Era il mese di giugno del 53 a.C. quando, al confine orientale della Turchia, nei pressi di Carre, un esercito romano composto da 35.000 uomini fu umiliato e distrutto nel giro di poche ore da 10.000 arcieri parti. A capo di quell'esercito c'era il triumviro Marco Licinio Crasso.
Mentre a Caio Giulio Cesare era stato assegnato il governo della Gallia e a Gneo Pompeo Magno quello dell'Iberia, a Crasso era toccato quello della Siria.
Mentre a Caio Giulio Cesare era stato assegnato il governo della Gallia e a Gneo Pompeo Magno quello dell'Iberia, a Crasso era toccato quello della Siria.
Crasso , un sessantenne immensamente ricco, aveva sempre sofferto di una sorta di complesso di inferiorità nei confronti dei due "colleghi", le cui gesta erano ormai leggendarie, e pensò che la Siria, un grande territorio di confine, oltre il quale si stendeva l'impero dei Parti, fosse una buona opportunità per mettersi in pari con la gloria.
All'epoca, l'impero dei Parti era dilaniato da una feroce guerra civile che riguardava la famiglia regnante : il re era stato ucciso dai suoi stessi figli che ora si contendevano il potere...e Crasso pensò di trarre profitto portando soccorso a uno di loro, allestendo una spedizione fortemente osteggiata dal popolo.
La spedizione si dimostrò infausta fin dall'inizio, quando Crasso si affrettò a traghettare da Brindisi a Durazzo nonostante le condizioni metereologiche avverse, perdendo così non solo diverse navi, ma soprattutto una grande quantità di vite umane.
Arrivato in Siria il proconsole assunse il comando anche delle truppe romane che già si trovavano sul territorio e con 7 legioni marciò verso il territorio dei Parti. Attraversato l'Eufrate , l'esercito romano incontrò una scarsa resistenza, ma dopo qualche tempo incominciarono a manifestarsi segnali preoccupanti, soprattutto perché, risolte le contese interne, i cavalieri Parti si erano ricompattati contro l'esercito romano.
Inoltre i soldati, lontani da Roma ormai da un paio d'anni e scarsamente impegnati sul campo, si stavano progressivamente rilassando, trascuravano le esercitazioni e non addestravano adeguatamente le nuove reclute arruolate sul territorio.
Ancora una volta l'avidità stava portando Crasso alla rovina . Il suo obiettivo infatti era quello di arrivare a Saleucia, la città dove si pensava fosse custodito il grande tesoro dei Parti, tesoro di cui intendeva impadronirsi.
Così, ignorando i numerosi consigli alla prudenza, alla guida di 35.000 uomini si mosse verso Seleucia , certo di impadronirsene.
Al suo fianco aveva il figlio Publio, che aveva combattuto con Cesare in Gallia.
Quando all'improvviso l'esercito nemico si palesò davanti ai legionari, il generale romano rimase come pietrificato, incapace di decidere con lucidità con quale schieramento affrontarlo. Una pioggia di dardi e frecce, scagliate da 10.000 cavalieri e 1000 catafratti si abbatté sui soldati romani , provocando gravissime perdite. Anche Publio con i suoi cavalieri Galli si lanciò contro il nemico, senza riuscire a controllarne la furia, e si racconta che , ferito a morte , abbia implorato il suo scudiero di mettere fine alla sua vita proprio con quella spada che non poteva più impugnare.
Quando l'oscurità mise fine alla battaglia, la maggior parte dei soldati romani rimase a terra uccisa o gravemente ferita.
Le perdite erano state così ingenti da impedire ogni possibilità di rivincita nei giorni che seguirono. Lo stesso Crasso fu catturato e ucciso e la leggenda racconta che nella sua bocca fu fatto colare dell'oro fuso, per sottolineare la sua ingordigia in vita.
I pochi superstiti di quella battaglia tornarono in Siria, ma oltre ai 20.000 soldati morti in battaglia, almeno altri 6000 furono fatti prigionieri e di questi non si ebbero più notizie, tuttavia...
Le cronache riportate dallo storico cinese Ban Gu parlano di una spedizione condotta nel 36 a.C. da un esercito cinese della dinastia degli Han Occidentali con un gran numero di soldati contro Zhizhi, nel Kazakistan. L'attenzione dello storico si concentra sulle insolite tecniche di combattimento dell'esercito nemico con scudi rotondi disposti a lisca di pesce e vallum in pali di legno.
Secondo non pochi storici moderni questa insolita armata potrebbe essere ciò che restava delle truppe romane sconfitte a Carre e che, dopo aver vinto la battaglia, l'esercito degli Han deportò come prigionieri in Cina nel distretto del Fanmu (oggi Gansu).
C'è anche chi sostiene che , probabilmente, dopo la disfatta di Carre alcuni dei soldati romani superstiti ,anziché tornare a Roma, si spinsero verso est arrivando nella regione di Gansu, al margine del deserto del Gobi.
Ma come ?!? Non era stato Marco Polo ad arrivare per primo in Cina?
Probabilmente no...sta di fatto che nel distretto di Gansu c'è un villaggio in cui, molti abitanti ,presentano alcuni evidenti tratti caucasici ; non solo, il nome del villaggio, Liqian,è simile al termine con cui anticamente si indicava l'Impero Romano, Lijian.
