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venerdì 28 febbraio 2020

Che tempo farà.



Quante volte, prima di intraprendere un viaggio, o anche solo di organizzare una gita dietro l'angolo, ci siamo preoccupati di controllare che tempo farà?
Oggi possiamo sapere con estrema facilità se sta piovendo o se splende il sole in località più o meno lontane da noi e non solo in tempo reale, ma anche in proiezione e con minimi margini d'errore.
Al contrario , molto probabilmente, non ci siamo mai chiesti quando e chi ha "inventato" le previsioni del tempo.






Ho trovato la risposta su un vecchio numero di Focus Storia, presente anche on line, per chi fosse interessato ai dettagli.
Robert FitzRoy , che vedete nel ritratto, era un vice-ammiraglio della Marina inglese molto determinato, ma -  ahimè - anche poco fortunato e capirete perché.


Nato nel 1805 nel Suffolk, discendeva da una delle più nobili casate d'Inghilterra; FitzRoy in lingua normanna  significa infatti  figlio di re, anche se le circostanze che avevano motivato l'attribuzione di questo cognome al capostipite della famiglia non erano proprio regali...

Entrato molto giovane in Marina, tra il 1831e il 1835 comandò il brigantino Beagle per la raccolta di rilievi idrografici intorno al mondo e nell'occasione ebbe a bordo lo scienziato Charles Darwin. I due divennero amici , ma anni dopo, quando il naturalista pubblicò "L'origine della specie", l'amicizia tra i due, da tempo incrinata, si sarebbe rotta definitivamente, visto che Fitzroy era per l'interpretazione letterale della Bibbia.





Tornato dal suo viaggio e dopo averne pubblicate le memorie, FitzRoy fu eletto  nel 1843 alla Camera dei Comuni con i Conservatori ed ottenne la nomina a governatore della Nuova Zelanda. Purtroppo dopo solo due anni fu destituito, perché ritenuto incapace di gestire le controversie tra indigeni e coloni.

FitzRoy non si lasciò abbattere e tornò ad occuparsi di mare e della sua sicurezza. In quegli anni il trasporto su nave era in continuo aumento e la velocità di navigazione era un fattore essenziale dal punto di vista commerciale; purtroppo però  lungo le coste o in mare aperto, tempeste impreviste  ostacolavano  le imbarcazioni o le distruggevano, con conseguenti danni gravissimi anche in termini di vite umane.




Pur dovendo contare su scarse risorse economiche e magri guadagni per un uomo della sua condizione sociale, FitzRoy  non si tirò indietro. La prima cosa da fare era fornire ad ogni capitano gli strumenti adatti per rilevare il tempo incontrato durante la navigazione, per stendere una prima mappa di riferimento.
Non essendoci ancora la radio, le informazioni arrivavano a FitzRoy con grande ritardo, tuttavia lui le annotava con diligenza , rilevando che le perturbazioni, pur diverse nel luogo e nel tempo, avevano elementi comuni, ad esempio, tendevano tutte a spostarsi da ovest verso est. Notò anche che con l'avvicinarsi della tempesta la pressione atmosferica e il vento variavano in modo uguale.





L'ammiraglio fece costruire e collocare gratuitamente nei villaggi di pescatori lungo la costa un gran numero di barometri, in modo da poter avvertire i capitani delle navi al largo della necessità di mettersi al riparo in  caso di variazioni sensibili della pressione atmosferica, ancora una volta  osteggiato  dai suoi superiori.

Quando però  nell'ottobre del 1859 il Royal Charter, un clipper di 72 metri, affondò a causa di una violenta tempesta, portandosi dietro centinaia di vite umane, fu evidente che le precauzioni suggerite da FitzRoy avrebbero potuto evitare il disastro  e dovevano finalmente essere ascoltate. Così furono  installate 13 stazioni metereologiche lungo le coste della Gran Bretagna in grado di lanciare avvisi di tempesta tramite il telegrafo ai comandanti delle navi in navigazione.
Ovviamente ci volle del tempo perché il progetto potesse funzionare al meglio (del resto anche oggi le previsioni del tempo non sono sempre perfette...) e il povero FizRoy  continuò ad essere osteggiato dagli armatori per l'eccesso di cautela che portava le navi a sostare anche quando non era strettamente necessario.

Una domenica mattina del 1865, l'Ammiraglio, deluso e depresso, si chiuse in bagno e si tagliò la gola con un rasoio.
Aveva 60 anni .


Qualche anno dopo , nel 1877, l'esploratore argentino Perito Moreno, diede il nome di FitzRoy  a questa montagna in Patagonia, dove si incontrano Cile e Brasile. Chissà se l' Ammiraglio avrà apprezzato questo gesto  ...



 

sabato 30 novembre 2019

Scienza e poesia : riflessioni



In maniera del tutto occasionale mi sono imbattuta in un articolo pubblicato da Ilenia Laghezzi sul blog AltraScienza nel marzo dello scorso anno, intitolato "Dante e le Stelle: un percorso poetico e scientifico."

