Un anziano barbuto, scalzo e
magro per il digiuno, s’arrampica su una possente quercia. Avvolto in una lunga
tunica bianca, con un falcetto d’oro in mano s’appresta a tagliare dei rami
verdeggianti dalle bacche brillanti che raccoglierà poi in una candida tela, ben
attento a non farli cadere a terra.
E’ la pittoresca immagine
del Druido – antico sacerdote celtico - che secondo la leggenda alla fine
dell’anno va a caccia di foglie di vischio per salutare, con i comandati riti
propiziatori, l’inaugurazione di quello a venire.
Tradizionalmente, questo
rito si svolgeva il sesto giorno della luna, in occasione della festa che
segnava l’inizio dell’anno celtico: un traguardo simbolicamente importante,
perché indicava la morte della vegetazione. Il vischio, invece, caparbio e
orgoglioso, non solo restava tenacemente verde ma proprio in quel periodo
gettava dei frutti deliziosi di cui erano particolarmente ghiotti i tordi i
quali, cibandosene avidamente, ne disperdevano i semi ovunque. Così, in una
stagione sterile, il vischio emergeva come l’unica specie resistente, in grado
di propagare la sua vitalità a dispetto del freddo e dell’inospitalità del
terreno.
Simbolicamente la pianta del
vischio rappresenta, perciò, il carattere indistruttibile della vita vegetale,
l’ininterrotta rigenerazione, la ciclicità dell’esistenza. Da qui il significato
del suo nome, che in celtico indica “colui che guarisce tutto”. In effetti,
sempre secondo le leggende, il vischio comunicava i suoi poteri vitali a chi ne
consumava l’acqua in cui era lasciato a macerare, trasmettendo forza e
vigore.
Come spesso la storia ha
dimostrato, le leggende celano alcune verità. I Druidi deducevano il potere del
vischio innanzitutto dal suo aspetto: essendo una pianta saprofita, cresceva
sfruttando il fusto di altri alberi. Di conseguenza, essendo aerea e priva di
radici proprie, era considerata
manifestazione degli dei che vivono in cielo senza sfiorare il suolo.
Toccare l'umana terra avrebbe comportato per la pianta la perdita d’ogni potere,
per questo la raccolta doveva essere protetta da un telo bianco. Anche la
fattezza delle bacche, perlacee, lattiginose e brillanti nel buio, hanno
contribuito alla fama magica del vischio, suggerendone il nome di “Pianta della Luna”.
E’ sintomatico che i Druidi
scegliessero esclusivamente il vischio nato sulle querce, dato che in realtà era
molto più facile trovarlo su meli, peri, pini silvestri e pioppi. Secondo
Plinio, la scelta derivava dal simbolismo legato alla quercia, che era l’albero
del dio dei cieli e della folgore, meritevole perciò di profonda venerazione. Il
vischio, nel cantone svizzero di Argau, era persino considerato la “scopa del
fulmine”, perché si credeva cadesse insieme alla folgore e chi ne avesse bevuto
l’essenza, la linfa vitale, si sarebbe impossessato dello stesso
vigore.
Al di là delle suggestioni
magiche, qualcosa di fondato c’è. E’ significativo che all’estremità opposta del
globo, nel nord del Giappone, esiste una comunità – quella degli Ainu – che
tutt’oggi attribuisce al vischio poteri terapeutici. Pare che la pianta curi
l’epilessia e renda feconde le donne sterili e il bestiame. A pensarci bene,
l’analogia tra la natura del vischio e le sue presunte proprietà è potente: la
sua propagazione operata dagli uccelli si allaccia simbolicamente al seme
maschile e alla fecondazione; mentre la sua natura aerea giustifica il potere di
guarire l’epilessia, detta “mal di terra” poiché la crisi epilettica si
manifesta con una brusca caduta a terra e, come s’è visto, il vischio non deve
mai toccare il suolo.
Un’altra leggenda lega il
vischio alla dea anglosassone Frigga, sposa del dio Odino e protettrice degli
innamorati. Dalle sue lacrime sgorgate per la morte del figlio Baldr nacquero le
bellissime bacche perlate del vischio e quando magicamente Baldr riprese vita,
la dea ringraziò chiunque passasse sotto l'albero con un dolce bacio.
Questa è una delle versioni,
riprese anche dal Cristianesimo, che spiegherebbe l’attuale usanza di baciarsi
sotto un ramo di vischio la notte di San Silvestro. Ancora una volta, la realtà
pare sposarsi felicemente con il simbolismo arcaico: dal nome “vischio” deriva
l’aggettivo “vischioso” per indicare quella consistenza scioglievole, densa e
persistente che collega due superfici aderenti. Espressa in maniera più poetica
e piacevole, questa caratteristica effettivamente tipica delle bacche di
vischio, potrebbe alludere all’attrazione amorosa e a quel magico bacio
scambiato dalle tumide labbra di due innamorati l’ultima notte dell’anno.
A questo punto
l’immaginazione può tutto, soprattutto quando si parla d’Amore: i fragorosi
fuochi artificiali di capodanno si trasformeranno in beneauguranti folgori
divine, mandate dal Cielo sulla Terra a suggellare le tacite promesse di due
esseri umani amorosamente abbracciati sotto l’aura complice della Pianta della
Luna(Trovato qui: http://paolacerana.blogspot.it/2012/12/il-bacio-e-la-pianta-della-luna.html)
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