giovedì 27 agosto 2015

La bambinaia francese

Sono di moda i sequel ed in particolare, in questo periodo, quelli dei grandi romanzi inglesi dell'ottocento, come ci ha raccontato Mianna qualche giorno fa parlando de "La figlia di Jane Eyre".
Io, normalmente non amo questo genere di libri, come mi pare di avervi già raccontato parlando dei sequel di "Via col vento". Quando un capolavoro è stato scritto, secondo me,  è compiuto in se stesso e non deve diventare un racconto a puntate sempre più scadenti. E'perfetto e non deve diventare un beautiful!
Questo discorso, però, mi ha fatto tornare alla mente un romanzo che ho letto ed apprezzato qualche anno fa: La bambinaia francese, di Bianca Pitzorno.




Ne parlo volentieri perchè già da un po' volevo fare un post su questa scrittrice, archeologa e autrice di programmi televisivi  che io apprezzo moltissimo. E per parlarvene in maniera corretta, vi riporto qui quanto scritto su http://janeyrefan.forumfree.it/?t=27367950
forum su cui  vi consiglio di andare a leggere l'articolo integrale di cui copio qui una parte, anche per leggere le critiche negative di chi non accetta un Rochester cattivo. E per leggere un'intervista all'autrice che racconta come mai ha scritto questo libro. 


TRAMA:

La storia si svolge a Parigi, siamo nel 1832. In una sera d'inverno Sophie, che ha nove anni, bussa alla porta della étoile dell'Opéra Céline Varens per consegnarle alcune camicie confezionate dalla madre nella poverissima soffitta di Montmartre. E' l'inizio di una grande amicizia tra la ballerina e l'orfana, che col passare degli anni diventa l'allieva prediletta di un vecchio aristocratico illuminista sopravvissuto alla Rivoluzione Francese e alla delusione dell'Impero e della Restaurazione. Alla scuola di colui che si fa chiamare Cittadino Marchese Sophie incontra i coetanei piú stravaganti, ma il suo prediletto è l'haitiano Toussaint, un piccolo schiavo nero regalato a Céline dal suo innamorato inglese Rochester. Insieme, Toussaint e Sophie crescono e imparano l'importanza dell'istruzione, del sapere leggere e scrivere ma anche il rispetto per gli altri siano essi bianchi o neri. Insieme affrontano, infine, ogni sorta di pericolose avventure prima in Francia e poi in Inghilterra, per salvare la loro protettrice dai suoi persecutori e la piccola Adèle, la figlia, dagli inquietanti misteri di una dimora inglese.

Per saperne un po' di più (una recensione):

