BEATRIX POTTER
TERZA PARTE
Intermezzo
Nelly
Macchiolina
una grassa topina
della sua
vicina
Conosci la
vecchia signora
che visse
in una scarpina?
Ebbe tanti
figli maschi
ma voleva
una bambina
Ragù e
patatine
nella grossa
pignatta.
Infilali
nel forno:
la cena è bell’e fatta!
Cecily
Erbetta viveva in cantina,
faceva la
birra di sera e mattina.
Moltissimi
signori venivano ogni giorno,
finché
Cecily Erbetta non si levò di torno.
Ecco il nostro
orticello
con carote e verdura
che innaffiamo ogni giorno
con la
massima cura.
Un piccolo
orticello
che a noi
pare una serra,
lindo,
fiorito e bello
senza una foglia in terra.
Indovina
indovinello,
con quel
suo rosso cappello
e la candida vestina,
se non va
subito a nanna
diverrà ancor più piccina.
Riprendo così a parlarvi delle storie di
Beatrix Potter. Le rime che potete leggere nell’Intermezzo appartengono a due
raccolte di filastrocche; quelle filastrocche che Beatrix amava. Era cresciuta
con le Nursery Rhymes che le recitavano le sue governanti ed ebbe sempre in
mente di scriverne qualcuna e di illustrarla.
Le due raccolte vennero alla luce con molto
ritardo rispetto al momento in cui erano state concepite. Infatti, fin dal
1893, Beatrix aveva ritratto dei porcellini d’India presi in prestito dai
vicini e, sempre in quell’anno, aveva preparato alcuni disegni di una vecchia
donna che viveva in una scarpina.
Poi le idee vennero messe da parte anche in
seguito alla morte di Norman Warne. Finalmente le due piccole raccolte vennero
pubblicate, la prima nel 1917 col titolo Le filastrocche di Nelly Macchiolina(
Appley Dapply’s Nursery Rhymes) e la seconda nel 1922 col titolo Le
filastrocche di Cecily Parsley.
Una curiosità: la sedia su cui sta appollaiata
la maialina che pela le patate è identica a quella che avevamo trovato nella Storia di Bland il porcellino.
Evidentemente, la Potter si serviva sempre degli stessi mobili come modelli per
le sue illustrazioni!
Nei dintorni di Sawrey si stendevano folti
boschi che in autunno si tingevano di vivaci colori e che ospitavano colonie di
piccoli scoiattoli grigi dalla lunga coda. Proprio là in mezzo, Beatrix collocò
il protagonista della sua storia e lo chiamò Timmy Tiptoes.
Questi scoiattolini grigi non sono nativi
dell’Inghilterra, ma erano originari dell’America del Nord e Beatrix li adottò
per una storia in omaggio ai suoi piccoli lettori americani.
Timmy viveva tranquillamente con sua moglie
Goody in una tana di foglie intrecciate, sulla cima di un grande albero.
Le disavventure dei due scoiattolini
iniziarono con la raccolta annuale di nocciole. Lavoravano alacremente e
quando, giorno dopo giorno, tutte le cavità dei tronchi vicini al loro albero
furono piene, cominciarono a vuotare i sacchi in un buco in alto che un tempo
era stato un nido di picchio. Ne misero insieme tantissime mentre, pian piano,
l’estate trascolorava nell’autunno.
C’erano anche altri scoiattoli che
raccoglievano nocciole nel bosco; tra loro nacque una zuffa e chi ci andò di
mezzo fu Tommy che lavorava tranquillo per conto suo. Gli scoiattoli gli
saltarono addosso, lo graffiarono e lo spinsero proprio nel buco rotondo dove
lui aveva stipato le nocciole.
Timmy scivolò giù in fondo. Un minuscolo
scoiattolo di nome Chippy Hackee che si era rifugiato lì dentro per sfuggire
alle prediche di sua moglie fu molto gentile. Gli preparò un lettino di muschio
e schiacciò per lui molte nocciole.
