martedì 17 settembre 2019

Il cocktail


Parlando di gioielli, qualche giorno fa, mi sono imbattuta negli anelli da cocktail, mi sono quindi incuriosita riguardo questo tipo di bibita, la sua origine e le sue varietà.

Wikipedia:

Un cocktail (anticamente conosciuto in Italia con il nome di "bevanda arlecchina" o "polibibita") è una bevanda ottenuta tramite una miscela proporzionata ed equilibrata di diversi ingredienti alcolici, non alcolici e aromi. Un cocktail ben eseguito deve avere struttura, aroma e colore bilanciati; se eseguito senza l'uso di componenti alcoliche viene detto cocktail analcolico.

La parola cocktail appare per la prima volta nell'edizione del 13 maggio 1806 del Balance and Columbian Repository che ne dava la seguente definizione:
«Il "Cocktail" è una bevanda stimolante composta da superalcolici di vario tipo, zucchero, acqua e amari.»

L'etimologia del termine cocktail non è chiara, esistono tuttavia diverse ipotesi sulla sua origine:
- potrebbe derivare dai termini inglesi cock (gallo) e tail (coda), forse per il fatto che verso il 1400 nelle campagne inglesi si beveva una bevanda variopinta ispirata ai colori della coda del gallo da combattimento;
- potrebbe derivare dal termine francese coquetier, un contenitore per uova che veniva usato a New Orleans per servire liquori durante il XIX secolo;
- potrebbe essere una distorsione dal latino [aqua] decocta, cioè acqua distillata;
- potrebbe derivare dalla leggenda che narra di una nave di ricchi inglesi che, approdando in Sud America, festeggiavano bevendo liquori europei e succhi tropicali mescolati con una colorata piuma di gallo;
- nel 1600-1700 i marinai inglesi approdavano nel porto di Campeche in Messico, dove veniva loro servita una bibita mista con all'interno una radice o erba che i locali in lingua spagnola chiamavano "coda da gallo" (cola de gallo). Da li cock-tail;
- potrebbe derivare da una leggenda medioevale per la quale l'inizio della giornata era segnato dal canto del gallo, mentre la fine da una bevanda alcolica. Segnando la fine della giornata venne chiamata l'usanza "cock-tail", nonché coda di gallo.


La prima pubblicazione di una guida che includesse ricette di cocktail è del 1862: How to Mix Drinks; or, The Bon Vivant's Companion, del professor Jerry Thomas. Oltre alla lista delle solite bevande con mix di liquori, vi erano scritte 10 ricette che erano chiamate "Cocktails". L'ingrediente che differenziava i "cocktails" dalle altre bevande in questo compendio era l'uso degli amari, anche se questo tipo di ingrediente non si trova oramai quasi più nelle ricette moderne. 


Il Proibizionismo è stata la spinta per la trasgressione, tra locali speakeasy e cocktail che hanno fatto la storia della mixology. E' da allora che il cocktail è diventato di moda.


Da https://www.repubblica.it/sapori/2017/09/13/news/storie_cocktail_anni_venti_tra_protezionismo_e_speakeasy-174685930/


La seduzione degli anni Venti. Il proibizionismo, la moda, il cinema. E soprattutto i bar, chiamati speakeasy, dove in quegli anni si vendevano alcolici fuorilegge. Nel 1920, nella sola New York erano 32 mila, più del doppio dei bar presenti prima d
ell’entrata in vigore del divieto. In tutti (o quasi) per entrarci bisognava conoscere la parola d’ordine. Ieri come oggi. Proprio così, perché adesso questi locali stanno tornando di moda con le loro caratteristiche vintage, dall’arredamento e naturalmente ai cocktail. 





Al punto da “disegnare” un nuovo trend del mondo beverage.
Fatto di di cocktail da riscoprire e storie da raccontare. Come quella che già a mezzanotte e tre quarti del 15 gennaio 1920, un giorno prima dell’entrata in vigore del divieto di vendere alcolici, a Chicago una banda armata aveva assaltato un treno carico di whiskey del valore di 100.000 dollari, dando così ufficialmente inizio al contrabbando e al mercato nero degli alcolici. Perché milioni di americani volevano comunque continuare a bere e per farlo erano disposti a pagare, e anche tanto.

Allora proviamo a vedere anche quali cocktail sono nati in quel periodo. E quali vale la pena riscoprire, magari per l’autunno. 


Se parliamo di ruggenti anni Venti ecco spuntare il poco noto ma molto interessante Southside. Sulle sue origini circolano tre diverse storie. La prima in ordine temporale parla di un drink in versione fizz, preparato a Long Island, New York, intorno al 1890 quando questi drink erano al massimo della loro popolarità e particolarmente apprezzati dopo sedute sportive. Qualcosa di simile, però, si beveva anche nella Chicago degli anni Venti. Il nome indicherebbe la la zona sud della città, dove venivano smerciati distillati di pessima qualità, il cui gusto spigoloso veniva mascherato dall’utilizzo di zucchero, limone e menta. L’ultima versione lo colloca nello stesso periodo ma a New York, preparato per la prima volta al Jack e Charlie, aperto nel 1922 e divenuto famoso con il nome di Twenty-one Club.






