Il libro è uscito qualche anno fa ma solo recentemente l'ho sentito citare per caso da un paio di persone e così ho deciso di comprarlo.
L'autore, Mario Calabresi, ora affermato giornalista, è figlio di quel Commissario Calabresi ucciso a tradimento la mattina del 17 maggio 1972, mentre usciva di casa per recarsi al lavoro. Lasciava una giovane moglie e tre bambini, di cui uno non ancora nato.
Si trattava chiaramente di un omicidio a sfondo politico, generato dall'odio e dalla violenza di opposte fazioni , che negli anni '70 avevano finito per trascinare il nostro paese in un clima di paura e incertezza. Erano i cosiddetti anni di piombo.
Calabresi era stato ritenuto responsabile da parte dell'estrema sinistra della morte dell'anarchico Pinelli, seguita alla caduta da una finestra in Commissariato, durante gli interrogatori per la bomba fatta esplodere nella Banca Nazionale dell'Agricoltura a Milano, e i mezzi di comunicazione dell'epoca avevano contribuito a gettare ombre sulla figura del commissario.
Ci vollero due lunghi processi per ricostruire la verità dei fatti e solo nel 2004, dopo il proscioglimento da ogni accusa, lo Stato riabilitò pubblicamente Luigi Calabresi.
Nel libro Mario non rievoca solo quella tragica giornata, ma l'intero percorso della sua vita di bambino, di ragazzo, di uomo, alla ricerca di una verità personale e privata, fatta di ricordi sbiaditi, di ritagli di giornale, di lettere, appunti, messi insieme con pazienza e tenacia.
Mario cerca di confrontarsi anche con altre persone, comunemente etichettate come "parenti delle vittime", spesso dimenticate non appena spenta la risonanza della notizia di cronaca.
Questo suo lavoro di ricostruzione della propria storia, e quindi della propria identità, ha lo scopo di spingere il buio più in là, di superare le polemiche e il rancore, di ridare dignità al ricordo.
Sono contenta che abbia raggiunto questo obiettivo, perché la serenità d'animo è un bene prezioso.Al di là delle vicende personali dell'autore, nel leggere questo libro mi sono ritrovata a ripensare a quei lontani anni ' 70, quando invece di manifestare per strada, di prendere parte alla politica, ero impegnata a costruire la mia vita, a crescere i miei bambini, a far quadrare il bilancio famigliare, a cercare di far bene il mio lavoro. Egoista o fortunata? Chi può dirlo? Non sempre si può avere ciò che si desidera per sé o per gli altri. Quello di cui sono sicura però è che la violenza e l'odio non giovano a nessuno.
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