lunedì 21 aprile 2014

Quando i romani andavano in America






La scoperta dell'America - al di là della lezioncina da scuola elementare sul genovese Cristoforo Colombo, le tre caravelle e il 12 ottobre 1492... - è uno dei più grandi e affascinanti enigmi della Storia. Ma davvero Colombo fu il primo? Ma davvero ci arrivò «per caso», o «per sbaglio»? Ma davvero Colombo non sapeva dove stava andando e dove era arrivato? Ma davvero era genovese? E davvero era «soltanto» un navigatore?
Negli ultimi anni, storici e divulgatori hanno formulato - tra le più "eretiche" e anti-accademiche - le seguenti ipotesi: Colombo raggiunse l'America già nel 1485 in una missione segreta finanziata da Innocenzo VIII e Lorenzo de' Medici usando misteriose carte geografiche in possesso della Santa Sede (è la tesi dello studioso Ruggero Marino, basata sulla leggendaria mappa dell'ammiraglio turco Piri Re'is e l'anacronistica epigrafe sulla tomba del Papa); Colombo vi arrivò nel 1477 (per Marcello Staglieno il navigatore toccò il Labrador e Santo Domingo quando era imbarcato su una galea portoghese diretta in Islanda); Colombo era un frate laico francescano (per il quale la Chiesa ha avviato segretamente una causa di santificazione); era figlio illegittimo di papa Cybo; era un israelita che cercava nelle Indie una patria per gli ebrei iberici minacciati di espulsione (è la tesi di Simon Wiesenthal, il «cacciatore di nazisti»); era legato ai Templari dei quali sfruttò le segrete conoscenze scientifiche e astronomiche; usò una mappa rubata dal fratello Bartolomeo in Portogallo dall'Archivio segreto del regno; una flotta cinese toccò le coste del Nuovo Mondo nel 1421 (è l'ipotesi dell'inglese Gavin Menzies, secondo il quale alcune carte nautiche cinesi nel 1428 sarebbero arrivate nelle mani di Colombo prima di salpare per le «Indie»); e infine Colombo non era genovese ma, nell'ordine: provenzale, corso, galiziano, portoghese, greco, tedesco, piemontese, spagnolo (la querelle non è stata risolta neppure dall'esame del Dna delle ossa).

http://www.ilgiornale.it/news/lamerica-altro-che-colombo-scoprirono-i-romani-ecco-prove.html

Quante tesi affascinanti.....

Oggi Giorgio mi ha chiesto di cercargli un libro su ebay: Quando i Romani andavano in America, di Elio Cadelo






 Titolo molto interessante! Così ho  cercato qui e là e la recensione più completa l'ho trovata su questo blog

http://cirodiscepolo.blogspot.it/2009/05/quando-i-romani-andavano-in-america.html.
 Eccola, con l'aggiunta di notizie reperite qui:  http://www.meteoweb.eu/2013/03/lamerica-in-realta-fu-scoperta-dagli-antichi-romani-ecco-le-prove/190675/
e qui:
http://www.palombieditoriblog.it/quando-i-romani-andavano-in-america-elio-cadelo/

 Il Nuovo Continente fu scoperto ufficialmente da Cristoforo Colombo nel 1492, ma non era la prima volta: antiche civiltà marinare, tra cui quella romana, erano già sbarcate nelle
Americhe lasciando numeros
e tracce come monete, statuette, tombe ed anche una nave.





Un indizio forte si deve alle nuove analisi del Dna dei farmaci fitoterapici rinvenuti in un relitto romano davanti alle coste toscane: il naufragio avvenne a causa di una tempesta fra il 140 e il 120 a.C., quando Roma era ormai la super-potenza del Mediterraneo dopo la distruzione di Cartagine. Su quella sfortunata nave viaggiava anche un medico, del quale il relitto ha restituito il corredo: fiale, bende, ferri chirurgici e scatolette chiuse contenenti pastiglie molto ben conservate, preziosissime per la conoscenza della farmacopea nell’antichita’ classica. Le nuove analisi dei frammenti di Dna dei vegetali contenuti in quelle pastiglie “hanno confermato l’uso, gia’ noto, di molte piante officinali, tranne due che  hanno destato forte perplessita’ fra gli studiosi: l’ibisco, che poteva solo provenire da India o Etiopia, e, soprattutto, i semi di girasole“. Ma il girasole, secondo le cognizioni fino a ora accettate, arrivò in Europa solo dopo la conquista spagnola delle Americhe: il primo a descriverlo fu Pizarro, raccontando che gli Inca lo veneravano come l’immagine della loro divinita’ solare.