Timmy ne mangiò tante, ma così tante che
cominciò ad ingrassare a dismisura. Cosicché, quando si sentì chiamare da Goody
che lo cercava disperata, cercò di uscire dal buchino, ma si accorse di essere
in trappola. Ci rimase per una quindicina di giorni, finché un forte vento
abbatté la cima dell’albero, la cavità si inondò di pioggia e Timmy poté
tornare a casa con l’ombrello, sottobraccio a sua moglie.
Anche Chippy dovette rassegnarsi a tornare a
casa dalla moglie per farsi curare un brutto raffreddore. Timmy e Goody, dal canto loro, pensarono bene
di assicurare il loro deposito di nocciole con un bel lucchetto.
Mi sono dilungata a riassumere il contenuto
della storia per rendere comprensibili le illustrazioni. Del resto, la stessa
Beatrix ebbe dei problemi a scrivere questa storia perché risultava sempre
troppo lunga. E’ anche l’unica (a parte
Il sarto di Gloucester) i cui personaggi hanno poco a che fare con Sawrey e i
suoi dintorni. Il piccolo scoiattolo Chippy e sua moglie sono due tamie
orientali che è difficile incontrare nella Regione dei Laghi. Gli stessi
scoiattoli grigi sono di origine americana. I boschi ritratti nella tarda
stagione estiva, quando le foglie cominciano a colorarsi di rosso e giallo,
sono invece particolarmente verosimili; abbiamo poi buone rappresentazioni
delle piante di nocciolo, delle radure naturali, delle nodosità e delle cavità
dei tronchi.
Altri scoiattoli, europei questa volta e con
una folta coda rossa, sono i protagonisti della Storia di Nutkin. Nel nord
dell’Inghilterra, nella regione del Cumberland, c’è un posticino dove, al
limitare del bosco, i prati digradano dolcemente verso le acque tranquille del
lago Derwentwater.
Qui una piccola comunità di scoiattoli è al lavoro.
Costruiscono minuscole zattere e sembra proprio che intendano servirsene per attraversare l’acqua e raggiungere
l’isola che affiora proprio in mezzo al lago.
Si tratta dell’isola di St. Herbert che qui
sotto vediamo in due schizzi della stessa Potter.
Beatrix dedicò questa storia, seconda in
ordine di pubblicazione (1903) dopo Peter Rabbit, alla piccola Norah Moore
figlia della sua ex governante e le scrisse di aver sentito una vecchia
signora sentenziare che “gli scoiattoli
attraversano il lago quando le noci sono mature; io mi chiedo però come
facciano a superare l’acqua. Forse costruiscono delle minuscole zattere!”. Ecco
come da un piccolo aneddoto può svilupparsi l’ispirazione per un racconto.
La seguente è
una fotografia del 1900 che ritrae le sorelle Moore; quella al centro è
Norah. Manca invece il fratellino Noel al quale Beatrix aveva dedicato la sua prima
storia, quella di Peter Rabbit.
La storia contiene delle bellissime vedute del
lago con l’isola che Beatrix ribattezzò Isola
del Gufo, immaginando che vi abitasse, in una quercia cava, un grosso gufo chiamato Vecchio Brown.
Appena sbarcati, gli scoiattoli erano soliti
omaggiare il gufo portandogli piccoli doni per propiziarselo come fosse stato
una divinità dei boschi. Ecco dunque tutti gli scoiattolini in fila chiedere il
permesso di raccogliere nocciole nell’isola. Tutti, tranne Nutkin che era
spaventosamente sfacciato e saltellava su e giù davanti al Vecchio Brown,
cantando canzoncine insolenti.
La cosa andò avanti per vari giorni coi
fratellini che portavano doni al gufo e Nutkin che lo provocava con un
atteggiamento sempre più impertinente e irrispettoso. Alla fine, il Vecchio
Brown si stufò; afferrò il temerario e se lo portò in casa con l’intenzione di
mangiarselo. Nutkin si divincolò tanto che riuscì a scappare, ma lasciò un
pezzetto della sua bella coda tra gli artigli del predatore.
