Domani, 24 giugno, ricorre la festa di S.Giovanni Battista e come ogni anno, in occasione del mio onomastico, mi torna in mente una storia successa molti molti anni fa. Mi piace ricordarla perchè contiene un po' di quell'atmosfera tra suspence e noir che ritrovo in certi libri e in certi film che sono tra i miei preferiti. Vorrei provare a raccontarla...
Quando ero piccola, il latte non veniva sottoposto, prima di essere consumato, a complessi processi di lavorazione, come accade ormai da molto tempo; praticamente passava dalla stalla alla tavola, o quasi, seguendo un percorso che oggi verrebbe definito " a kilometri zero".
A casa mia il latte fresco di mungitura lo portava il Beretta, un uomo con dei folti baffi che me lo facevano sembrare molto più vecchio della sua età. Portava sulle spalle, come fosse uno zaino, un bidone metallico con un coperchio a chiusura ermetica e ne travasava il contenuto in una conca o in una bottiglia secondo la quantità richiesta.
Il Beretta aveva fatto la guerra in Albania insieme a un nostro lontano parente, caduto sul campo di battaglia, e pensava di fare cosa gradita a rievocare le azioni militari che li avevano visti protagonisti con diversa sorte. Il problema era che il Beretta soffriva di una grave forma di balbuzie per cui il suo racconto, oltre che ripetitivo, durava un tempo infinito. Mia madre lo ascoltava pazientemente sperando in cuor suo che qualcuno dalla casa si affacciasse a chiamarla per una qualche questione urgente che richiedesse la sua presenza.
A me il latte del Beretta piaceva tantissimo, specialmente quando , dopo essere stato bollito e conservato per qualche tempo in ghiacciaia, dentro la conca si formava sulla superficie una spessa e morbida pellicola dall'aspetto un po' giallastro. La mamma non voleva che bevessi il latte troppo freddo, tanto meno la panna,ma a me piaceva troppo e così appena possibile ne rubacchiavo qualche cucchiaiata nella certezza che non mi avrebbe fatto alcun male.
Quell'anno si era verso la fine di giugno, alla vigilia della festa di S.Giovanni. In famiglia ci si stava un po' rilassando dopo il trambusto che porta con sè un matrimonio. Ai primi del mese infatti mia sorella Alma si era sposata ed ora era in viaggio di nozze col marito sulla costiera amalfitana, mentre il suo corredo e i regali di nozze stavano ancora nel solaio di casa in attesa del rientro degli sposi.
Il paese si preparava a celebrare la festa del Santo patrono, S.Pietro, e come ogni anno erano arrivate le carovane dei giostrai, per lo più zingari, spesso dall'aspetto poco rassicurante.
Anche quella sera avevo rubato un po' di panna gelata e così nel cuore della notte mi ero svegliata con un fortissimo mal di pancia.
All'epoca dormivo nella camera dei miei genitori in un lettino di ferro smaltato bianco, con le sponde reclinabili e due tenerissimi passerotti dipinti sulla testata.
Benchè fossi molto piccola ricordo con lucidità tutti i dettagli di quella notte come fossero fotogrammi di una pellicola.
Mia madre aveva cercato invano di calmarmi e darmi sollievo dal dolore, ma io stavo veramente male e in tanto trambusto tutta la famiglia si era svegliata. Mio padre , che il mattino seguente avrebbe dovuto alzarsi presto per andare al lavoro, decise di trasferirsi in un'altra stanza, lasciando il suo posto nel lettone a mia sorella Annami che avrebbe potuto facilmente rifarsi del sonno perduto visto che la scuola era finita.
Poichè il dolore persisteva, mia madre alla fine decise di portarmi al piano di sotto in cucina nella speranza che una tazza di camomilla calda potesse risolvere la situazione. Il rimedio sembrò funzionare, così poco dopo nella casa tornò il silenzio ovattato della notte.
Il mattino seguente papà tornò nella sua camera per prendere i suoi effetti personali e si accorse che il cassetto del comodino era stato sfilato completamente e giaceva a terra accanto al letto. Strano - pensò - forse qualcuno di casa cercava al buio un oggetto in quel cassetto e non volendo disturbare aveva pensato di sfilarlo. Ma quando scese al piano di sotto trovò tutta la casa sottosopra : qualcuno aveva chiaramente rovistato nei cassetti e negli armadi e si era quasi certamente spinto fino al piano superiore fin dentro le camere da letto. Mia sorella Annami, notoriamente fifona, per poco non sveniva al pensiero che un ladro dall'aspetto sinistro era stato probabilmente a pochi centimetri dal suo naso; tutti quanti correvano a verificare cosa era stato rubato, le biciclette, le giacche appese nell'ingresso di casa, le tovaglie ricamate di mia madre...con il passare del tempo l'elenco si allungava, ma fra tutto ciò che era svanito nel nulla, c'era una cosa che spaventava più di ogni altra : i ladri si erano presi la pistola di mio padre.
