domenica 27 ottobre 2019

Enrica Tesio e le sue filastorte d'amore"

Da Il Libraio






Lo so cosa diceva Croce e concordo, “fino a diciotto anni tutti scrivono poesie, dopo possono continuare a farlo solo due categorie di persone: i poeti e i cretini“. È che io un po’ cretina lo sono, sarà che diciotto anni me li sento ancora da qualche parte, la chiamo quarantolescenza, l’adolescenza dei quarant’anni. Ho scritto trenta filastorte, poesie di genere. Quale genere? Genere di conforto. Sono dedicate alle donne.

Alle donne che sì ok Audrey Hepburn icona di stile, ma vuoi mettere Katharine? Che hanno cercato di essere favolose come Amélie cavandoci un caschetto alla Adso da Melk de Il nome della rosa (da oggi “alla Adso” sostituisce “alla ca**o” nel mio dizionario delle volgarità) e qualche brutta gonna da suora bulgara, che si sono appassionate a Frida Kahlo prima che diventasse un costume di carnevale.

Alle donne che alla perfezione pastello di Instagram preferiscono ancora il suo back stage, quello che qualcuno si ostina a chiamare vita. A quelle che si sono sentite dire “sei troppo intelligente per lui, lo spaventi” ed è allora che si sono sentite più idiote.

Alle donne che si sono stancate anche di essere resilienti, che la resilienza è delle piante e di vegetare non siamo capaci. Alle madri di bambini che non sono progetti, ma compagni di vita. Alle madri che non hanno dato alla luce bambini ma progetti, relazioni, idee. Alle donne che fanno luce anche da sole. Alle amanti.

Alle muse mancate, che avrebbero voluto una poesia dedicata, una canzone. Come la mia amica Renata che, in carenza di ballate struggenti a suo nome, decise arbitrariamente che Serenata rap dicesse “Se Renata rap, se Renata è in metropolitana” o come Lucia che sostiene ancora che Vecchioni cantasse “Lucia a San Siro“.


Alle donne dimissionarie, che si licenziano ogni sera dalle incombenze e dalle ansie, per ricandidarsi ogni mattina. A chi ha capito che la libertà non è fare quello che si vuole, ma sapere quello che si vuole. E questo sì, è un pensiero ribelle. A quelle “nessuno ti amerà, se non ti ami tu per prima” e allora mi dico “Inizio da me: vieni avanti, cretina!”. 


L’AUTRICE – Enrica Tesio (nella foto di Fabio Marchiaro, ndr) blogger e scrittrice, torna in libreria per Giunti con Filastorta d’amore – rime fragili per donne resistenti. Laureata in Lettere con indirizzo cinematografico, fa la copy da quando aveva 20 anni. Nel 2015 ha pubblicato per Mondadori il romanzo La verità, vi spiego, sull’amore, dal quale è stato tratto un film con la regia di Max Croci. Nel 2017 è uscito per Bompiani Dodici ricordi e un segreto.

Nel nuovo libro Enrica Tesio riprende in rima, accompagnati da illustrazioni, i temi a lei cari e seguiti sul suo blog tiasmo, come la vita da mamma single, gli amori infelici, i tradimenti, ma anche e soprattutto l’amore per se stesse.




Filastrocca della mamma imperfetta ( o del figlio perfetto)

C’era una mamma, una madre madrona,
la mano a saetta, la voce che tuona.
Più che un bambino voleva un soldato
Ma poi crebbe un hippie tutto arruffato.

C’era una mamma, un po’ mamma e un po’ chioccia,
di libertà ne lasciava una goccia,
le nacque una bimba paracadutista
adesso è una stuntman professionista.

C’era una mamma vegana e pittrice,
viveva di tofu col figlio, felice.
“Quanti bei posti dipingerai?”
Ma invece il suo Adolfo guidò il Terzo Reich.

Filastrocca del figlio perfetto
Scolpito, pensato come un angioletto
Tu lo volevi un po’ simile a te
e invece “sorpresa!” decide da sé.

C’era una mamma, femminista di razza,
mutande bruciate e tette giù in piazza,
ma ebbe una figlia, un clone di Barbie
che va da Intimissimi e spende i miliardi.

C’era una mamma ingessata e ingegnera
sinapsi a quadretti, compita ed austera,
ma il figlio non legge ogni giorno i listini
compila gli oroscopi, descrive destini.

C’era una mamma Bocca di Rosa,
si dice puttana, io dico sciantosa,
il figlio giurò per la castità,
un frate trappista, in povertà.

C’era una mamma, una santa, una suora,
conosce l’amore, ma il piacere lo ignora,
crebbe un bambino, un chierichetto,
fa il pornoattore, un artista del letto.

Filastrocca del figlio perfetto
Scolpito, pensato come un angioletto
Tu lo volevi un po’ simile a te
e invece “sorpresa!” decide da sé.

Filastrocca della mamma imperfetta.
La mamma perfetta un figlio lo accetta.





L' armadio dei sorrisi

Una donna da sola davanti allo specchio
che prova i sorrisi, dal nuovo al più vecchio
ne ha cinque diversi, non può fare errori
ha un appuntamento, l’aspetta là fuori.

Il primo sorriso le calza un po’ stretto
le stava a pennello, ma le fa difetto
è ingenuo e, a guardarlo, male si abbina
se sai che l’amore è trionfo e rovina.

C’è poi l’eleganza di un sorriso un po’ altero
ma invecchia, è pesante, sintetico e nero
tener le distanze non le è mai piaciuto
le manca uno stylist che le corra in aiuto.