Beatrix fece parecchi schizzi dal vivo durante
la preparazione del libretto. Usando la tecnica dell’acquerello, rappresentò
gli scoiattoli nei più svariati atteggiamenti per rendere quanto più possibile
credibili i suoi personaggi.
Si può notare che non era interessata a
dipingere gli scoiattoli allo stesso modo in cui era solita dipingere i
topolini. Questi ultimi sono disegnati in modo meticoloso, con la massima
attenzione ai particolari,. Nel caso degli scoiattoli, invece, il tratto è più
fluido come per sottolineare la loro agilità e la leggerezza dei loro
movimenti.
Per concludere, si può notare che questa è
l’unica storia in cui gli animaletti sono rappresentati privi di abiti sebbene
si dedichino ad attività simili a quelle umane.
Anche la Storia di Mrs. Tiggy Winkle ha come
sfondo le colline che circondano il lago Derwentwater. Durante una vacanza nel
1903, Beatrix aveva fatto molti schizzi della zona che poi le servirono per
illustrare tanto questa storia quanto la precedente. In poche altre storie la
Potter si servì così tanto di elementi reali e facilmente identificabili per
ambientare un racconto di pura fantasia.
La stessa signora Tiggy Winkle, lavandaia e
stiratrice, è uno degli animaletti di Beatrix, un porcospino domestico che si
adattò a fare da modella col suo buffo nasetto all’insù e gli occhietti
ammiccanti. La personalità della signora Tiggy Winkle fu invece suggerita alla
Potter da una vecchia lavandaia scozzese “una buffa e tonda vecchina, bruna
come una bacca, infagottata nelle sue sottane”.
Un porcospino è un soggetto insolito per una
favola per bambini, eppure questa piccola, grassoccia lavandaia ancora oggi è
uno dei personaggi più amati tra tutti quelli usciti dalla matita dei Beatrix
Potter. Osserviamola da vicino.
Non più alta di 30 centimetri, è una cosettina
bruna e curiosa, il nasetto a punta sembra sempre annusare l’aria: snif snif;
gli occhietti a spillo paiono luccicare: blink blink; indossa una sottoveste a
righe gialle e verdi sotto una sottana bianca a fiorellini, tutta rimboccata in
vita per lavorare meglio; sopra indossa un grembiule candido, mentre le corte
braccine sono infagottate in una camicia a riquadri bianca e rossa; in testa porta una vezzosa
cuffietta , ma qua e là, al posto dei capelli, spuntano gli aculei. Nonostante
sia più larga che alta, rivela un’insospettata agilità e leggerezza, come a
volte hanno le persone grasse.
Invece, la protagonista umana della storia non
è così ben riuscita, come ammette la stessa Beatrix. In effetti, la Potter non
era molto brava a disegnare la figura umana e, in particolare, i volti. Per
questa bambina si ispirò ad una delle due figliolette del vicario di Newland
amico dei Potter.
Veniamo alla storia. Una bambina di nome Lucie
ha perso i suoi fazzolettini e un grembiule e, per ritrovarli, si avventura
lungo un sentiero che si inerpica in alto, sulle colline.
Nell’illustrazione è riconoscibile la Newland
Valley che ancor oggi è un luogo poco popolato, se si eccettuano i cottages di
Little Town che si vedono in basso a destra nella figura.
Lucie, come una nuova Alice, si addentra in un
piccolo paese delle meraviglie, dove tutto può essere vero, come l’esatto
contrario.
Arrivata ad una fonte che sgorgava dal fianco
della collina, non poté proseguire perché il sentiero s’interrompeva ai piedi
di una grande roccia. “C’era però qualcos’altro: una porta proprio nella
roccia, e dentro qualcuno cantava”. Come Alice, Lucie spinse la porticina e… si
trovò nella cucina di Mrs. Tiggy Winkle.
