Infatti, quando c'è a disposizione un ampio solaio, non si butta più niente e tutto ciò che perde interesse o utilità dove finisce ? In solaio ovviamente...esperienza insegna.
Nel corso degli anni, e son più di quaranta, nel solaio di casa si son montati scaffali, riempiti bauli, valigie, cartoni, e si son studiate tutte le strategie possibili per renderli facilmente raggiungibili, con risultati spesso discutibili.
L'estate scorsa, in un periodo in cui sapevo di non avere particolari impegni, mi son messa a disegnare con pazienza su carta millimetrata una sorta di mappa del solaio per identificare la collocazione dei diversi contenitori e, fin lì, a parte qualche zuccata imprevista quando dimenticavo che, come in ogni soffitta, il tetto è spesso inclinato, il progetto sembrava funzionare.
zona "Natale" |
Zona "Riviste" |
Zona bauli e valigie |
Quando però mi sono avventurata nell'annotazione del contenuto, l'inutilità del mio pur volenteroso progetto si è manifestata in tutto il suo spessore.
Nel primo baule ispezionato ho trovato il mio abito da sposa con sacchi a pelo versione estiva , alcuni peluches che un tempo stavano sul letto dei bambini e tutti i fascicoli, mai rilegati, di 10 volumi dell' "Enciclopedia del mare"...
Molto probabilmente anche negli altri contenitori avrei trovato gli oggetti più disparati.
Preso atto dell'impossibilità di individuare e ridistribuire ogni cosa con un minimo di coerenza, ho gettato la spugna , rendendomi conto che in quel solaio, a brani e bocconi, c'è tutta la storia della mia vita, di quello che la vita mi ha regalato, ma anche di quello che la vita mi ha tolto.
Per questo il solaio non è per me solo un deposito di cose inutili; al contrario è una riserva di ricordi ed emozioni che mi riporta indietro in un tempo in cui, oltre alle cose, ci sono persone, amici, aneddoti, sentimenti e magari curiosità da riscoprire.
Un esempio? alcuni giorni fa ho ritrovato, mentre cercavo altro, alcuni pupazzetti di cui mi ero invaghita nei primi anni '60.
Li ho ritrovati pressoché intatti grazie al corpo di legno, agli abiti di tessuto e ai capelli di paglia; il viso di celluloide purtroppo ha risentito delle alte temperature estive e si è un po' deformato.
L'etichetta sulla vestina della bambolina porta la scritta Lenci, un marchio che allora era molto conosciuto.
Il "pannolenci" era un tessuto morbido e compatto con cui si potevano realizzare non solo bambole, ma anche pupazzetti di vario genere, animaletti, cappelli, borse, ma anche abiti veri e propri; ricordo di aver avuto una gonna di panno verde con intarsi bianchi davvero insolita.
Il marchio Lenci era nato molto prima, nel 1919,quando, come mi raccontava mia madre, le bambine giocavano con bambole fatte di legno e di stracci; quelle più fortunate avevano bambole con il viso di porcellana o di ceramica, fragile e inespressivo.
Il marchio era stato registrato a Torino da Enrico Scavini come acronimo del più altisonante "Ludus Est Nobis Constanter Industria", ma pare che facesse riferimento al nome della moglie di Scavini, Elena Von Koenig, in particolare al diminutivo con cui la stessa veniva chiamata dal padre quand'era bambina, Elenchen, che lei pronunciava Lenci.
L'azienda si affidò all'opera di artisti per realizzare i modelli delle prime bambole dalle teste in feltro elettroformato in appositi stampi. Le bambole avevano espressioni realistiche e indossavano abiti alla moda.
Il grande successo di questi straordinari prodotti valse molti premi alla ditta Lenci , ma allo stesso tempo stimolò la concorrenza a produrre bambole simili ,ma di qualità e prezzi inferiori.
In cerca di nuove idee la Lenci iniziò a produrre fiori in feltro e ceramiche di alta qualità e continuò comunque ad operare in Italia e all'estero.
Ma il tempo cambia i gusti e le necessità delle persone , che vogliono soprattutto praticità.
Ciononostante le bambole Lenci famose nel mondo come opere d'arte sono ancora oggi oggetto di collezionismo ed esposte in musei italiani ed esteri.
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