uno che racconta del sodalizio fra due personaggi di spicco del mondo intellettuale del novecento: Indro Montanelli e Colette Rosselli. Non certo due persone comuni o banali....
Quello strano matrimonio di Colette Rosselli e Indro
1974: la coppia si “ regolarizza” sposandosi a Cortina d’Ampezzo
FUCECCHIO. Cortina d'Ampezzo, 9 settembre 1974. L'uomo e la donna, che stanno per sposarsi in municipio, non sono più di primo pelo. Lui ha 65 anni; lei, 63. Li accompagnano soltanto i due testimoni: un giurista e un giornalista noti. Il sindaco Renzo Manardi li accoglie con un bel sorriso. A essere sinceri, avrebbe voluto diffondere la notizia il più possibile, se non ci fosse stata la minaccia dei due: guai se apri bocca.
Lui è Indro Montanelli, il giornalista più famoso d'Italia, da due anni divorziato dalla contessa austriaca Margareth De Collins de Tarsienne, sposata molti anni prima. Lei è Colette Cacciapuoti, giornalista, pittrice, autrice di libri per ragazzi, sposata per una decina d'anni con Raffaello Rosselli, livornese, ebreo (cugino dei più noti Carlo e Nello), dal quale - nel 1938, due anni prima della fine del matrimonio - ha avuto una figlia, Sandra, e del quale ama mantenere il cognome. I testimoni sono Pietro Agostino D'Avack e Giorgio Torelli. Indro e Colette hanno deciso di rendere legale la loro storia d'amore, che va avanti da almeno venticinque anni.
Una storia iniziata in casa di amici comuni, a Milano, intorno al 1950, o giù di lì.
La cerimonia, celebrata dal sindaco di Cortina, è semplice, rapida. Poi i quattro raggiungono un prato a ridosso del torrente Boite. Qui Colette compone un mazzolino nuziale di colchici color malva. La sera, i Montanelli offrono una cena nella loro villetta. Invitati il sindaco e sua moglie, i due testimoni e pochi altri, gli intimi. Così racconta Rosario Poma nella bella biografia (inedita) di Montanelli, donata dalla vedova Anna Maria Zandri alla Fondazione, dov'è sorto il "Fondo Poma". In sostanza, quel 9 settembre a Cortina, si sono sposate due persone con nel dna la condizione di… scapole. Un matrimonio strano, se si vuole.
Affermerà, in più di un'occasione, Montanelli: «Con Colette eravamo due scapoli che si erano sposati, poi ognuno rimaneva scapolo. Amo molto la mia vita solitaria. Non rimpiango la vita di coppia che non ho mai fatto. E sono contento di non avere figli. Credo che sarei stato un cattivo padre». E Colette al settimanale "Oggi": «Siamo due scapoli che si rinfacciano d'avere perso la “vera” (mai portata da entrambi), due solitari (io per consuetudine, lui per natura) legati da un'autentica stima e da un interesse, non partecipe l'uno per l'altro. Io non partecipo al suo interesse per la politica o il calcio, lui non partecipa a certe mie scelte di letture o di immagini. I nostri incontri sono come viaggi all'estero che, ogni tanto, è bello fare».
Lui abita a Milano, lei a Roma, in un attico in piazza Navona. Fucecchio ha il privilegio di vederli insieme nel maggio 1993, per l'inaugurazione del Palazzo Della Volta restaurato, ora sede della Contrada Sant'Andrea e, al primo piano, della Fondazione Montanelli Bassi. Lontani ma non indifferenti. Lei è Donna Letizia, esperta di buone maniere, elegante, raffinata. Che ama sottolineare d'aver tolto lo stuzzicadenti dalla tavola degli italiani e i calzini corti dalle gambe degli uomini. Sicché, quando vede suo marito in televisione con cravatte orribili, telefona a Letizia, nipote adorata da tutti e due, e le dice di scovarle, quelle cravatte, nell'armadio, e di buttarle nella spazzatura. E Letizia esegue.