Era una cucina tipica della Regione dei Laghi,
di quelle che Beatrix aveva potuto osservare molte volte nei dintorni di
Sawrey, col soffitto basso basso, la panca davanti al focolare, la credenza e
la piattaia. C’era un buon odore di bucato lavato e appena stirato, perché la
signora faceva di professione la lavandaia e inamidava e stirava la biancheria
per tutti gli abitanti della valle.
Mrs. Tiggy Winkle ha tutte le caratteristiche
di una brava donna di casa che conosce anche i doveri dell’ospitalità.
Ella stende in alto, sotto le travi del
soffitto, il bucato ad asciugare.
Inamida a puntino i colletti, i polsini e gli
sparati delle camicie, attizza un fuoco di torba nel camino dove sono posti i
ferri da stiro ad arroventarsi
Ed offre a Lucie una bella tazza di tè. Quello
del tè è un rito che le due consumano educatamente sedute sulla stessa panca
vicino al fuoco, mentre si sorridono studiandosi a vicenda.
Ma che sorpresa! Lucie ritrova il suo
grembiule e i suoi fazzolettini! Erano proprio lì, in quella misteriosa
casetta, lavati e stirati alla perfezione; la stiratrice aveva perfino ridato
il garbo alle gale del grembiulino.
Lucie accompagnò poi la lavandaia a consegnare
la biancheria pulita; al loro arrivo, gli animaletti facevano capolino dalle
felci e circondavano riconoscenti la signora Tiggy Winkle.
Quando furono in vista del villaggio, Lucie si
girò per augurare la buonanotte alla sua amica, ma…non c’era più! Al suo posto,
un porcospino correva a perdifiato su per la collina. Ancora una volta, la
Potter evoca Alice nel paese delle meraviglie, riportando alla memoria il Coniglio Bianco che correva trafelato per acchiappare
il Tempo..
A questo proposito, vorrei fare una digressione, per notare
come, tra i vari disegni che Beatrix eseguì per illustrare alcune fiabe
classiche, se ne trovino alcuni per Alice nel paese delle meraviglie.
Come questo che rappresenta la lucertolina
Bill mentre viene rianimata dai porcellini d’India giardinieri.
Uno dei personaggi preferiti dalla Potter era il Coniglio Bianco
che qui viene rappresentato sontuosamente abbigliato.
Lungo le rive del fiume Toy, nelle vicinanze
del quale i Potter trascorrevano parte delle loro lunghe vacanze scozzesi, è
ambientata la storia di Mr. Jeremy Fisher. Questo gentiluomo viveva in una
casetta umidiccia nascosta tra i ranuncoli.
Adorava andare a pesca nelle mattine
piovigginose, quando una deliziosa nebbiolina calava sulle acque dello stagno.
Quella era proprio la mattinata ideale!
Avrebbe poi potuto concludere degnamente la giornata invitando a cena i suoi
due amici Sir Isaac Newton la salamandra e Mr. Alderman Ptolemy la tartaruga
che però non gradiva il pesce e che si sarebbe portata l’insalata da casa.
Purtroppo la pesca andò molto male e per cena
si dovettero accontentare di cavalletta fritta che comunque per i rospi è una
leccornia, come osserva la Potter.
Al di là della piacevolezza del racconto (par
quasi di sentire lo “splash splash” delle zampette di Jeremy nell’acqua bassa)
si può ammirare in questa storia la bravura e la mano del naturalista con cui
Beatrix ha saputo rappresentare l’ambiente dello stagno, come le trote o le
piante acquatiche e ha usato addirittura gli abiti di cui ha rivestito i suoi
animaletti per rimarcarne le caratteristiche.
Sir Isaac Newton indossa un panciotto nero e
oro come la pelle delle salamandre, Mr. Ptolemy porta l’insalata in una borsa a
rete che ricorda il guscio delle tartarughe. Da parte sua, Jeremy Fisher
assomiglia a un damerino del Settecento
con le sue gambette sottili avvolte nelle culottes e il ventre prominente
stretto in un panciotto a fiori.