Rilettura in chiave femminista e giacobina di «Jane Eyre» di Charlotte Brontë attraverso i suoi personaggi femminili secondari. Nuotando controcorrente tra fantasy e crossover, puntando sul realismo e la complessità.
Bianca Pitzorno è certamente la più popolare tra gli autori italiani per bambini e ragazzi, una scrittrice che tutti, anche gli adulti più distratti o i più tenaci spregiatori della letteratura infantile, hanno sentito nominare almeno una volta, se non per aver letto di lei e dei suoi libri (quasi tutti tradotti all'estero e superiori per vendite e tiratura a molti best-sellers per adulti), almeno per essersi imbattuti in qualche sua adorante lettrice con il naso sprofondato in Ascolta il mio cuore o Polissena del Porcello. E la parola lettrice va sottolineata, perché, se è vero che i suoi romanzi non sono disdegnati dai maschi (notoriamente meno affezionati alla lettura e senz'altro restii, fino a un certa età, ad affrontare libri con protagoniste femmine ) non si può negare che a leggerli, amarli e a volte portarseli dietro sino all'età adulta siano soprattutto le bambine e le ragazze. I libri di Pitzorno, che si rivolgano ai più piccoli come La storia di Lavinia, Clorofilla dal cielo blu o il recentissimo Giulia Bau, o che parlino ai pre-adolescenti come Diana, Cupido e il Commendatore e Tornatras, sono infatti tutti connotati da una fortissima presenza femminile, sotto il segno di quello che si potrebbe definire un «eroinismo» moderno ma direttamente discendente da quello di certe scrittrici del `700 e dell'800, quale l'ha delineato e analizzato negli anni `60 la studiosa americana Ellen Moers in un libro dimenticato e bellissimo, Literary Women (Grandi scrittrici, grandi letterate, Ed. di Comunità, `79).
E' proprio all'insegna di un eroinismo trionfante che sembra nascere La bambinaia francese: un romanzo affollato di donne, ragazze, adolescenti, bambine appartenenti a classi sociali diverse, ma tutte, siano marchese o attrici, ballerine o governanti, pronte a sfidare il mondo e ad affrontare prove di ogni genere pur di essere e restare sé stesse, rivendicando con consapevolezza i propri diritti, puntando dritte all'emancipazione (per sé come per gli altri) ma pretendendo anche il riconoscimento della propria differenza.
La storia di Sophie, figlia di un tipografo rivoluzionario e di una cucitrice che hanno fatto l'impossibile per garantirle un'istruzione, è quella di un'intrepida orfana che, peregrinando tra Francia e Inghilterra fra il 1830 e il 1840, intreccia strettamente il proprio destino a quelli di altre donne: Céline Varens, ballerina ingannata e resa madre da un misterioso inglese e poi perseguitata da avidi nobilotti che la rinchiudono nell'infame Salpétriere; la piccola Adéle, sua figlia, portata in Inghilterra da un padre vendicativo; Olympe, femminista in abiti da ragazzo; la Marchesa di Merlin, nobildonna cubana realmente esistita; e poi un'istitutrice inglese sempre vestita di grigio, la piccola e tagliente Jane Eyre...
Ed eccolo qui il nome che ci consegna la chiave destinata ad aprire una delle tante serrature a sorpresa del testo, ecco dove abbiamo già incontrato Sophie e la sua protetta Adéle, la misteriosa Bertha imprigionata in una stanza, la fragile Céline e i fedeli servitori di Thornfield Hall: dopo qualche capitolo il libro si rivela come una personalissima rilettura del romanzo di Charlotte Brontë, i cui personaggi femminili secondari (la bambinaia, la bambina, l'amante francese, la moglie pazza), quelli trattati con maggior disprezzo in Jane Eyre, vengono alla ribalta per raccontare la propria storia da un punto di vista diverso, femminista e «giacobino», facendo fare una pessima figura al tenebroso e bugiardissimo Rochester e all'istitutrice persa in un «amore da serva» cieco davanti a qualunque difetto del suo eroe.
Il tutto fra echi di Victor Hugo e Dickens, Balzac e Jane Austen, in un gioco di rimandi fittissimo che costeggia il pastiche senza caderci mai dentro, usando espedienti narrativi tipici del feuilleton e dell'appendice, ma anche sperimentando l'accostamento di materiali e tecniche diversi. Il risultato è una sorta di tempestoso metaromanzo che, dopo una prima lettura fatta d'un fiato, sull'onda di una trama incalzante e costruita con una sapiente mescolanza di ingredienti nobili e «popolari», si torna a rileggere per scoprire le mille allusioni e citazioni, i molti giochi di specchi, le piccole trappole sparse qui e là che invitano a rispolverare competenze da lettore ostinato.
Alla fine, però, dopo essersi persi e ritrovati nel labirinto della storia, dopo aver percorso le vie di un romanzo ottocentesco disintegrato e ricomposto in forma nuova e dopo aver assistito a una sorta di Ballo Excelsior per nulla trionfale, che riepiloga miserie e conquiste del cosiddetto «secolo del progresso», arrivati all'ultima pagina di La bambinaia francese si ha come l'impressione che Bianca Pitzorno ci stia invitando a guardarci i piedi, sempre più avvolti da una nebbiolina mefitica che quasi ci impedisce di vederli. Già, dove poggiano i nostri piedi, in quale terreno affondano le nostre radici? La risposta di Pitzorno è inequivocabile: nel terreno dell'illuminismo e della rivoluzione francese, della tolleranza e laicismo, delle conquiste sociali e dei diritti civili, tutte cose che mai come oggi è proibito dare per scontate o per definitivamente acquisite.
Alla luce di tutto questo viene da chiedersi fino a che punto un romanzo così colto e complesso sia da considerarsi per ragazzi o per adulti piuttosto accorti, oltre che capaci di divertirsi e di accettare il guanto di sfida «da lettore a lettore» che l'autrice sembra voler gettare, mettendo nel piatto i libri e le passioni di una vita. E in realtà La bambinaia francese non è un libro per ragazzi, almeno nel senso che si dà comunemente al termine, ma non è solo un libro per adulti e neppure uno di quei crossover prefabbricati che oggi cercano di intrattenere (tragicamente al ribasso) un pubblico di età diverse. E' un libro controcorrente, che opta per la complessità e il realismo in tempi in cui ai giovanissimi si propongono innanzitutto i giocattoloni di plastica di una fantasy da «medioevo secondo Disney», che osa privilegiare la letteratura e non esita a sventolare la bandiera del lettore competente, e che rivendica il diritto di sfuggire al luogo comune della fascia d'età senza cavalcare l'onda dell'intrattenimento «per tutti».
In quanto tale piacerà probabilmente a molti lettori adulti e molti lettori ragazzi, così come un tempo piacevano a un pubblico di età, cultura e classi sociali diverse libri come quelli di Dickens o di Dumas. E se poi qualcuno avrà l'idea di leggerlo a voce alta alla famiglia riunita, un capitolo a sera davanti al focolare spento dello schermo tv, non sarà affatto una cattiva idea.

2 commenti:

  1. Ciaooo, questo non l'ho letto .... ma provvederò !!
    Grazie

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  2. Questo articolo mi era sfuggito e mi piace parecchio. Dev'essere un libro interessante!

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