Ho avvertito una tale sintonia con l'autrice e con il suo linguaggio semplice e scorrevole, che ho pensato di riportarlo di seguito, per condividerlo con chiunque abbia interesse a questo argomento.



"Cos'è la poesia se non la ricerca che l'uomo compie dentro di sè ?E' un percorso profondo alla scoperta della parte più vera ed intima di sè. La poesia scava nell'anima di chi la scrive e di chi la legge : il poeta svelerà la propria interiorità, il lettore troverà la chiave per guardarsi dentro, per iniziare un percorso di conoscenza e di sperimentazione, appunto.

Scienza e poesia cercano di comprendere come sono fatte le cose, la natura, l'universo; la poesia, come la scienza, la matematica, la fisica, è fatta di simboli, di segni, di ordine, di caos, di simmetria, di metrica, di numeri...Inoltre, i poeti esplorano l'ignoto nell'animo, come gli scienziati nella natura e nell'universo.




E, tra i poeti esploratori, fa capolino un fine descrittore  della natura umana e dell'infinito: Dante Alighieri. Dante sa legare con maestria i contenuti poetici alla scienza : descrive fenomeni naturali, i moti degli astri, la legge della riflessione della luce, anche. Si diverte , persino, a descrivere le macchie lunari. La stessa luce ha un posto rilevante nella sua poesia, non solo per il valore simbolico che essa contiene, ma anche per la bellezza con la quale si propone da sempre ai nostri occhi e ai nostri sensi.




Nel canto XV del Purgatorio, Dante descrive la legge della riflessione della luce (vv16-24):

"Come quando dall'acqua o dallo specchio
salta lo raggio all'opposita parte,
salendo su per lo modo parecchio
a quel che scende, e tanto si diparte
dal cader della pietra in egual tratta,
sì come mostra esperìenza ed arte;
così mi parve da luce rifratta
quivi dinanzi a me  esser percorso;
per che a fuggir la mia vista fu ratta."

In questi versi Dante spiega una legge dell'ottica, ovvero che il raggio riflesso viene deviato, rispetto alla verticale, di un angolo che è pari all'angolo di incidenza.




Il poeta descrive anche il fenomeno naturale dell'arcobaleno, riferendosi al meccanismo fisico che lo causa (ovvero l'aria piena di vapore, attraverso i raggi del sole che riflette in sé e rifrange anche, si adorna di vari colori, cioè forma l'arcobaleno) nella trattazione sulla generazione dell'uomo spiegata da Stazio (Purg. XXV, vv  90-93)


"e come l'aere, quando è ben piorno,
per altrui raggio che 'n sé riflette,
di diversi color diventa adorno."

Mi stupisco della conoscenza di Dante in materie che sembrerebbero lontane dalla letteratura e che, invece, tramite essa egli riesce a spiegare.

Per Dante, tutte le cose rispondono ad un ordine supremo e ogni cosa è inserita in un ordine cosmico che è forma e rende l'universo somigliante a Dio.(Paradiso, I canto, vv 1-3; vv 103-105):

"La gloria di colui che tutto move
per l'universo penetra e risplende
in una parte più e meno altrove"


E poi ancora:
"...le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l'universo a Dio fa simigliante."

Si potrebbe azzardare  a considerare che tutto, in quanto si riflette in Dio (non dimentichiamo mai il forte legame di Dante con la fede), è degno di essere osservato e conosciuto.

E'  quasi, e sottolineo quasi ,il presupposto della scienza moderna...

Anche le stelle nella Divina Commedia hanno un posto di rilievo: nel Canto XXXIV dell'Inferno, l'ultimo verso recita " e quindi uscimmo a riveder le stelle"; nel canto XXXIII del Purgatorio, negli ultimi versi, Dante scrive: "Io ritornai...puro e disposto a salire le stelle"; il Canto XXXIII del Paradiso termina con : "l'amor che move il sole e l'altre stelle".

E' una mia personale riflessione: le stelle lontane e luminose rappresentano il punto di riferimento in Dante, la sua guida nel percorso di purificazione, una sorta di faro che gli dona serenità. Del resto le stelle hanno sempre affascinato l'uomo: basta guardarle, le stelle, di notte e ci si sente rinfrancati. In pace.

L'incredibile effetto di questo incontro è stato ritrovarci a parlare di poesia, umanità e scienza con estrema naturalezza : uno scambio reciproco di esperienze, di parole , di sensibilità per sottolineare la necessità di imparare a guardare oltre, ad osservare in silenzio e ad imparare dall'altro."




Troppo spesso, a mio parere ci lasciamo catturare dalla fretta, dal rumore, dal canto delle cicale, da mille cose che hanno il solo scopo di sottrarci del tempo ; impariamo invece a cercare dentro e fuori di noi quello che potremmo definire "il lusso dell'anima".