Per questa storia la Potter aveva fatto
diversi studi preparatori di rospi. Come questo, intitolato Tea party.
Torniamo ora verso il nostro ideale villaggio
che assomiglia tanto a quello di Sawrey, per occuparci della Storia di Ginger e
Pickles dove compaiono alcuni personaggi divenuti famigliari nei racconti
precedenti.
Ginger era un gatto dal pelo arancione e
Pickles era un terrier. Gestivano insieme un minuscolo emporio dove si poteva
trovare di tutto. La clientela era un po’ intimorita da quei due.
In particolare, i topi avevano un po’ paura di
Ginger; di solito li serviva Pickles per evitare che al socio venisse
l’acquolina in bocca. “Non sopporto – diceva Ginger – di vederli andar via uno
dietro l’altro con i loro pacchettini in mano.” Anche le bambole Lucinda e Jane
andavano spesso lì per fare acquisti.
Però, paura o non paura, tutti continuavano a
frequentare il negozio perché i gestori vendevano a credito illimitato, e facevano
un spietata concorrenza a Tabitha Twitchit (ve la ricordate?) padrona
dell’altro emporio del villaggio.
Purtroppo, l’abitudine di dar via la merce a
credito non faceva fiorire le finanze e i due, in mancanza di soldi, dovettero
mangiare quel che c’era nel negozio. Per di più, il primo gennaio Pickles non
riuscì a pagare la tassa sui cani: “Che situazione imbarazzante. Ho paura di
essere arrestato” ripeteva.
I due soci si ritirarono nel retrobottega e
cominciarono a fare i conti. “Ho l’impressione che Anna Maria (ve la
ricordate?) rubacchi. Dove sono i crackers?” chiese Pickles “ Li Hai mangiati
tu ieri” gli ricordò Ginger.
Per sopravvivere dovettero chiudere il negozio
e, tra gli abitanti del villaggio, qualcuno si fece avanti per gestirlo, come
la Signorina Ghiro che vendeva candele.
Dopo vari tentativi falliti, ora l’esercizio è
stato rilevato da Sally Henni Penny la chioccia, la quale si affanna a fare i
conti ed insiste perché la paghino in contanti.
Ci sono buone speranze che l’emporio rimanga
aperto e continui a fare concorrenza a Tabitha Twitchit che nel frattempo aveva
già approfittato per alzare i prezzi.
Questa storia rappresenta con ironia e
vivacità la vita di un piccolo villaggio di una volta, dove tutti si conoscono,
si incontrano, spettegolano, si fanno i fatti altrui, ma, in fondo, si vogliono
bene e si aiutano al bisogno.
Quando la storia venne pubblicata nel 1909,
divertì moltissimo gli abitanti di Sawrey che si riconobbero nei personaggi, oltre
al fatto che le illustrazioni contenevano alcuni scorci del villaggio
perfettamente riconoscibili all’epoca.
Tra il villaggio di Sawrey e la città di
Hawkshead si svolge invece la storia di Johnny topo di città pubblicata nel
1818. Per scrivere questa sua versione di Il topo di campagna e il topo di
città, la Potter afferma di essersi ispirata ad Esopo “nell’ombra”perche
cominciava a soffrire seriamente dei problemi alla vista che col tempo
l’avrebbero costretta a smettere di disegnare.
Johnny topo di città era nato in una credenza,
Timmy Willie topo di campagna era nato in un orto; Johnny era educato e
forbito, Timmy ingenuo e sognatore.
Beatrix preferiva vivere in campagna come
Timmy Willie che era arrivato per sbaglio in città in una cesta di ortaggi ed
era caduto sul tavolo apparecchiato nel bel mezzo di un pranzo di gala di topi
cittadini.
