Al solstizio d'estate, quando il sole raggiunge la sua massima inclinazione positiva rispetto all'equatore celeste, per poi riprendere il cammino inverso, comincia l'estate
Tale giorno era
considerato sacro nelle tradizioni precristiane ed ancora oggi viene
celebrato dalla religiosità popolare con una festa che cade qualche
giorno dopo il solstizio, il 24 giugno, quando nel calendario liturgico
della Chiesa latina si ricorda la natività di San Giovanni Battista.
E
nella festa di San Giovanni convergono i riti indoeuropei e celtici
esaltanti i poteri della luce e del fuoco, delle acque e della terra
feconda di erbe, di messi e di fiori.
Tutte le
leggende si basano su di un evento che accade nel cielo : il 24 giugno
il sole, che ha appena superato il punto del solstizio, comincia a
decrescere, sia pure impercettibilmente, sull'orizzonte : insomma, noi
crediamo che cominci l'estate, ma in realtà, da quel momento in poi, il
sole comincia a calare, per dissolversi, al fine della sua corsa verso
il basso, nelle brume invernali. Sarà all'altro solstizio, quello
invernale, che in realtà l'inverno, raggiunta la più lunga delle sue
notti, comincerà a decrescere, per lasciar posto all'estate.
E' così che avviene, da millenni, la corsa delle stagioni.
Nella
notte della vigilia di San Giovanni, la notte più breve dell'anno, in
tutte le campagne del Nord Europa l'attesa del sorgere del sole era
propiziata dai falò accesi sulle colline e sui monti, poiché da sempre,
con il fuoco, si mettono in fuga le tenebre con le tenebre e con esse
gli spiriti maligni, le streghe e i demoni vaganti nel cielo. Attorno ai
fuochi si danzava e si cantava, e nella notte magica avvenivano prodigi
: le acque trovavano voci e parole cristalline, le fiamme disegnavano
nell'aria scura promesse d'amore e di fortuna, il Male si dissolveva
sconfitto dalla stessa forza di cui subiva alla fine la condanna la
feroce Erodiade, la regina maledetta che ebbe in dono il capo mozzo del
Battista. Nella veglia, tra la notte e l'alba, i fiori bagnati di
rugiada brillavano come segnali ; allo spuntar del sole si sceglievano e
raccoglievano in mazzi per essere benedetti in chiesa dal sacerdote.
Bagnarsi nella rugiada o lavarsene almeno gli occhi al ritorno della
luce era per i fedeli cristiani un gesto di purificazione prima di
partecipare ai riti in chiesa.
La rugiada ricordava il
battesimo impartito dal Battista nel Giordano, le erbe dei prati e dei
boschi riproponevano l'austera penitenza di Giovanni nel deserto prima
della sua missione di precursore del Messia. Anche in Valsesia
ritroviamo l'usanza dei falò, del lavacro con la rugiada e della
benedizione in chiesa del mazzo di erbe e di fiori. Conservate
gelosamente in casa, portate all'alpeggio in estate - verso il quale da
molti paesi si partiva la stesso giorno del 24 di giugno - le erbe
benedette riconsacravano la baita di montagna lasciata l'anno prima
mantenendo tra le famiglie dei pastori un legame con la sacralità della
festa e del rito d'inizio d'estate. Al ritorno dall'alpe, quelle stesse
erbe essiccate, unite ad un ramo di olivo e ad uno di ginepro, venivano
bruciate nella stalla a protezione degli animali. Non a caso, dunque, il
precursore di Cristo, rappresentato con l'Agnello mistico e vestito da
eremita, pastore del deserto, fu assunto dai pastori come patrono
privilegiato fino dai primi secoli cristiani.
Il rito della
benedizione dei "fiori di San Giovanni", erbe benefiche e medicine
medievali per curare il corpo ed evitare il malocchio, per proteggere la
casa e gli animali domestici era assai diffuso in Valsesia, fino a
pochi decenni fa.
