Nelle mie fantasie di bambina Timbuktu era un posto imprecisato e misterioso ai confini del mondo, ma da quanto leggo oggi, pare che per molti fin da un lontano passato, questa città sia stata immaginata come una sorta di Eldorado , nascosto da qualche parte a sud del Sahara.
Fondata già prima del XII secolo, si trasformò rapidamente da presidio stagionale per la vendita del sale in uno dei più grandi punti nevralgici per il commercio carovaniero. Chi veniva dall'ovest portava oro da scambiare con il sale proveniente dalle miniere a est. Così, con il tempo ,da stagionale il mercato diventò una postazione fissa e intorno ad esso sorse una vera e propria città.
All'inizio del XIV secolo Timbuktu apparteneva all'Impero del Mali ed era conosciuta in tutto il continente africano.
In questo periodo incominciò a diffondersi anche in Europa il mito di questa città e delle sue favolose ricchezze. Si racconta che
nel 1320 il sultano del Mali, Mansa Moussa, fosse andato in pellegrinaggio alla Mecca con 60.000 schiavi e servitori e con un tale carico d'oro che ,durante la sua sosta al Cairo, il prezzo del metallo prezioso precipitò improvvisamente.
Si diceva che tutto l'oro provenisse da Timbuktu e quando 30 anni dopo l'esploratore arabo, Ibn Battuta, visitò la città, i racconti della sua stupefacente vitalità infiammarono la fantasia degli europei, che la immaginarono come un luogo lastricato d'oro.
Ma la vera stagione d'oro di Timbuktu avvenne nel XV secolo e non furono i lingotti di metallo prezioso a caratterizzarla, furono i libri.
In quasi 200 scuole coraniche, centinaia di studiosi si raccolsero per trascrivere il loro sapere in una quantità straordinaria di manoscritti e tutti gli stranieri che arrivavano in città erano invitati a condividere le conoscenze acquisite e a diffonderle.
Timbuktu divenne uno dei più grandi centri culturali del mondo allora conosciuto, dove si impartivano nozioni non solo di contenuto religioso, ma anche di matematica, scienza, astrologia.
Molti studiosi possedevano biblioteche personali con centinaia o migliaia di libri ed insegnavano all'interno delle moschee, ma molti di essi intrattenevano gli studenti nelle loro case e godevano di grande prestigio.
Purtroppo quando le truppe marocchine presero possesso della città nel 1591, Timbuktu iniziò un progressivo e inarrestabile processo di decadenza. Molti esploratori europei, sulla spinta del mito costruito su storie fantastiche, si avventurarono alla ricerca di Timbuktu : quelli che provenivano dalla costa occidentale spesso morivano a causa della malaria o di altre malattie tropicali, e quelli che attraversavano il deserto finivano per morire di fame e di sete o vittime delle scorribande delle tribù nomadi.
I pochi che riuscirono ad arrivare indenni alla meta, furono delusi nel trovare solo sabbia e cammelli in una città ormai spenta.
A testimonianza del periodo d'oro di Timbuktu restano la prestigiosa Università coranica di Sankoré e tre grandi moschee.
Quasi tutti gli edifici sono stati costruiti con il fango, materiale solido e garantito dalla scarsissima presenza di piogge; tuttavia i principali monumenti sono minacciati dal problema della desertificazione.
L'occupazione della città da parte degli estremisti islamici ha rappresentato e rappresenta un ulteriore pericolo per la storia e la cultura di questa città. Grazie però alla strenua volontà di difendere un preziosissimo patrimonio artistico e culturale custodito per secoli , è stato possibile trasferire e mettere in salvo la maggior parte degli antichi manoscritti di proprietà di numerose famiglie locali.
Dal 1988 Timbuktu è entrata nell'elenco dei siti Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO ed è stata proposta come candidata al concorso delle sette meraviglie moderne.
Molti sostengono che questo angolo di mondo meriti di essere visitato prima di morire, perché qui si ritrova l'Africa delle origini
dove la vita è rimasta quella di sempre : l'acqua attinta ai pozzi - quando c'è - il miglio pestato col mortaio e il pane cotto nel forno.
Il Mali è un paese in cui più di venti etnie diverse hanno saputo conservare il proprio idioma, i propri costumi e soprattutto l'arcaica nobiltà che non può essere cancellata né dall'attuale miseria né dall'instabilità politica.
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