715 a tre metri dal livello stradale e guai a chi la tocca.  




Se nei primi del ’900 i berlinesi, presi dalla mania delle cartoline volevano scriverle seduti nei caffè, con un postino giunto apposta per farle imbucare in una cassetta che portava sulle spalle, anche in Italia iniziavano a funzionare le cassette mobili. Spesso erano agganciate sulla fiancata destra dei tram il cui tragitto prevedeva una fermata alla stazione ferroviaria.





 Milano ebbe anche un «ufficio ambulante su vettura elettrica». Durante il ventennio fascista sulle cassette, accanto allo stemma sabaudo, venne imposto il fascio littorio. Simboli che, con il passaggio alla Repubblica, vennero eliminati con lo scalpello. Nel 1927 aveva fatto la sua comparsa anche una buca bianco rosso verde: era destinata alla raccolta di giornali per il dopolavoro delle forze armate.  





















Ma bisogna aspettare il 1961 per vedere le classiche cassette di impostazione rosse, a due feritoie (per la città e per fuori), così come siamo (o eravamo) abituati a vedere. È a Napoli, l’8 aprile del 1961, che nell’arco di una notte, le vecchie cassette vengono sostituite con quelle nuove.







 Insomma, la cara buca delle lettere rossa e bombata ha da poco compiuto 54 anni. Invecchierà o scomparirà? Ai «postali» l’ardua sentenza.

Per i nostalgici come me, resta una possibilità, se non abitano in condominio, ma hanno la fortuna di abitare in una casa con cassetta per la posta personale: scegliersene una speciale, che ricordi la storia della posta.



























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