Come lui, Beatrixi si accontenta delle
piccole, immense gioie che può dare la natura; Timmy si sveglia all’alba e
s’addormenta al calare del sole, può scambiare due chiacchiere con l’amico
pettirosso, può annusare il profumo delle viole e dell’erba fresca.
E può godere di un goccio di latte ancora
tiepido, donato dalle mucche che “non sono pericolose. A meno che non ti si
stendano addosso”.
Johnny è un ricercato ed elegante topolino che
può godere di tutti i vantaggi offerti da una grande casa di città, ma che è
diventato nevrotico a causa della vita frenetica impostagli dalla necessità di
sfuggire ai continui attacchi del gatto di casa. Fa a Timmy Willie parecchie
domande sull’orto per concludere:”Mi sembra un posto noioso. Cosa fai quando
piove?”
Per il personaggio di Johnny, la Potter si
ispirò al Dottor Parson che portava, come il topolino, la sua lunga sacca di
mazze per giocare a golf col marito di Beatrix, Willie Heelis.
Da notare che il carretto del barrocciaio che
tutte le settimane portava la verdura in città, è tirato da Old Diamond il
cavallo di Hill Top. Beatrix gli era
molto affezionata e continuò ad utilizzarlo fino agli anni Trenta assieme al
calessino, per i suoi piccoli
spostamenti.
Ho lasciato per ultima la Storia del sarto di
Gloucester benché, in ordine di pubblicazione (1903), sia soltanto la terza.
Era la preferita di Beatrix ed è splendida sia per i contenuti, che per le
illustrazioni, che per l’atmosfera natalizia e magica che vi si respira.
Questa è l’unica storia non ambientata a Sawrey
o ispirata alla Regione dei Laghi, ma è piuttosto il frutto dell’influenza
esercitata sulla Potter dai fairy tales, le fiabe di magia, che l’autrice aveva
sentito raccontare tante volte da bambina.
Beatrix mandò la fiaba a Freeda Moore
(un’altra dei bambini Moore! E’ la più alta, a sinistra nella foto) per il
Natale 1901 scrivendo nella dedica “ siccome vai matta per le fiabe e sei stata
malata”.
La Potter si ispirò ad una storia raccontata
nei dintorni di Gloucester dove un sarto, che alla sera aveva lasciato
incompiuto il panciotto che stava cucendo per il sindaco, trovò al mattino il
lavoro terminato, a parte un’asola per la quale “non c’era più filo”.
Nell’originale a finire il lavoro sono gli aiutanti del sarto, ma la Potter
immaginò che a compierlo fosse uno stuolo di topolini riconoscenti che, in
questo caso, assumono il ruolo di buone fate.
Inoltre, ambientando la sua versione nella
magica notte di Natale, quando gli animali possono parlare e a volte si verificano
fatti miracolosi, la Potter riesce a creare un’atmosfera unica, sospesa tra la
realtà e il mito.
Nella città deserta e coperta di neve, il buio
della notte è rotto da un debole chiarore proveniente dalla casupola del sarto
che deve terminare la bella giacca ricamata per il matrimonio del sindaco.
Ma chi lavora cantando, in mezzo a un gran
tagliare di forbici ed un fruscio di fili, visto che il povero sarto è a letto
febbricitante?
Bisogna fare un passetto indietro. Il gatto di
casa era riuscito a catturare alcuni topolini e li aveva nascosti sotto le
tazze della credenza per papparseli in pace, lontano dagli occhi del padrone.
Ma questi, tornato a casa e sentendosi la febbre, aveva mandato il gatto a
comprare pane, latte e salsicce per cena,
oltre a una matassina di filo rosso ciliegia per la giacca del sindaco.
Durante l’assenza del gatto, il sarto sentì
dei rumorini provenire dalla credenza; capovolse le tazze e spuntarono dei
graziosissimi topolini abbigliati secondo la moda del XVIII secolo. Ecco due
varianti della medesima immagine:
Nella seconda, la topolina sembra essersi
appena girata per guardare l’osservatore fuori dal nostro campo visivo. A mio
parere, si tratta di disegni molto belli; l’inquadratura della scena è
insolita, il tratto è particolarmente sciolto e i colori soffusi sono quelli
che ci aspetteremmo di cogliere la sera della Vigilia in un tinello illuminato
da sole candele.