Il terzo è di sfida, sfacciato, ammiccante
e dice: “Mi prendi? Sto in forma sbagliante…

hai coraggio di amarmi? son pericolosa!”.
e dice sciocchezze perché è solo una posa.

Il quarto lo indossa un po’ sbottonato
Ma ripensa alla nonna, un consiglio le ha dato:
“Attenta bambina, stai composta in amore,
se sorridi sguaiata ti si vede anche il cuore”.

E mentre si cambia, realizza pian piano
“Non voglio un sorriso di seconda mano”
pensa all’uomo là fuori, non sa se è l’amore
ed è come prendesse una buca col cuore.

Quel vuoto nell’aria la fa sobbalzare
il viso distende ed è pronta ad andare
il giusto sorriso non si prova, si sente
negli occhi dell’altro il riflesso non mente.

Le assaggia la bocca, le dice “perfetto”
e le spoglia le labbra da ogni rossetto.



Volto segnatempo

C’è intorno ai miei occhi un gran calpestare
galline bislacche che sanno volare
creature di piuma con zampe ruspanti
son simili a me: leggere, pesanti.

In fronte ho due rette che sembran binari
Ci corron pensieri che variano orari
Li carico d’ansia, di attese e d’amore
Ma ho chiuso il passaggio ai treni a rancore.

Intorno alla bocca due parentesi tonde
Più passano gli anni più sono profonde
Le apro e le chiudo, scontorno l’umore
Proteggo il sorriso, lo scudo del cuore.

Poi faccio la conta dei miei capillari
Li ho rotti nei parti e non li ripari
che “dare alla luce”, è una strana espressione
ma rende l’idea della deflagrazione.

Il volto è un lenzuolo al sole asciugato
Ci dorme la vita, l’ha un po’ stropicciato
Ma è bello così, nessuno lo nega
Noiosa è l’età che non fa più una piega.

Diffido dei visi stirati a vapore
È gente che ride col silenziatore
La vita t’intaglia, tu lasciala fare
Il mare in tempesta si lascia increspare

Cancelli le rughe dai bei lineamenti
Ma il lifting che cerchi è ai tuoi sentimenti
Lo so che a guardarle ti sembrano brutte
Ci ho messo una vita e le rifarei tutte.





La borsa delle donne

Ogni donna ha una borsa di pelle un po’ lisa
l’agguanta di corsa quando esce decisa
ci tuffa la mano, ci trova di tutto:
il sacro, il profano, il bello ed il brutto.

Ci trova la spazzola ed il cellulare
per sciogliere i nodi e i pensieri domare
tra chiamate sospese e risposte mai giunte
non c’è balsamo adatto alle sue doppie spunte.

C’è un paio di occhiali, neri, da sole
se fuori è la luce ed è dentro che duole.
se fuori fa caldo e dentro è già inverno
le si appannano gli occhi, la condensa è all’interno.

Ci son carte che attestano la sua identità
ma a un esame più attento non c’è verità

e così nonostante i suoi dati sian chiari
ha più sogni che segni tra i particolari.

Ha comprato un’agenda al posto di un diario
che agire le piace, col vento contrario
lei che spesso in amore è stata avventata
scegliendo d’istinto la gente sbagliata.

Ci ha messo più cura con le angurie al mercato
battendo le nocche contro il primo strato
quel tizio al contrario l’ha solo annusato
la testa era vuota, il gusto annacquato.

Tra i trucchi scaduti c’è un buon correttore
cancella le occhiaie, migliora l’umore
nasconde le notti “mi pensa, ti penso”

si sveglia, è mattina: “m’illudo d’immenso”.

Ci sono castagne dell’autunno passato
e un pugno di sabbia la stoffa ha incrostato
una sciarpa che indossa d’inverno e la sera
una viola in un libro che fa primavera.

Preferisce le piante ai fiori recisi
e di tutte le specie detesta i Narcisi
se ne trova qualcuno lungo la via
non si fa più ammaliare, ha l’allergia.

In fondo alla fodera, la stoffa è bucata
è lì che una chiave si è rintanata
la cerca da tempo, la credeva smarrita
la guarda, la osserva, ce l’ha tra le dita.

In fondo alla borsa un segreto ha scoperto,
è una chiave che apre un cuore già aperto:

amare davvero è tra i doni, i più rari
non perdi alla fine, o vinci od impari.



Di una mamma non si butta via niente ( per Marta)

Col mio corpo puoi farci un mantello
il mio braccio come cintura
te lo slacci se il tempo è bello
te lo stringi se hai un po’ paura.

Dieci dita se vuoi te le dono
per contare di notte gli istanti
che trascorrono tra il lampo ed il tuono
più è sereno e più sono distanti.

Con il rosso del mio rossetto,
ci farai una collana di baci,
troppo presto andrà in un cassetto
per far posto a labbra più audaci.

Coi capelli puoi farci una treccia

da gettare giù dalla torre
quando eros scocca la freccia
chiami “amore” il primo che accorre.

Con i nei facci mille puntini
e sospendi le tue decisioni
metti i sogni sotto ai cuscini
in attesa di giorni più buoni.

Quando scegli che cosa volere
ti do i denti e le unghie affilate
lotta forte finché è in tuo potere
fatti strada ad ampie bracciate.

Quando piangi ti do le mie ciglia
un solletico lieve di piuma

la risata è un genio in bottiglia
basta il tocco e la lacrima sfuma.

Prendi tutto di me, corpo e mente
e poi metti i tuoi piedi sui miei
balleremo una danza struggente
dove sono è ovunque tu sei.

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