Mio padre non ha mai amato la violenza, al contrario pensava che le parole ed il ragionamento fossero l'unica strada per sedare gli animi e comporre le vertenze, tuttavia aveva ricevuto recentemente pesanti minacce da parte di un operaio ,da lui licenziato su richiesta dei suoi superiori perchè sorpreso spesso a dormire durante il lavoro, trascurando così la sorveglianza di un impianto che gli era stato assegnato. Quest'uomo, evidentemente dalla personalità disturbata, lasciava nella nostra cassetta delle lettere deliranti messaggi minatori . Papà, preoccupato per l'incolumità della famiglia, aveva seguito il consiglio del cognato,lo zio Rino, maresciallo dei Carabinieri, di dotarsi di un'arma per legittima difesa, regolarmente denunciata; anzi era stato proprio lo zio a procurargliela,rilevandola dall'arsenale della caserma.
Mio padre aveva avvolto l'arma, priva di proiettili,in molti strati di carta e l'aveva riposta in fondo al cassetto del suo comodino, augurandosi di non doverne mai fare uso.
Del furto si continuò a parlare per molte settimane con i parenti , i vicini di casa, i Carabinieri ma con il passare del tempo svaniva la speranza di recuperare in qualche modo la refurtiva. I ladri erano spariti senza lasciare traccia, forse se n'erano andati con le giostre a compiere le loro imprese in altri paesi, e a poco a poco l'avventura della notte di S. Giovanni venne dimenticata. In fondo nessuno aveva subito danni fisici.
Tuttavia qualche mese dopo successe un fatto destinato a resuscitare l'intera vicenda.
A Monza, a qualche decina di kilometri dal nostro paese, una notte scoppiò una rissa violenta dentro un bar. Quando gli animi si furono calmati, gli avventori se ne andarono per la loro strada, ma uno di loro, evidentemente non soddisfatto, si appostò dietro il tronco di uno di quegli alberi che formano il grande viale di fronte alla Villa Reale, e sparò a bruciapelo all'uomo che probabilmente l'aveva insultato durante la lite, uccidendolo sul colpo.
Durante le indagini emerse che l'arma del delitto era la pistola rubata a mio padre qualche mese prima. A riconoscerla fu proprio lo zio Rino che all'epoca era in servizio presso la Caserma di Monza. Durante il processo l'imputato , un pluripregiudicato, responsabile con altri complici del furto compiuto nella nostra casa dichiarò cinicamente che se qualcuno di noi quella notte si fosse accorto della loro presenza, non avrebbe esitato a sparare ed uccidere.
Ripensando a quello che avrebbe potuto accadere, l'avventura della notte di S.Giovanni passò negli annali della famiglia e da quel giorno S.Giovanni è diventato il nostro Santo protettore.
Il paese si preparava a celebrare la festa del Santo patrono, S.Pietro, e come ogni anno erano arrivate le carovane dei giostrai, per lo più zingari, spesso dall'aspetto poco rassicurante.
Anche quella sera avevo rubato un po' di panna gelata e così nel cuore della notte mi ero svegliata con un fortissimo mal di pancia.
All'epoca dormivo nella camera dei miei genitori in un lettino di ferro smaltato bianco, con le sponde reclinabili e due tenerissimi passerotti dipinti sulla testata.
Benchè fossi molto piccola ricordo con lucidità tutti i dettagli di quella notte come fossero fotogrammi di una pellicola.
Mia madre aveva cercato invano di calmarmi e darmi sollievo dal dolore, ma io stavo veramente male e in tanto trambusto tutta la famiglia si era svegliata. Mio padre , che il mattino seguente avrebbe dovuto alzarsi presto per andare al lavoro, decise di trasferirsi in un'altra stanza, lasciando il suo posto nel lettone a mia sorella Annami che avrebbe potuto facilmente rifarsi del sonno perduto visto che la scuola era finita.
Poichè il dolore persisteva, mia madre alla fine decise di portarmi al piano di sotto in cucina nella speranza che una tazza di camomilla calda potesse risolvere la situazione. Il rimedio sembrò funzionare, così poco dopo nella casa tornò il silenzio ovattato della notte.