Già negli anni cinquanta, un professore di storia cinese dell'Università di Oxford, Homer Dubs, aveva ipotizzato che gli attuali abitanti di Liqian potrebbero essere i discendenti di alcuni di quei soldati romani portati da Crasso a combattere contro i Parti e non solo per nasi pronunciati, capelli biondi e lisci, e tondi occhi verdi , ma anche per alcuni ritrovamenti archeologici e specifici test sul DNA , condotti nel 2005.
La questione è tuttora aperta e, comunque vada ,agli abitanti di Liqian non dispiace l'idea di questa lontana parentela, che dal punto di vista economico sta procurando loro grandi benefici economici, grazie all'afflusso di numerosi turisti.
La spedizione si dimostrò infausta fin dall'inizio, quando Crasso si affrettò a traghettare da Brindisi a Durazzo nonostante le condizioni metereologiche avverse, perdendo così non solo diverse navi, ma soprattutto una grande quantità di vite umane.
Arrivato in Siria il proconsole assunse il comando anche delle truppe romane che già si trovavano sul territorio e con 7 legioni marciò verso il territorio dei Parti. Attraversato l'Eufrate , l'esercito romano incontrò una scarsa resistenza, ma dopo qualche tempo incominciarono a manifestarsi segnali preoccupanti, soprattutto perché, risolte le contese interne, i cavalieri Parti si erano ricompattati contro l'esercito romano.
Inoltre i soldati, lontani da Roma ormai da un paio d'anni e scarsamente impegnati sul campo, si stavano progressivamente rilassando, trascuravano le esercitazioni e non addestravano adeguatamente le nuove reclute arruolate sul territorio.
Ancora una volta l'avidità stava portando Crasso alla rovina . Il suo obiettivo infatti era quello di arrivare a Saleucia, la città dove si pensava fosse custodito il grande tesoro dei Parti, tesoro di cui intendeva impadronirsi.
Così, ignorando i numerosi consigli alla prudenza, alla guida di 35.000 uomini si mosse verso Seleucia , certo di impadronirsene.
Al suo fianco aveva il figlio Publio, che aveva combattuto con Cesare in Gallia.
Quando all'improvviso l'esercito nemico si palesò davanti ai legionari, il generale romano rimase come pietrificato, incapace di decidere con lucidità con quale schieramento affrontarlo. Una pioggia di dardi e frecce, scagliate da 10.000 cavalieri e 1000 catafratti si abbatté sui soldati romani , provocando gravissime perdite. Anche Publio con i suoi cavalieri Galli si lanciò contro il nemico, senza riuscire a controllarne la furia, e si racconta che , ferito a morte , abbia implorato il suo scudiero di mettere fine alla sua vita proprio con quella spada che non poteva più impugnare.
Quando l'oscurità mise fine alla battaglia, la maggior parte dei soldati romani rimase a terra uccisa o gravemente ferita.
Le perdite erano state così ingenti da impedire ogni possibilità di rivincita nei giorni che seguirono. Lo stesso Crasso fu catturato e ucciso e la leggenda racconta che nella sua bocca fu fatto colare dell'oro fuso, per sottolineare la sua ingordigia in vita.
I pochi superstiti di quella battaglia tornarono in Siria, ma oltre ai 20.000 soldati morti in battaglia, almeno altri 6000 furono fatti prigionieri e di questi non si ebbero più notizie, tuttavia...
Le cronache riportate dallo storico cinese Ban Gu parlano di una spedizione condotta nel 36 a.C. da un esercito cinese della dinastia degli Han Occidentali con un gran numero di soldati contro Zhizhi, nel Kazakistan. L'attenzione dello storico si concentra sulle insolite tecniche di combattimento dell'esercito nemico con scudi rotondi disposti a lisca di pesce e vallum in pali di legno.
Secondo non pochi storici moderni questa insolita armata potrebbe essere ciò che restava delle truppe romane sconfitte a Carre e che, dopo aver vinto la battaglia, l'esercito degli Han deportò come prigionieri in Cina nel distretto del Fanmu (oggi Gansu).
C'è anche chi sostiene che , probabilmente, dopo la disfatta di Carre alcuni dei soldati romani superstiti ,anziché tornare a Roma, si spinsero verso est arrivando nella regione di Gansu, al margine del deserto del Gobi.
Ma come ?!? Non era stato Marco Polo ad arrivare per primo in Cina?
Probabilmente no...sta di fatto che nel distretto di Gansu c'è un villaggio in cui, molti abitanti ,presentano alcuni evidenti tratti caucasici ; non solo, il nome del villaggio, Liqian,è simile al termine con cui anticamente si indicava l'Impero Romano, Lijian.
Già negli anni cinquanta, un professore di storia cinese dell'Università di Oxford, Homer Dubs, aveva ipotizzato che gli attuali abitanti di Liqian potrebbero essere i discendenti di alcuni di quei soldati romani portati da Crasso a combattere contro i Parti e non solo per nasi pronunciati, capelli biondi e lisci, e tondi occhi verdi , ma anche per alcuni ritrovamenti archeologici e specifici test sul DNA , condotti nel 2005.
La questione è tuttora aperta e, comunque vada ,agli abitanti di Liqian non dispiace l'idea di questa lontana parentela, che dal punto di vista economico sta procurando loro grandi benefici economici, grazie all'afflusso di numerosi turisti.
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