venerdì 25 ottobre 2019

Zucche o castagne ?




  
Paese che vai, tradizione che trovi... ma con gli attuali mezzi di comunicazione, sempre più spesso, ciò che per natura ha radici in uno specifico contesto, può germogliare e crescere anche lontano dalle sue origini, oppure sbiadire e scomparire del tutto.

Fino a qualche anno fa - o forse un  po' di più (sigh!!)- nel nostro Paese a caratterizzare l'autunno era la raccolta dell'uva , la scuola che riapriva a ottobre, i riti  per i defunti e le castagne a novembre, la prima neve a dicembre e a Natale tutti insieme per il pranzo di mezzogiorno e la tombola nel pomeriggio.
Oggi certe tradizioni sono sparite perché obsolete o inadeguate ai ritmi della vita moderna oppure perché vengono sostituite da altre che arrivano da lontano e sono più stimolanti.

Quelli della mia generazione nulla sapevano di Halloween, mentre ora zucche, scherzetti , fantasmini sono i nuovi protagonisti dell'autunno.


Michela Chiara Matteo Elena e Anna nel giardino dei nonni.


Le zucche con il loro vivace colore mettono allegria , ma opportunamente scavate, intagliate e illuminate possono mettere i brividi...

L'uso di intagliare le zucche con espressioni spaventose risale alla tradizione scozzese e irlandese di intagliare rape per farne lanterne con cui ricordare le anime bloccate nel Purgatorio; quando gli emigranti irlandesi arrivarono numerosi nel Nord America non trovarono rape, ma zucche, molto più facili da intagliare per la loro dimensione.




Il termine halloween è probabilmente una variante dell'espressione  scozzese All Hallows' Eve che significa notte di tutti gli spiriti sacri, cioè la vigilia di Ognissanti; secondo altri la sua origine  è da collegare al nome del personaggio di un racconto, Jack O' Lantern, condannato dal diavolo a vagare per il mondo di notte, alla sola luce di una candela posta in una zucca intagliata.

Mentre oltreoceano la zucca godeva di tanta attenzione e popolarità , da noi - mi riferisco alle regioni del nord del nostro Paese - il vegetale godeva di tutt'altra fama e veniva associato a una persona con la testa vuota, incapace di apprendere e/o ostinata.
In proposito mi sembra quasi di sentire la voce di mia madre che nel suo dialetto ripeteva " Mèi un granìn de pever che 'na zuca" (meglio un grano di pepe che una zucca).

Forse per questo, forse perché ho particolarmente a cuore le tradizioni della mia terra,  Halloween e le sue zucche non hanno mai messo radici nel mio vissuto. 



Al contrario, le castagne sono rimaste una presenza ricorrente, anche se per lo più stagionale, sin da quando ero bambina.

La casa dei miei genitori si affacciava su un lungo viale di ippocastani che a primavera avanzata si riempivano quasi all'improvviso di foglie di un verde brillante che davano un senso di frescura solo a guardarle. Al loro riparo era bello giocare ai quattro cantoni o a rubabandiera , fintanto che non maturavano le castagne : cadevano in testa come proiettili e per di più non erano nemmeno commestibili... tanto che venivano chiamate in tono dispregiativo castagne genge o castagne matte.

Le castagne, quelle vere, arrivavano ad ottobre; venivano lessate in una pentola sul fuoco e poi sgusciate in fretta per mangiarle ancora calde.
Non tutti avevano un camino per cuocere le castagne direttamente sul fuoco, perciò per gustare le caldarroste bisognava trovare un chiosco o semplicemente un venditore ambulante all'angolo della strada con un grosso braciere da cui emanava un profumo unico e inconfondibile; con abilità e con un grosso barattolo l'omino le toglieva dal fuoco e le infilava in un cono fatto di carta di giornale usata ( in barba a tutti i salutisti, ecologisti, igienisti). A casa si tornava con le dita nere e un po' ustionate, ma ne valeva davvero la pena.





E le castagne secche, ve le ricordate?
Uno dei tanti pregi di questo frutto è quello di durare a lungo; una volta sbucciate, le castagne rinsecchivano , tanto da sembrare caramelle, ma una volta bollite nel latte, tornavano ad essere una prelibatezza.






In molte regioni d'Italia, specialmente in quelle in cui abbondano i castagneti, si fa molto uso della farina di castagne per preparare dolci tipici; di questo però non ho conoscenza diretta, perciò rimando ai ricettari, esperti in materia.

Non posso tralasciare invece di citare (per una semplice questione di gola, se non di esperienza) i favolosi marrons glacés.





Perché questo nome francese?
Premesso che nei secoli passati la castagna era considerata un cibo molto povero, utilizzato da chi non aveva nemmeno il denaro per comperarsi il pane, che  il castagno era un albero molto diffuso in Piemonte e nelle zone limitrofe e che il Regno di Savoia  si estendeva anche su quello che oggi è territorio francese, la prima ricetta del marron glacé, risultato di un processo di lunga  lavorazione della castagna con miele e zucchero, apparve per la prima volta nel 1651 nel libro Le Cuisinier Français, scritto da Pierre François de la Varenne.  Solo nel 1766 apparve la prima ricetta italiana  nel Confetturiere Piemontese.

Ecco il motivo, o meglio, i motivi  per cui il nome di questa ghiottoneria ha mantenuto la lingua d'oltralpe.

A questo punto potrei raccontare qualche leggenda sulle castagne o ricordare alcuni dei famosi castagni secolari sparsi qua e là lungo la penisola, ma sarà meglio che prima provveda  a togliere le castagne dal fuoco, quelle che ho messo poco fa in padella sul camino, prima che diventino immangiabili.

PS Il detto "togliere le castagne dal fuoco con la zampa del gatto" è tratto da una favola di La Fontaine, in cui si narra di una scimmia che, per evitare di scottarsi, riesce a convincere l'amico gatto a togliere le castagne dalla brace...

 

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