Dopo essersi inchinati educatamente, i
topolini si dileguarono dietro i pannelli della parete. Al suo ritorno il gatto
si infuriò: “Dove sono i miei topi?” avrebbe voluto gridare. Per vendicarsi del
sarto che ormai vaneggiava per la febbre, gli nascose la matassina di filo e se
ne uscì nella notte a vagabondare con le anime perse.
Allora i topolini tornarono ad affacciarsi e
si accorsero che il sarto non sarebbe stato in grado di finire il lavoro. Erano
anche “molto interessati alla stoffa
della magnifica giacca e facevano commenti sulla fodera di taffettà”.
Si misero all’opera cantando e picchiettando
coi ditali per segnare il tempo. Quando il gatto fece ritorno a casa li guardo
lavorare dalle fessure della finestra, poi andò a riprendere la matassina. Si
vergognava della sua cattiveria di fronte alla generosità dei topi.
Al mattino, il sarto si alzò dal letto
ristabilito; per prima cosa vide il filo color ciliegia sul letto e, lì vicino,
il gatto tutto contrito. Con grande gioia trovò poi sul tavolo la giacca
meravigliosamente ricamata, con punti così precisi e piccolini che li avresti
detti opera di un topolino! Mancava solo un’asola color ciliegia, ma c’era
appuntato un bigliettino dove stava scritto con una calligrafia minutissima:
“Non ho più filo”.
Gran parte dell’incanto di questa storia è
dovuto ai topolini di casa, resi ancor più graziosi dagli abiti settecenteschi
con cui sono abbigliati. Basti osservare questa compunta damina vestita come
per una soiree a teatro. Una cuffia con una grande coccarda le adorna la
testolina, mentre un’elegante sopravveste ornata di trine ricopre l’abito
ricamato a fiorellini.
Così finisce “la storia delle storie” di
Beatrix Potter. Ho fatto del mio meglio per trasmettervi il mio entusiasmo e
per invogliarvi ad andarvele a leggere nell’originale o, almeno, nella
traduzione italiana. Ma non spero di esserci riuscita!
Posso però assicurarvi che questi racconti e
questi disegni sono capaci di dischiuderci le porte di un mondo vastissimo e
sorprendente dove realtà e fantasia, tradizione e innovazione vanno a braccetto
per renderci la vita un po’ più leggera.
Devo segnalare che, per scrivere di Beatrix
Potter, mi sono servita dei seguenti libri dai quali ho tratto anche le
illustrazioni e le fotografie:
Il mondo di Beatrix
Potter, Sperling & Kupfer, 2003
The art of Beatrix Potter,
F.Warne & Co. , 1955
Beatrix Potter
1866-1943, F. Warne &Co., 1987
E
noi, io e Mianna, cosa possiamo dire se non che Lilia ha fatto un
lavoro splendido, che fa onore al nostro blog? Non è la prima volta che
la nostra amica ci prepara articoli stupendi su illustratrici che noi
conosciamo poco, ma stavolta ha davvero superato se stessa! Secondo me i suoi articoli andrebbero raccolti in un libro! Grazie Lilia, leggerti è davvero piacevole.
Grazie a voi. Siete molto buone!
RispondiEliminaLilia
E io adesso so da dove Disney ha preso l'idea per i topolini di Cenerentola! Stupendi anche loro....
RispondiEliminaCome tutti sappiamo, Dindi è una bravissima ricamatrice a punto croce. Mi è venuto in mente soltanto ora, ma potrebbe essere stata lei a terminare i ricami della giacca per il matrimonio del sindaco, al posto dei topolini! Si potrebbe sempre cambiare il finale della fiaba!
RispondiEliminaLilia