domenica 3 febbraio 2013

Arlecchino

Febbraio è il mese del Carnevale e già da qualche settimana i dolci tipici di questa ricorrenza hanno preso il posto di panettoni e pandoro sugli scaffali del supermercato.
Quando ero bambina non esistevano, almeno al mio paese,i  fantasiosi costumi di carnevale in vendita oggi anche per i più piccini; bisognava lavorare di fantasia, improvvisare , trasformare, adattare e anche questo faceva parte del divertimento. Una volta però mia madre trovò allo spaccio del grande cotonificio che dava lavoro a quasi tutti gli abitanti del paese - un antenato dei moderni outlet - uno scampolo di tessuto a losanghe colorate e fece confezionare per me dalla sarta il costume di Arlecchino, che è la maschera della nostra città, Bergamo.
Ricordando il piacere e il divertimento provato nell'indossare quel costume, vi racconterò qualcosa di questa simpatica mascherina.
 
 


Secondo alcuni Arlecchino è la più antica maschera di Carnevale perchè le sue origini sono assai remote, da ricercare nelle leggende medievali.
Il suo nome deriverebbe dal francese antico Hellequin, diavolo buffo delle leggende medievali appunto.
Nel XVI secolo divenne la maschera più popolare del Teatro dell'Arte italiano. Il suo famosissimo costume è composto da un abito fatto di tante losanghe colorate e da una maschera nera sul viso, cui si aggiunse nel tempo un cappello bianco, una borsa di cuoio legata alla cintura e una spatola di legno.
La maschera di Arlecchino nasce dalla contaminazione di due tradizioni : lo Zanni (versione veneta del nome Gianni), personaggio tra i più antichi della Commedia dell'Arte, e i personaggi farseschi della tradizione popolare francese.
Nativo di Bergamo, parla il dialetto bergamasco , che poi muterà in quello veneto, più dolce e aggraziato.
Arlecchino approda sui palcoscenici al tempo dei saltimbanchi, dei cerretani e simili che hanno percorso le piazze e le fiere italiane fin dal Medio Evo. Agli inizi personificava il servo lazzarone e truffaldino,che ne combina di tutti i colori.





 
Con il suo carattere stravagante e scapestrato, inventa imbrogli e burle a spese dei padroni avidi e taccagni dei quali è al servizio. A volte appare sciocco ma è ricco di fantasia ed immaginazione ed è senza dubbio la più simpatica e popolare tra le maschere italiane.

A Bergamo Arlecchino è molto amato, perchè, nonostante abbia mutato il suo dialetto, è pur sempre uno di noi, tanto che in Val Brembana c'è la sua casa.  





 


 
 



Si trova nel borgo medievale di Oneta a San Giovanni Bianco. Il borgo è costruito in solida pietra a vista, con portici, balconate e finestre archiacute, sull'antica "Via Mercatorum" lungo la quale transitavano e facevano tappa i mercanti che da Bergamo e dalla pianura risalivano le valli diretti verso i Grigioni e il nord Europa. La cosiddetta "Casa di Arlecchino" si affaccia sulla piazzetta centrale a cui si accede mediante una bella scaletta in pietra.
Nella seconda metà del cinquecento infatti un bergamasco, Alberto Ganassa di Oneta di San Giovanni Bianco, dopo i brillanti esordi presso le corti dei Gonzaga e degli Estensi, vestì i panni di Arlecchino nientemeno che davanti ai sovrani di Francia e di Spagna.
In questo edificio quattrocentesco si conservano tutti gli elementi distintivi di un passato splendore. All'interno rimangono tracce di affreschi che ingentilivano le pareti e che sono attualmente visibili presso la Canonica e la Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Bianco.    






L'edificio apparteneva ai Grataroli, una delle famiglie più potenti della valle, originaria di Oneta, che all'epoca vantava a Venezia ricchezze e fortune.
La maschera di Arlecchino vestiva i panni del servo balordo e opportunista, come erano nella realtà i valligiani brembani che nella città lagunare svolgevano lavori umili e faticosi.
Gli stessi Grataroli, una volta stabilitisi a Venezia, avevano al loro seguito servitori brembani a cui affidavano anche la cura dei loro beni di Oneta. E' dunque possibile che uno di questi servi, portato per l'arte comica, abbia buffonescamente rappresentato sulla scena il ruolo di sè stesso nella realtà quotidiana.
Il ruolo iniziale si arricchì di forme e contenuti, diventando il personaggio Arlecchino,la cui licenziosa e pungente comicità veniva apprezzata in quanto non oltraggiava l'orgoglio veneziano, ma prendeva di mira il tipico servitore bergamasco, costretto ad aguzzare l'ingegno per questioni di sopravvivenza.


 


E a proposito del suo costume variopinto, si racconta questa fiaba:
" Molti e molti anni fa, in una scuola di Bergamo, gli scolari stavano discutendo sulla mascherata alla quale avrebbero partecipato per festeggiare il Carnevale.
Solo Arlecchino, un bambino molto povero, non partecipava ai loro discorsi. La sua mamma non aveva i soldi per comprargli il costume per partecipare alla sfilata.
Un bambino buono si accorse della sua tristezza e disse ai compagni: "Portiamo tutti un pezzetto di stoffa del nostro costume, così la sua mamma gli cucirà un vestito di Carnevale".
La proposta fu accettata. I bambini portarono tanti pezzetti colorati di stoffa e la brava mamma di Arlecchino potè confezionargli il costume, che così variopinto piacque a tutti e fu il più ammirato."




 
 

   

 







 








 














 
  



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