Quindi ho deciso di lasciar perdere ed evitare di dare il mio parere in merito a quanto leggo.
In questo periodo di tempo ho letto decine di romanzi, alcuni mi sono piaciuti, altri meno; qualcuno l'ho già dimenticato, mentre qualcun altro lo ricorderò per un po'.
In mezzo a tanti titoli più o meno interessanti, più o meno usa e getta, voglio citarne due che, sono sicura, non dimenticherò: il primo è "La voce delle cose perdute" di Sophie Chen Keller perchè è un libro insolito, delicato e molto profondo.
Un libro che non è del solito genere che amo, un libro diverso, un libro che all'inizio ho faticato a proseguire e che mi sono accorta di avere apprezzato solo quando l'ho finito, quando ho smesso di voler vedere come va a finire, per capirne, finalmente, il significato. Insomma non è un libro che si limita a raccontare una storia ( cosa per altro non disprezzabile, intendiamoci), ma che vuole dire qualcosa di più.
Walter odia le parole. Soffre di un disturbo che gli impedisce di articolare bene i suoni e, un giorno, stanco delle prese in giro dei coetanei, ha smesso di provarci. Ha deciso di chiudere la bocca e aprire gli occhi. Adesso, a dodici anni, Walter osserva e nota cose che sfuggono alla maggior parte delle persone, distratte da chiacchiere inutili. Ed è diventato bravissimo a ritrovare le cose perdute. Ecco perché, quando il libro della madre scompare, lui si lancia nella ricerca con l’aiuto del suo unico amico, Milton, un Labrador grassoccio e intraprendente. Insieme, Walter e Milton si avventurano negli angoli dimenticati di New York, incontrando persone che per gli altri sono invisibili: dalla donna che tutte le mattine raccoglie le lattine per strada a una coppia delusa dal mondo, che si è ritirata in un stazione abbandonata della metropolitana. Grazie alle loro storie, Walter scoprirà generosità e speranza, solitudine e rimpianti, ma soprattutto capirà che la vita è un dono troppo prezioso per guardarla scorrere. E così riuscirà non solo a trovare le magiche pagine del libro perduto, ma pure la forza di aprirsi agli altri e di dare voce ai suoi sogni.
È capitato a tutti noi di avere l’impressione di aver perso qualcosa, di sentirci soli e incompresi. Questo romanzo ci ricorda che, nonostante tutto, c’è tanta speranza nel mondo. E che basta avere il coraggio di guardarsi intorno con occhi nuovi e ascoltare il nostro cuore per ritrovare ciò che abbiamo smarrito.
Come ho detto prima, Sophie Chen scrive in maniera molto delicata e ha proposto un libro ricco di contenuti. La storia di Walter insegna ad aprirsi al contatto umano per poter vivere pienamente, a non temere le cose nuove e, soprattutto a credere fermamente in ciò che si desidera e a cercare di perseguirlo con tenacia. Credere nei sogni e nella magia di quello che ci circonda, ci fa vedere ed apprezzare le piccole cose di ogni giorno; Walter nella sua ricerca del libro perduto verrà in contatto con una moltitudine di persone e da ciascuna di queste imparerà qualcosa che lo porterà a superare il proprio handicap e la propria solitudine; ma non solo, perchè a tutte queste persone anche lui insegnerà qualcosa e così il cerchio della solidarietà si chiude con vantaggio di ciascuno.
Il secondo libro, che mi è piaciuto moltissimo, è "L'anno in cui imparai a raccontare storie" di Lauren Wolk, un libro come avrei voluto leggere da molto tempo, senza trovarne di simili. Questo libro è stato paragonato dalla critica a "Il buio oltre la siepe" e mi trovo d'accordo con chi lo ha fatto. Come quello, anche questo è il primo lavoro della scrittrice e come quello è un racconto di formazione. Non è proprio come il buio oltrela siepe, raggiungere quel livello non è riuscito nemmeno ad Harper Lee col sequel, però ci si avvicina.
Siamo nell'America rurale del tempo dell'ultima guerra, abbiamo l'immagine di un intero paese spaventato dagli eventi e dal clima incerto, dove è facile credere più alle apparenze, che alla verità, dove il diverso è visto con sospetto e dove è ancora più facile trovare un capro espiatorio quando succede qualcosa che spaventa. Annabelle crede nel valore dell'onestà e della verità ( e così i suoi famigliari), ma deve imparare che per difendere chi le è caro, deve concedere spazio se non proprio alla menzogna, a qualcosa che le assomiglia: il silenzio e la mezza verità. Crescere è difficile, ma una bella famiglia compatta e comprensiva sono un aiuto fondamentale a farlo.
Come Il buio oltre la siepe, a cui è stato paragonato da tutti i critici che l’hanno recensito, questo libro è la sintesi perfetta di avventura, suspense, impegno civile. Ambientato nel 1943, all’ombra delle due guerre, è il racconto di una ragazzina alle prese con situazioni difficili ma vitali: una nuova compagna di classe prepotente e violenta, un incidente gravissimo e un’accusa indegna contro un uomo innocente. Annabelle imparerà a mentire e a dire la verità, perché le decisioni giuste non sono mai facili e non possiamo controllare il nostro destino e quello delle persone che ci sono vicine, a prescindere da quanto ci impegniamo. Imparerà che il senso della giustizia, così vivo quando si è bambini, crescendo va difeso dalla paura, protetto dal dolore, coltivato in ogni gesto di umanità.
Una scrittura nitida e coinvolgente dà voce a una delle protagoniste più forti della letteratura contemporanea e terrà incollati alle pagine sia i ragazzi che gli adulti. L’anno in cui imparai a raccontare storie è già un classico.
Ed ecco il prologo:
L’anno in cui compii dodici anni, imparai a mentire.
E non mi riferisco alle piccole frottole che raccontano
i bambini. Intendo proprio vere bugie, alimentate
da vere paure – cose che dissi e feci che mi strapparono
alla vita che avevo conosciuto fino a quel momento scaraventandomi
in una nuova esistenza.
Era l’autunno del 1943 quando la mia vita, fino a
quel momento stabile, prese a girare come una trottola,
non soltanto perché la guerra aveva trascinato il mondo
intero in una violenta rissa, ma anche per via della ragazza
dal cuore malvagio che arrivò sulle nostre colline,
cambiando tutto.
A volte ero così stordita che mi sentivo come l’asta di
una girandola, circondata da ronzio e frastuono, ma nel
corso di quel periodo destabilizzante capii che non avrei
potuto semplicemente nascondermi in un fienile con
un libro e una mela lasciando che gli eventi precipitassero
senza di me. Capii che non sarei potuta diventare
dodicenne senza darmi da fare, cioè senza trovare il mio
posto, guadagnarmi la mia piccola fetta di autorità, la
possibilità di contare qualcosa.
Ma c’era di più.
Se vi è possibile, non perdetelo!
Grazie mille!!
RispondiEliminaIo, invece, seguo le tue recensioni proprio perchè non appartengono ai blog che fanno questo di routin. Le ritengo quindi delle segnalazioni veramente meritevoli di nota.
RispondiEliminaLi metterò in lista fra quelli da leggere per l'estate!
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