lunedì 30 dicembre 2013

Ancora sul vischio


Un anziano barbuto, scalzo e magro per il digiuno, s’arrampica su una possente quercia. Avvolto in una lunga tunica bianca, con un falcetto d’oro in mano s’appresta a tagliare dei rami verdeggianti dalle bacche brillanti che raccoglierà poi in una candida tela, ben attento a non farli cadere a terra.
E’ la pittoresca immagine del Druido – antico sacerdote celtico - che secondo la leggenda alla fine dell’anno va a caccia di foglie di vischio per salutare, con i comandati riti propiziatori, l’inaugurazione di quello a venire.
Tradizionalmente, questo rito si svolgeva il sesto giorno della luna, in occasione della festa che segnava l’inizio dell’anno celtico: un traguardo simbolicamente importante, perché indicava la morte della vegetazione. Il vischio, invece, caparbio e orgoglioso, non solo restava tenacemente verde ma proprio in quel periodo gettava dei frutti deliziosi di cui erano particolarmente ghiotti i tordi i quali, cibandosene avidamente, ne disperdevano i semi ovunque. Così, in una stagione sterile, il vischio emergeva come l’unica specie resistente, in grado di propagare la sua vitalità a dispetto del freddo e dell’inospitalità del terreno.






Simbolicamente la pianta del vischio rappresenta, perciò, il carattere indistruttibile della vita vegetale, l’ininterrotta rigenerazione, la ciclicità dell’esistenza. Da qui il significato del suo nome, che in celtico indica “colui che guarisce tutto”. In effetti, sempre secondo le leggende, il vischio comunicava i suoi poteri vitali a chi ne consumava l’acqua in cui era lasciato a macerare, trasmettendo forza e vigore.
Come spesso la storia ha dimostrato, le leggende celano alcune verità. I Druidi deducevano il potere del vischio innanzitutto dal suo aspetto: essendo una pianta saprofita, cresceva sfruttando il fusto di altri alberi. Di conseguenza, essendo aerea e priva di radici proprie, era considerata manifestazione degli dei che vivono in cielo senza sfiorare il suolo. Toccare l'umana terra avrebbe comportato per la pianta la perdita d’ogni potere, per questo la raccolta doveva essere protetta da un telo bianco. Anche la fattezza delle bacche, perlacee, lattiginose e brillanti nel buio, hanno contribuito alla fama magica del vischio, suggerendone il nome di “Pianta della Luna”.





E’ sintomatico che i Druidi scegliessero esclusivamente il vischio nato sulle querce, dato che in realtà era molto più facile trovarlo su meli, peri, pini silvestri e pioppi. Secondo Plinio, la scelta derivava dal simbolismo legato alla quercia, che era l’albero del dio dei cieli e della folgore, meritevole perciò di profonda venerazione. Il vischio, nel cantone svizzero di Argau, era persino considerato la “scopa del fulmine”, perché si credeva cadesse insieme alla folgore e chi ne avesse bevuto l’essenza, la linfa vitale, si sarebbe impossessato dello stesso vigore.
Al di là delle suggestioni magiche, qualcosa di fondato c’è. E’ significativo che all’estremità opposta del globo, nel nord del Giappone, esiste una comunità – quella degli Ainu – che tutt’oggi attribuisce al vischio poteri terapeutici. Pare che la pianta curi l’epilessia e renda feconde le donne sterili e il bestiame. A pensarci bene, l’analogia tra la natura del vischio e le sue presunte proprietà è potente: la sua propagazione operata dagli uccelli si allaccia simbolicamente al seme maschile e alla fecondazione; mentre la sua natura aerea giustifica il potere di guarire l’epilessia, detta “mal di terra” poiché la crisi epilettica si manifesta con una brusca caduta a terra e, come s’è visto, il vischio non deve mai toccare il suolo.
Un’altra leggenda lega il vischio alla dea anglosassone Frigga, sposa del dio Odino e protettrice degli innamorati. Dalle sue lacrime sgorgate per la morte del figlio Baldr nacquero le bellissime bacche perlate del vischio e quando magicamente Baldr riprese vita, la dea ringraziò chiunque passasse sotto l'albero con un dolce bacio. 

Questa è una delle versioni, riprese anche dal Cristianesimo, che spiegherebbe l’attuale usanza di baciarsi sotto un ramo di vischio la notte di San Silvestro. Ancora una volta, la realtà pare sposarsi felicemente con il simbolismo arcaico: dal nome “vischio” deriva l’aggettivo “vischioso” per indicare quella consistenza scioglievole, densa e persistente che collega due superfici aderenti. Espressa in maniera più poetica e piacevole, questa caratteristica effettivamente tipica delle bacche di vischio, potrebbe alludere all’attrazione amorosa e a quel magico bacio scambiato dalle tumide labbra di due innamorati l’ultima notte dell’anno.





A questo punto l’immaginazione può tutto, soprattutto quando si parla d’Amore: i fragorosi fuochi artificiali di capodanno si trasformeranno in beneauguranti folgori divine, mandate dal Cielo sulla Terra a suggellare le tacite promesse di due esseri umani amorosamente abbracciati sotto l’aura complice della Pianta della Luna(Trovato qui: http://paolacerana.blogspot.it/2012/12/il-bacio-e-la-pianta-della-luna.html)

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