per filo e per segno: recensione
LA
FRODE
C’ è poco da dire Richard Gere è sempre Richard
Gere: invecchiato con garbo, sempre quella sua allure fascinosa, gli occhi
stretti e sagaci, la folta chioma bianca ( che gran civetteria!), il cappotto
gettato sulle spalle…..anche in questo film sovrasta tutti gli altri pur famosi
coprotagonisti, i quali rimangono, appunto, semplicemente co-protagonisti.
Richard Gere è Robert Miller, un tycoon alla
Madof, che gioca con i soldi e gli investimenti, padrone di tutto, grande
filantropo (che cos’è per lui un assegno di
due milioni di dollari????), moglie innamorata (la brava Susan
Sarandon), due figli e nipotini, una amante giovane e francese , Julie,(non ci
facciamo mancare niente: Laetitia Casta…) una casa stupenda, jet privato…di tutto e di più.
Grande successo..ma all’improvviso si trova al
centro di un intrigo finanziario, di una tragedia sentimentale e di un
thriller.
Tutto crolla.
Dell’intrigo finanziario si può dire che si
tratta di una vendita spericolata che deve riuscire per sanare un buco
finanziario enorme mentre Robert tenta
di trovare il modo per sopravvivere e salvare il salvabile.
A questo punto durante una breve fuga d’amore ha
un incidente in auto e la sua amante muore. Nell’interpretare la giovane morta
la Casta appare realmente bella , cosa che,
nelle altre scene, non si sarebbe detto ( lo so, lo so tutti i più
accreditati critici la pensano diversamente..e allora???).
Miller, di fronte alle conseguenze di questo incidente
che non può dichiarare, ha un atteggiamento che sembra tipico degli uomini di
potere made in USA ( vedi Ted Kennedy?) e fugge, anche se poi nulla sarebbe da
addebitargli.
Coinvolge nella fuga l’innocente, giovane conoscente,
Jimmy Grant, (dignitosa la prova del giovane Nat Parker) mentre il tenace,
ostico poliziotto Michel Bryer ( bravissimo Tim Roth) della NYPD comincia ad
annusare puzza di bruciato intorno.
Così la storia si dipana su due binari narrativi:
il primo nel quale Robert cerca in tutti i modi
di salvare se stesso e Jimmy, il suo leale amico, e l’altro in cui il
poliziotto arriva a truccare le prove e
a minacciare il testimone, pur di incastrare il colpevole.
Gere, diretto con mano quasi fredda da Nicholas
Janicki, interpreta benissimo, per una volta, l’anti – eroe, tutto imbrogli e cuore in mano,
che alla fine suscita la simpatia degli spettatori.
In questo strano labirinto di sotterfugi,
inganni e menzogne sono trascinati
tutti, come dimostra Ellen, la moglie, nella scena finale, dove finalmente la
Sarandon può far valere la sua grande capacità interpretativa.
Una parola speciale per la fotografia di Yorick
Le Saux: Manhattan di notte, con mille
luci, è magica, bellissima.
Come concludere? Abbiamo visto un film
attualissimo, con una narrazione mai sopra le righe e molto distaccata: il suo
messaggio sembra essere che tutti possono essere corrotti, perché ognuno ha il
suo demone tentatore. Che può essere tanto la sete di potere come anche,
purtroppo, il desiderio di perseguire la giustizia con ogni mezzo, anche il più ingiusto.
Paola
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