Colette è quella che non ha soggezione di lui (è tra i pochi) e non manca di buttarlo giù dal piedistallo. Come quando racconta, in "Case di randagia", il rapporto di Montanelli con l'automobile. «Nel giugno del 1952 - riferisce Poma - Indro e Colette avevano deciso d'andare a trascorrere il mese d'agosto in una casetta sulla costa calabra. Una gita bellissima da fare in macchina». Lui, però, non ha la patente e lei l'ha persa durante la guerra e non più richiesta. Allora lui s'iscrive a una scuola guida, supera l'esame e compra un'auto. «Il giorno che ne entrò in possesso propone a Colette di fare una gita, lasciandole la scelta dell'itinerario e della mèta». Colette propone d'arrivare al Gianicolo attraverso il ponte Cavour. Sono le tre del pomeriggio, quasi nessuno in giro. Sul ponte, un pedone, che cammina zoppicando. Non tiene conto del clacson suonato ripetutamente da Montanelli, dal momento che ritiene ci sia posto sufficiente per il sorpasso. Montanelli gli va a fianco, quasi a ridosso, allora il pedone si spaventa e, a saltelli, cerca di raggiungere l'altro marciapiede, quello di destra. A questo punto, Montanelli, invece, d'andare per la sua strada, per riflesso, si mette a tallonare il poveretto, il quale procedendo a zigzag supera il ponte. Poi, rivolto al conducente, chiede: «Ma insomma, io a lei che cosa ho fatto?». Montanelli risponde: «Nulla». Poi si dice mortificato e aggiunge: «Scendo da questa maledetta macchina e giuro che mai più siederò alla sua guida». Detto fatto. Montanelli e Colette rincasano a piedi. La prima cosa che fa, lui, appena messo piede nell'abitazione, è di strappare la patente.
Le gelosie. Colette al settimanale "Oggi": «Le gelosie di Indro sono state furibonde e anomale, da nevrotico qual è (…). Ha avuto passioni prima e dopo di me. Gelosa io? Non si può amare senza esserlo. Tutto sta dal come si gestisce la gelosia. Non sono un tipo da scenate: sono alta un metro e ottanta, se mi agitassi sembrerei un mulino a vento. E poi il sangue inglese ti porta all'autocontrollo, che è peggio, a volte, perché ti maceri di più (…). Mi è capitato anche di diventare molto amica delle ex amiche di Indro, perché ho sempre avuto tanto affetto per lui e ho sempre saputo d'essere il suo punto fermo».
Nel gennaio del 1996, Colette è colpita da un ictus cerebrale, che la costringe a letto. «Anni prima - scrive Poma - si era fatta promettere dal marito che nel caso si fosse trovata gravemente inferma e senza speranza di guarigione, lui l'avrebbe liberata dalle sofferenze facendo ricorso all'estremo rimedio dell'eutanasia».
Montanelli si ricorda della promessa fatta. Tra l'altro, è nelle sue corde di laico convinto. S'impegna, ma senza successo. Ne parlerà nell'aprile 1997, rispondendo a un lettore nella sua famosa "La stanza" sul "Corriere della Sera": «Ne cercai febbrilmente il modo, ma non trovai nessun medico, né farmacologo, né infermiere disposto a fornirmelo. Se lo avessi trovato, lo avrei usato senza esitare, riservandomi di autodenunciarmi al giudice. E non lo prenda per eroismo, né tanto meno per una bravata. Alla mia età, la pena più grave in cui si può incorrere sono gli arresti domiciliari che sulla vita di un quasi novantenne incidono poco. La mia intenzione sarebbe stata di portare in tribunale, cioè di fronte alla pubblica opinione, il caso dell'eutanasia. Per indurre la legge non ad ammetterla, ma a rimetterla caso per caso (…), all'arbitrato di un ristretta commissione formata da medici e dai parenti più prossimi del malato che giudichino secondo coscienza». Colette muore tre mesi dopo nella sua casa di piazza Navona, a Roma. Il "Corriere della Sera" le dedica un lungo articolo, intitolato "Addio Colette, signora dello stile". Vi si legge, tra l'altro: «Per almeno quattro generazioni Colette è stata l'amica cui confessare timori e speranze, angosce e inquietudini. Alle confidenze sincere rispondeva nelle sue rubriche, con il nome di Donna Letizia, sempre con puntualità,
Un bel ricordo della mia giovinezza,spiritosa e pungente, pittrice incantevole che ci ricorda le favole i libri dell infanzia . Grazie
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