Ed ancora le donne si recano in processione, recando con loro i fiori da benedire.
I fiori di San Giovanni, dunque : l'artemisia, l'arnica ; le bacche rosso fuoco del ribes...
La verbena, della quale è credenza diffusa che, colta a mezzanotte della vigilia di San Giovanni, costituisca un'infallibile protezione contro i fulmini, ed è conosciuta in Bretagna come "erba della croce", perché si ritiene che protegga chi la porta con sé da qualsiasi male ed anche come "erba della doppia vista" perché il berne un infuso facilita la visione di realtà altrimenti nascoste.
La verbena, della quale è credenza diffusa che, colta a mezzanotte della vigilia di San Giovanni, costituisca un'infallibile protezione contro i fulmini, ed è conosciuta in Bretagna come "erba della croce", perché si ritiene che protegga chi la porta con sé da qualsiasi male ed anche come "erba della doppia vista" perché il berne un infuso facilita la visione di realtà altrimenti nascoste.
L'erica, la pianticella sottile è un fiore delle nevi e dei terreni poveri ed ostili. Infatti, il suo nome deriva dal verbo greco "ereiko", spezzo, rompo, proprio perché l'erica è più forte della dura crosta di terra invernale o della neve che la ricopre, tant'è che la buca senza fatica, emergendo all'aria aperta. I fiori dell'erica, che vanno dal bianco alle varie tonalità di rosa, assomigliano, rovesciati, ai copricapi degli elfi.
Della stessa famiglia dell'erica è un'altra pianticella, detta brugo,
da brucus, termine tardolatino di origine celtica, da cui deriva il
termine brughiera, poiché in questa terra povera e arida la pianticella
riesce a vivere meglio di altre, coprendo immense distese.
L'erica,
dal nome più romantico, era tenuta in grande considerazione fin
dall'antichità, tanto da essere utilizzata per costruire le scope che
sarebbero servite a pulire i templi degli Dei, e successivamente, in
tempi più severi, il forno dove cuocere il pane.
Le
leggende associano spesso l'erica alle Entità Fatate, facendole
dimorare fra i suoi rami e sconsigliando di sdraiarsi a dormire fra
queste piantine, per non correre il rischio di essere rapiti dal mondo
delle fate. Di contro, era possibile accedere ai segreti dell'Aldilà,
semplicemente dormendo su un letto di erica, che è anche spesso
giaciglio degli amanti in numerose leggende.
E l'erica è posta
a guardia del solstizio d'estate, periodo nel quale raggiunge la
fioritura più completa. Usanza derivante probabilmente dal mondo
celtico, dove l'erica è collegata sia all'Aldilà sia all'amore : le api,
simbolo di saggezza segreta che proviene dall'Altromondo, sono
particolarmente ghiotte dei fiori di questa piantina e producono così un
miele squisito, da sempre legato a riti e significati di immortalità e
di rinascita.
E ancora, tipico della notte di San Giovanni, il raro, misterioso fiore della felce che cresce nella notte magica, e si dice fiorisca a mezzanotte.
La
storia relativa ai fiori magici è interessante, ed è frutto di credenze
molto diffuse. In Boemia, ad esempio, si crede che il fiore della felce
risplenda come l'oro, o come il fuoco, nella notte di San Giovanni :
chiunque lo possieda in questa magica notte, e salga una montagna
tenendolo in mano, scoprirà una vena d'oro, e vedrà brillare di fiamma
azzurra i tesori della terra.