Simbolo degli speakeasy più glamour e frequentato dalle celebrità del tempo, il bar era dotato di un sistema di leve che all’occorrenza faceva sparire tutti gli alcolici e di una cantina segreta che oggi custodisce bottiglie private appartenenti a personaggi come Frank Sinatra, Ernst Hemingway, Marilyn Monroe, Richard Nixon e John Kennedy. La ricetta? Sei parti di Dry Gin, 2 di succo lime, 2 di sciroppo zucchero e 7 foglie di menta. Si prepara nello shaker riempito per metà con il ghiaccio. Si versa nella coppetta e si decora con la menta.




Naturalmente non si può tacere del Sidecar, un classico dei cocktail, tradizionalmente preparato con cognac (otto parti), Cointreau o Triple sec (2 parti) e succo di limone da mescolare nello shaker riempito a metà di ghiaccio. Filtrare e servire in un bicchiere col bordo inzuccherato. Guarnire con una striscia di buccia di limone. Divertenti le origini che ovviamente sono più di una. Secondo la versione più accreditata, questo drink viene inventato nel 1911 dal barman dell'Harry's Bar di Parigi, che lo dedicò ad un cliente che tutti i giorni si presentava presso il locale in sidecar (alcuni, invece, raccontano che l’eccentrico signore, un capitano, fosse entrato con tutto il suo sidecar direttamente dentro il bar). Secondo altri, invece, la prima ricetta sarebbe opera di Pat MacGarry, il famoso bar-tender del Buck's Club di Londra nel 1922, un anno dopo aver inventato il Buck's.






Poi c’è il Mary Pickford, il drink delle celebrità. Nasce in America negli anni del cinema muto, grazie a un barman di San Francisco che si innamora della famosa attrice Mary Pickford e che ammaliato dalla sua bellezza e dalla sua eleganza prepara un drink appositamente per la diva composto da Rum, succo d’ananas, Maraschino e granatina al quale diede il nome d’arte dell’attrice. Cocktail che viene anche considerato uno dei primi a base di Rum.




Eccoci al French 75, un classico aperitivo che fa parte della famiglia degli sparkling, cioè cocktail allungati con acqua o vino gassati (qualcosa che ha a che vedere con gli Spritz). Gli ingredienti: 3 cl di gin, 1,5 di succo fresco di limone, 1 cucchiaino di zucchero, 6 cl di Champagne: versateli nello shaker con tanto ghiaccio, agitate con forza per una decina di secondi e versate in una flûte, quindi colmate con altro Champagne. Una fettina d’arancia per decorare. La prima ricetta scritta compare nel 1930 al Savoy Cocktail Book di Harry Craddock. Sembra che il nome French 75 si riferisca ad un pezzo d’artiglieria francese impiegato nella prima guerra mondiale




Più interessante e ricco di storia il Bronx. Si prepara nello shaker con 4/10 di gin, 2/10 di vermouth rosso e altrettanto di vermouth dry e succo d'arancia. Si serve nella coppetta da Martini senza guarnizioni. Saporito e mediamente dolce. Come per altri cocktail creati nel periodo del proibizionismo, ci sono diverse storie sull’origine. Due fonti attribuiscono a Joseph S. Sormani, ristoratore del Bronx, la creazione di questo drink. Secondo Albert Stevens Crockett, storico del Waldorf-Astoria Hotel, l'inventore del cocktail Bronx fu Johnnie Solon, un barman di prima del protezionismo all'hotel Manhattan. Il Bronx appare anche nel libro The World's Drinks And How To Mix Them di William "Cocktail" Boothby nel 1908, come "Bronx Cocktail": un terzo di Plymouth gin, un terzo di Vermouth francese ed un terzo di Vermouth italiano, insaporito con l'aggiunta di due spruzzate di Orange Bitter, circa un cucchiaino da bar di succo d'arancia ed una scorza d'arancia decorativa. Nel 1934 il film "The Thin Man", presentava Nick Charles (William Powell) che asseriva che il cocktail Bronx deve sempre essere shakerato al ritmo del "two-step".




Infine il Pink Lady, variante del famoso White Lady. La preparazione è semplice e non necessita di particolari strumentazione: 2/3 di gin, 1/3 di sciroppo di granatina, un albume e succo di limone. Va shakerato a lungo e versato in una coppetta da Martini. Decorare con la scorza di un limone o con una ciliegia candita. Per quanto riguarda le origini c’è una certa confusione. Alcuni attribuiscono la sua invenzione, già dal 1911, all’architetto d’interni Elsie de Wolfe, associato ad un musical di Broadway diretto da Ivan Caryll, chiamato in onore della sua stella, Hazel Dawn, nota anche come “The Pink Lady”.
Durante il periodo del proibizionismo, il cocktail era molto popolare presso il Southern Yacht Club di New Orleans con il nome di Pink Shimmy. Solo più tardi, nel 1930 il Pink Lady ha iniziato ad acquisire l’immagine tipica di “femmina” o bere “girly”, grazie al suo nome e al sapore dolce solitamente associato ai gusti di una donna. Si dice anche che il cocktail sia stato dedicato alla stella di Hollywood Jayne Mansfield, che aveva l’abitudine di bere un Pink Lady prima di ogni pasto. Contenta lei…





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