sabato 13 gennaio 2018

Can da la bissa








Questa imprecazione pare riferirsi particolarmente agli esattori delle tasse dei Visconti.


I Visconti




Nell'antichità solevano viaggiare circondati da numerosi cani da guardia.

Erano pure amanti della caccia che praticavano con migliaia di levrieri e segugi. Questi animali portavano al collo, come segno di riconoscimento un collare sul quale era inciso lo stemma visconteo: la biscia. Perciò vennero chiamati "can da la bissa".

Quando viaggiavano, le strade dovevano essere sgombre da uomini, animali e cose.

La locuzione si diffuse nel nostro dialetto e vi restò per sempre: anche adesso infatti per fugare un pericolo, o per indicare una persona potente e scaltra, si usa dire:
"Can da la bissa"






“Can de la bissa” (cane della biscia) è un insulto milanese dalle origini antiche. Inizialmente indicava
i cani di Barnabò Visconti, feroce signore di Milano, riconoscibili dallo stemma visconteo che portavano sul collare. Questi cani erano circa cinquemila, dovevano essere mantenuti dai cittadini, potevano girare liberamente in città e se entravano in una casa il proprietario era tenuto ad allevarli. Pene severissime colpivano chi non li avesse nutriti e la morte di un cane poteva comportare la confisca dei beni del responsabile. 




Proprio in piazza Missori, sulla destra di chi guarda San Giovanni in Conca, si trovava la Cà di can (casa dei cani): sede centrale di questi poco amati animali. Si narrano diverse storie in proposito. Una racconta dell’abate che dimenticò di nutrire due alani: il Visconti lo condannò a una multa di quattromila scudi, cifra folle per l’epoca. Alle suppliche dell’abate, Barnabò rispose che lo avrebbe perdonato se fosse riuscito a rispondere a quattro domande: qual è la distanza dalla Terra al cielo; quant’acqua c’è nel mare; quello che si fa all’inferno; e quello che vale la mia persona. 
Fu il mugnaio dell’abate a trovare le risposte: disse che “da qui al cielo vi sono 36854072 e mezzo e venticinque passi” e “25982 milioni di cogna più sette barili, dodici boccali e due bicchieri di acqua nel mare”, se il signore non ci credeva poteva verificare i calcoli e, se le cifre indicate fossero risultate errate, farlo impiccare; all’inferno poi “si taglia, arraffia, squarta e impicca né più né meno di come fate voi qui”; quanto all’ultima domanda, la più insidiosa, rispose che Barnabò valeva ventinove denari, uno in meno di quelli per cui fu venduto Cristo. 
Leggende a parte, la Casa dei cani sorgeva realmente qui; verso il Settecento le condizioni del palazzo erano talmente disastrose che si usava dire “è come la Cà di can” per indicare qualcosa ridotta allo stremo.


(http://conoscimilano.blogspot.it/2013/10/piazza-missori.html)

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