Quando io ero una bambina non era ancora nata l'epoca del consumismo: le cose si tenevano con cura e si riparavano, quando si rompevano. Non si buttava via quasi nulla ed infatti non ci si immaginava nemmeno il bisogno di una raccolta differenziata. Personalmente non ho mai sentito parlare di "discarica" anche se, probabilmente, esistevano, ma erano gestite dal comune e i cittadini non le frequentavano, come adesso è d'obbligo.
Anche i giocattoli andavano curati con amore, forse perchè ce n'erano molti di meno e non subivano l'attacco delle mode televisive. Una bambola o un trenino potevano passare tranquillamente dal primo fratello all'ultimo e nessuno se ne stupiva.
Io ricordo benissimo, anche se non l'ho mai frequentato, che qui a Bergamo c'era L'Ospedale delle Bambole, un posto dove le "malate" o "incidentate" venivano rimesse a nuovo e riconsegnate alla trepida mammina. E non solo le bambole, ma tutti i giocattoli. Oggi quel posto non esiste più, ma ci sono città dove si trova ancora questo luogo di "riparazione", che, a volte, è diventato perfino un museo. Penso che, con la crisi galoppante che non accenna a finire, forse in un domani non troppo lontano, si smetterà di buttar via qualsiasi oggetto e si tornerà a farlo aggiustare. Serviranno ancora bravi artigiani, capaci di ridare vita a qualsiasi cosa. Non sarebbe poi così male...E mi pare che i bambini vengano invogliati su questa strada anche da un cartone presentato in tv :La dottoressa Peluche, che è una bimba con la passione di medicare i giocattoli.
Intanto qui:
http://www.altritaliani.net/spip.php?page=article&id_article=1000
ho trovato questa notizia:
Una curiosità di Napoli: L’Ospedale delle bambole inaugurato nel 1899.
di
Girovagando lungo il decumano inferiore dell’antica Partenope, s’intravede una targa sbiadita, bianco e rosso in ferro battuto con la scritta “Ospedale delle Bambole”.
Il “pronto soccorso”, aperto ad ogni ora del giorno, opera principalmente sulle bambole, ma sono “ricoverati” anche cavallucci a dondolo, pastori, giocattoli rigorosamente artigianali. Le bambole, spesso in porcellana decorate a mano con abiti e ombrellini di pizzo, abbandonate e trascurate per molto tempo, ritrovano nel laboratorio di Luigi Grasso il sorriso e la bellezza del tempo andato.
Nella struttura, un piccolo locale di Via San Biagio dei Librai, 81, inaugurato nel 1899, accorrono da ogni parte d’Italia nostalgici, possessori e collezionisti di antichi e moderni balocchi. L’idea fu del nonno di don Luigino, scenografo al San Carlo di Napoli che iniziò come passatempo a riparare bambole di cera o di pezza e, raramente di porcellana. Poi suo figlio Michele, scultore di statue e statuine da presepe ne fece un vero lavoro aprendo bottega nei pressi della Via dei Pastori. Continuatore dell’affascinante arte, l’attuale titolare con la collaborazione della figlia Tiziana e l’interesse degli ultimi tre nipotini.
Sparse un po’ ovunque sugli scaffali, nell’attesa di essere riparate, bambole d’epoca dall’espressione triste e qualche pezzo mancante. Pastori del Settecento e Ottocento, l’epoca d’oro del presepio napoletano, sono in mostra alla rinfusa, insieme a Madonne antiche di rara bellezza. Pupi siciliani alti settanta/ottanta centimetri. Alle pareti attestati di stima, copie di giornali ingialliti e guide straniere che parlano dell’attività dell’unico restauratore di pupattole.
Prima dell’avvento di Barbie, la bambola era privilegio di pochi, a volte trastullo di principesse e regine, costruite con gran maestria in Italia, Germania, Francia con il legno, poi con la cera, più tardi con la cartapesta e la porcellana. In Val Gardena coinvolgeva intere famiglie: chi si occupava dei corpi, chi degli arti, chi intagliava le teste e chi le decorava. All’inizio dell’Ottocento il legno fu soppiantato da altro materiale. Le teste avevano lineamenti e acconciature che obbedivano alla moda del momento. In altre erano inseriti occhi di vetro e piccoli denti di bambù. Con il biscuit si seguì il metodo messo a punto per la cartapesta. Anche in questo caso la pasta morbida della porcellana era pressata nelle due metà dello stampo, fatta essiccare, dipinta e cotta in appositi forni a temperature elevate.
Verso la fine dell’Ottocento, Parigi con le sue ditte più note – Gautier, Barrois, Jumeu, Bru, Steiner – decretò l’affermazione del “bebè” francese. Quei balocchi furono muniti di meccanismi per parlare, camminare, mangiare e bere.
Dai maestri artigiani si è passati agli industriali di oggi, ai “designers” attenti a produrre secondo concetti consumistici e concorrenziali, a scapito inevitabilmente della qualità. L’Italia è uno dei maggiori produttori di bambole. Basti ricordare la Lenci, la Furga e la Alma di Torino.
“Spesso riparo bambole per uomini e donne non più giovani, Non ha importanza il loro valore economico, ma soltanto quello affettivo”, dice Tiziana figlia di don Luigino conosciuto nel popolare quartiere San Lorenzo come il “medico delle bambole”. Non è solo vanità, quella dell’anziano maestro in camice bianco di annotare sulla ricevuta diagnosi e intervento da eseguire in dieci giorni s.c. ma rispetto verso il cliente.
Sogno di Tiziana, erede di quarta generazione, istituire anche a Napoli, il Museo dell’Ospedale della bambola. Esporre la ricca collezione di famiglia creando laboratori didattici e stages.
Rari esemplari di bambole settecentesche sono raccolte nelle sale della Rocca Borromeo ad Angera in provincia di Varese. Altrettanto a Canneto sull’Oglio, in provincia di Mantova. Da quelle di biscuit, cartapesta e legno, vinile, all’ultima arrivata Barbie (ormai cinquantenne); il tutto arricchito da un fantastico corredo di cavalli a dondolo, oggetti in miniatura, piccoli servizi di ceramica, automobiline, puzzle, foto d’epoca ma a Napoli, nel colorito quartiere dei Tribunali, l’ospedale delle bambole ha tutt’altro fascino.
Mario Carillo
Fonte delle foto : Anime napoletane sul sito di Alessandro Preziosi
Anche in Australia c'è da ormai più di cento anni un ospedale simile, perchè ci sono ancora dei bambini per cui proprio "quel" giocattolo deve continuare a vivere con loro e in caso di incidente non si lasciano consolare da quello nuovo, seppure molto più bello.
L’ospedale delle bambole a Sydney
(http://www.ilpost.it/2013/02/19/ospedale-delle-bambole-a-sydney/)
non so per le bambole...ma da ste parti tornano di moda i ciabattini. sono pochi e hanno 1sacco di lavoro:la gente butta meno scarpe e le fa aggiustare.
RispondiEliminaA Torino Balocco Arte ripara da sempre bambole, orsacchiotti e altro. Conosco il vecchio signore...dice che è preoccupato perchè non sa se dopo di lui qualcuno continuerà il lavoro.
RispondiEliminaoggi le vecchie bambole sono una passione di vecchi bambini e spero che ci siano altri restauratori perchè sarebbe un vero peccato che giochi così belli vadano persi.
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