In Russia, i contadini
raccontano che chi riesce ad impadronirsi del meraviglioso fiore nella
vigilia di San Giovanni, se lo getta in aria, lo vedrà ricadere per
terra nel punto preciso dove è nascosto un tesoro. Pare che questo fiore
fiorisca improvvisamente, talvolta, a mezzanotte precisa della magica
notte del solstizio d'estate; e, sempre in Russia si racconta che chi
abbia la fortuna di cogliere l'istante di quella fioritura improvvisa,
potrà nello stesso tempo assistere a tanti altri spettacoli
meravigliosi: gli sarebbero apparsi tre soli, e una luce avrebbe
illuminato a giorno la foresta, e avrebbe udito un coro di risa, ed una
voce femminile chiamarlo. Il fortunato a cui accade tutto questo non
deve spaventarsi: se riesce a conservare la calma, raggiungerà la
conoscenza di tutto ciò che sta succedendo o succederà nel mondo. Anche
se resta da vedere se quest'ultima sia una buona magia.
Ma
anche il seme della felce, che si vuole risplenda come oro nella notte
di San Giovanni, non diversamente che dal magico fiore, farebbe scoprire
i tesori nascosti nella terra: i contadini del Tirolo credono che alla
vigilia di San Giovanni si possano veder brillare come fiamme i tesori
nascosti e che il seme della felce raccolto in questa mistica notte
possa portare alla superficie l'oro celato nelle viscere della terra.
Nel cantone svizzero di Friburgo, il popolo usava un tempo vegliare
vicino ad una felce la notte di San Giovanni, nella speranza di
guadagnare il tesoro che qualche volta il diavolo in persona portava
loro.
Un altro fiore,
questo facilmente rintracciabile e che appare d'oro anche ad occhio
nudo, è legato nella memoria popolare al solstizio d'estate. La densità
della sua fioritura è tale da risaltare sulle grandi distese, come una
gran macchia di colore giallo oro misto a rame ; i fiori infatti, così
numerosi e brillanti, durano poco, un giorno soltanto, e subito
appassiscono e assumono un colore rosso ruggine. Si tratta dell'iperico, un fiore dei campi che è detto erba di San Giovanni,
perché anticamente chi si trovava per strada la notte della vigilia,
quando le streghe si recavano a frotte verso il luogo del convegno
annuale, se ne proteggeva infilandoselo sotto la camicia insieme con
altre erbe, dall'aglio, all'artemisia, alla ruta. Il suo stretto legame
col Battista sarebbe testimoniato dai petali che, strofinati tra le
dita, le macchiano di rosso perché contengono un succo detto per il suo
colore "sangue di San Giovanni". E' davvero difficile risalire alla
motivazione di questo accostamento - perché il Battista e non un altro
martire ? - se non forse il fatto che l'iperico è un fiore che si
accontenta di poco, per sopravvivere, e vive anche nei climi desertici,
come fece un tempo Giovanni il Battista.
Nelle leggende si parla anche di un 'erba piccolissima e sconosciuta, detta Erba dello Smarrimento.
Si dice che essa venisse seminata dalle Fate e dai Folletti nei luoghi
da loro frequentati e, calpestata, avrebbe allontanato dalla retta via
il malcapitato. A questa leggenda si intreccia quella, di origine
tedesca, che, se taluno passa vicino alla magica fioritura della felce,
nella notte di San Giovanni, senza raccogliere il seme che la pianta
lascia cadere, sarà condannato a smarrirsi per via, anche se percorre
strade a lui note.
Altrettanto conosciuta era l'Erba Lucente,
che consentiva, se portata sul corpo, di vedere la verità delle cose
senza mascheramenti o inganni. Poiché quest'erba era invisibile agli
uomini, ma non ai bovini domestici, la si poteva raccogliere solo
seguendo un vitello al suo primo pascolo, oppure le mandrie, nella notte
di San Giovanni. Si raccontava infatti che in quelle occasioni i bovini
mangiassero solo quell'erba, dando così la possibilità a chi proprio lo
desiderava di individuarla. Le vecchie storie non tramandano cosa
accadesse agli incauti che ci riuscivano, cui da allora, conoscendo ogni
verità, era negata la possibilità dell'illusione.
Da :http://ww2.raccontidifata.com/2012/06/festa-del-sole.html
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Fonte: tanogabo.
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