Fabrizio de André se ne è andato ormai da quindici anni ma il tempo è un elemento secondario per quelli che, come me, lo hanno amato.
Oggi posso riascoltare La buona novella con le stesse emozioni di quando l'ascoltavo quarant'anni fa nel 33 giri con qualche fruscio di troppo.
Per me non è mai stato solo un bravo cantautore come altri che ho ascoltato e ascolto ancora molto volentieri; lui era un cantastorie, un cantastorie poeta. Raramente nelle sue canzoni parla di sè, delle sue storie personali o dei suoi sentimenti, ma preferisce raccontare le storie di un'umanità a volte buffa, a volte tragica, a volte tenera e altre malandrina.
Nei giorni scorsi mi è capitato tra le mani un vecchio CD - c'è ancora l'etichetta sulla copertina con scritto £ 15.000 - intitolato Tutti morimmo a stento,con alcune canzoni alternate a intermezzi , un recitativo e una corale a conclusione, che ho ascoltato mille volte. Nella custodia ho trovato un pieghevole con la presentazione dell'opera, che mi pare colga l'essenza del messaggio di De André.
Ne riporto di seguito alcuni passaggi:
"Nel primo dopoguerra sorse a Genova , nel quartiere della Foce,una singolare istituzione.Alcuni ragazzi del rione decisero di creare un'opera assistenziale a favore dei gatti randagi. Li raccoglievano per le strade e li ricoveravano, volenti o nolenti, fra le macerie di una casa bombardata. Mettendo a saccheggio le dispense materne, rifornivano i loro ospiti di ogni ben di Dio, e ben presto,fra le macerie dell'improvvisato asilo,sorse la più florida comunità di gatti che sia mai esistita.
Capo dell'istituzione era Fabrizio,che a quell'epoca ottenne presso i gatti genovesi la stessa incondizionata ammirazione che oggi gli viene tributata dai patiti delle sue canzoni.
L'accostamento è legittimo, anche perchè enucleando un aspetto della personalità di Fabrizio uomo, chiarisce molte cose sul Fabrizio poeta. I gatti randagi di ieri cantano ancora nelle sue canzoni, popolate di creature sconfitte, lasciate ai margini della società ed alle quali egli vuol riconoscere, anche polemicamente, come agli animali affamati della sua infanzia, quella dignità umana negata loro dalla gente per bene.[.......]
C'è bisogno di tanta pietà, per i gatti randagi come per gli uomini, vuol dirci Fabrizio. E per dircelo ha raccolto tutte le folgorazioni, le angosce , i tremori delle sue canzoni precedenti, per scrivere questa cantata che è anche - e soprattutto- una galleria di personaggi, un vasto mosaico sulla solitudine e sull'infelicità dell'uomo.[....]
Fabrizio vuol dirci che non c'è speranza nell'uomo, se non nell'amore che uccide l'odio,nella carità che uccide cupidigie, rancori e ingiustizie. Abbiano pietà coloro che stanno in alto, che hanno gloria, potenza e ricchezza. Abbiano pietà di chi conosce il dolore e di chi conosce l'errore,affinchè per tutti - se lo vorranno - si apra la strada del riscatto. I potenti rammentino che la felicità non nasce dalla ricchezza, nè dal potere, ma dal piacere di donare. E che la morte è rimorso per chi non ha saputo aprirsi in vita alla compassione.Per chi non ha saputo amare i gatti randagi"
Da parte mia invito tutti quanti ad ascoltare o riascoltare con attenzione questo lavoro perchè la musica è complemento essenziale alle parole.
La sintesi del messaggio è contenuta nel coro finale che racconta La leggenda del Re infelice :
C'era un re
che aveva
due castelli
uno d'argento e uno d'oro
ma per lui
non il cuore
di un amico
mai un amore nè felicità.
Un castello
lo donò
e cento e cento amici trovò
l'altro poi
gli portò
mille amori
ma non trovò
la felicità.
Non cercare la felicità
in tutti quelli a cui tu
hai donato
per avere un compenso
ma solo in te
nel tuo cuore
se tu avrai donato
solo per pietà.
Indimenticabile Fabrizio che ha accompagnato la mia adolescenza e la mia giovinezza con le sue "poesie". Non sembra davvero che non ci sia più da tanti anni. Forse è perchè gli artisti non muoiono mai.
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