Il mattino seguente papà tornò nella sua camera per prendere i suoi effetti personali e si accorse che il cassetto del comodino era stato sfilato completamente e giaceva a terra accanto al letto. Strano - pensò - forse qualcuno di casa cercava al buio un oggetto in quel cassetto e non volendo disturbare aveva pensato di sfilarlo. Ma quando scese al piano di sotto trovò tutta la casa sottosopra : qualcuno aveva chiaramente rovistato nei cassetti e negli armadi e si era quasi certamente spinto fino al piano superiore fin dentro le camere da letto. Mia sorella Annami, notoriamente fifona, per poco non sveniva al pensiero che un ladro dall'aspetto sinistro era stato probabilmente a pochi centimetri dal suo naso; tutti quanti correvano a verificare cosa era stato rubato, le biciclette, le giacche appese nell'ingresso di casa, le tovaglie ricamate di mia madre...con il passare del tempo l'elenco si allungava, ma fra tutto ciò che era svanito nel nulla, c'era una cosa che spaventava più di ogni altra : i ladri si erano presi la pistola di mio padre.
Mio padre non ha mai amato la violenza, al contrario pensava che le parole ed il ragionamento fossero l'unica strada per sedare gli animi e comporre le vertenze, tuttavia aveva ricevuto recentemente pesanti minacce da parte di un operaio ,da lui licenziato su richiesta dei suoi superiori perchè sorpreso spesso a dormire durante il lavoro, trascurando così la sorveglianza di un impianto che gli era stato assegnato. Quest'uomo, evidentemente dalla personalità disturbata, lasciava nella nostra cassetta delle lettere deliranti messaggi minatori . Papà, preoccupato per l'incolumità della famiglia, aveva seguito il consiglio del cognato,lo zio Rino, maresciallo dei Carabinieri, di dotarsi di un'arma per legittima difesa, regolarmente denunciata; anzi era stato proprio lo zio a procurargliela,rilevandola dall'arsenale della caserma.
Mio padre aveva avvolto l'arma, priva di proiettili,in molti strati di carta e l'aveva riposta in fondo al cassetto del suo comodino, augurandosi di non doverne mai fare uso.
Del furto si continuò a parlare per molte settimane con i parenti , i vicini di casa, i Carabinieri ma con il passare del tempo svaniva la speranza di recuperare in qualche modo la refurtiva. I ladri erano spariti senza lasciare traccia, forse se n'erano andati con le giostre a compiere le loro imprese in altri paesi, e a poco a poco l'avventura della notte di S. Giovanni venne dimenticata. In fondo nessuno aveva subito danni fisici.
Tuttavia qualche mese dopo successe un fatto destinato a resuscitare l'intera vicenda.
A Monza, a qualche decina di kilometri dal nostro paese, una notte scoppiò una rissa violenta dentro un bar. Quando gli animi si furono calmati, gli avventori se ne andarono per la loro strada, ma uno di loro, evidentemente non soddisfatto, si appostò dietro il tronco di uno di quegli alberi che formano il grande viale di fronte alla Villa Reale, e sparò a bruciapelo all'uomo che probabilmente l'aveva insultato durante la lite, uccidendolo sul colpo.
Durante le indagini emerse che l'arma del delitto era la pistola rubata a mio padre qualche mese prima. A riconoscerla fu proprio lo zio Rino che all'epoca era in servizio presso la Caserma di Monza. Durante il processo l'imputato , un pluripregiudicato, responsabile con altri complici del furto compiuto nella nostra casa dichiarò cinicamente che se qualcuno di noi quella notte si fosse accorto della loro presenza, non avrebbe esitato a sparare ed uccidere.
Ripensando a quello che avrebbe potuto accadere, l'avventura della notte di S.Giovanni passò negli annali della famiglia e da quel giorno S.Giovanni è diventato il nostro Santo protettore.
Auguri per domani, ma pietà per i nostri occhi,con questa scrittura così piccola.
RispondiEliminaSan Giovanni è pure il patrono della mia città,Busto Arsizio.
Ciao
Angelo
Grazie di aver ridato luce all'articolo.
RispondiEliminaScusate, non mi ero resa conto che cambiando il solito carattere il risultato fosse peggiore, contavo sul contrario. Comunque auguri a tutti i Bustoarsiziesi (??!!??). Questa sera o domani sera vedrò dal mio terrazzo i bellissimi fuochi che fanno a S.Giovanni nel paese vicino,Mozzo,per il patrono.
RispondiEliminaMamma mia che storia! Avete davvero rischiato tanto e tutto sommato, bisogna dire che siete stati fortunati!
RispondiEliminaEcco anche ...pin pianino la formichina 'gegata' anzi non più ...miracolata , direi . Che dico ? Tutto sempre, anzi più bello di prima perchè più ...
RispondiEliminasplendido splendente !
Le immagini più grandi .. sei la reginetta dei Blog !