 Un altro tassello che si aggiunge ai moltissimi altri che documentano antichissimi traffici commerciali insospettati è dato dal sorprendente rinvenimento di raffinati gioielli in vetro con foglie d’oro, provenienti da botteghe romane di eta’ imperiale: erano in una tomba principesca giapponese, non lontano da Kyoto. Si tratta di perline che i mercanti navali romani portavano spesso con sè, come oggetto di scambio. Ma non e’ necessario pensare che fossero proprio romani, i mercanti che le portarono fino in Giappone: quei gioielli potrebbero essere stati scambiati anche su altri approdi, prima di arrivare in Estremo Oriente. Peraltro, monete romane sono state restituite da scavi effettuati anche in Corea e perfino in Nuova Zelanda. 





I Romani furono grandi navigatori. Ad est commerciavano con l’India, la Cina e l’Indonesia:le loro esplorazioni raggiunsero e superarono la Nuova Zelanda; navigarono lungo le coste atlantiche dell’Europa fino alle Orcadi, l’Islanda ed oltre. In Africa sono state trovate tracce della presenza romana nello Zimbabwe e lungo le coste orientali. Questo è quanto ci dice la vulgata, ma in età imperiale i marinai romani raggiunsero anche l’America, che
i geografi del tempo ritenevano essere la “terza India”. Equivoco che rimarrà anche dopo la scoperta di Colombo.

I ritrovamenti archeologici e molti passi della letteratura latina parlano di nuove terre (o isole) ad ovest e provano che i Romani conoscevano bene cosa ci fosse al di là delle colonne d’Ercole. Un testimone attento del tempo, Plutarco, scrive che «a cinque giorni
di navigazione dalla Britannia, verso occidente, ci sono isole e dietro di loro un continente»;e Plinio nota «che tutto l’Occidente al di fuori delle colonne d’Ercole è ormai osservato ed esplorato».

Ma anche piante come il mais o l’ananas, la cui diffusione in Europa è fatta risalire alla scoperta dell’America, in realtà, come è ampiamente descritto nel volume, erano presenti nel Mediterraneo già in epoca romana.

mosaico


La presenza del mais nel Mediterraneo già in epoca romana secondo le descrizioni di Plinio nella Storia Naturale; un ananas raffigurata sia nella Casa dell’Efebo a Pompei, sul larario, come offerta in una scena sacrificale, sia nel mosaico di Grotte Celoni ora al Palazzo Massimo alle Terme di Roma. E ancora, numerose monete romane ritrovate specialmente in Venezuela e il DNA di semi di girasole contenuto in una fiala sigillata, ritrovata a bordo di una nave romana: sono solo una parte dei numerosi ritrovamenti e delle testimonianze a favore di questa tesi. Inoltre, con navi foderate di piombo, i Romani erano equipaggiati per affrontare un viaggio così impervio e disponevano di sofisticate attrezzature come pompe idrauliche o ruote dentate. Ma soprattutto potevano far affidamento sulle proprie capacità nautiche e le conoscenze geografiche, matematiche e astronomiche, illustrate e documentate con meticolosa precisione nel saggio.




Nel volume vengono esaminate anche diverse culture che con il mare ebbero un rapporto importante, come quella babilonese (che è all’origine del calendario e del concetto di latitudine e longitudine), quella indiana (che nell’antichità sviluppò eccezionali strutture
portuali ed estese i suoi commerci in tutto l’oceano Indiano) e quella polinesiana, che fece della navigazione la base della propria organizzazione sociale: tutte elaborarono in maniera molto simile la scienza della navigazione.

I Romani non furono i soli a giungere nel Nuovo Continente: la genetica ha fornito prove della presenza in America dei Polinesiani, l’archeologia e la letteratura della presenza cinese ed indiana almeno duemila anni fa.

Perché di tutto ciò non ci sono tracce prima di Cristoforo Colombo? Le rotte commerciali,spiega Elio Cadelo, erano segretissime e le mappe non venivano diffuse, avendo un enorme  valore economico per i loro proprietari che potevano così avere l’esclusiva per importazioni di prodotti provenienti da terre sconosciute. E poi, come scrive nella sua prefazione l’astrofisico Giovanni F. Bignami, c’è il paradosso di Cristoforo Colombo: «L’importante, per avere il merito di una grande scoperta, è essere l’ultimo a farla, non il primo»."
Interessante! Mi sa che quando arriverà, questo libro, me lo leggerò anche io, se non è troppo impegnativo.
Chissà quante sono le cose che riteniamo veritiere perchè le abbiamo imparate a scuola e invece non lo sono affatto?!
Si dice che la storia venga sempre scritta dai vincitori e che sarebbe bene conoscere anche la versione dei vinti....Com'è vero! Di assolutamente certo non c'è proprio nulla.

1 commento:

  1. Non so se l'avete citato ma dal punto di vista 'matematico' c'è anche il saggio "L'America dimenticata" di L.R.

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