Comunque ultimamente sono stata abbastanza fortunata: degli ultimi quattro acquistati, solo uno l'ho piantato lì dopo qualche capitolo e l'ho portato alla Feltrinelli in cambio di un buono di 5 euro.
Era "Cose che nessuno sa" di Alessandro D'Avenia, lo scrittore famoso per "Bianca come il latte, rossa come il sangue" da cui è stato tratto anche un film e che è esploso nelle classifiche. Io sono fuori dal coro: non mi piace questo modo di scrivere, lo trovo troppo verboso, descrittivo, lento. Preferisco quelle storie lievi in cui i sentimenti piuttosto che essere descritti, sono raccontati dalle azioni, dai fatti che si svolgono. Mi piacciono quei libri leggeri che ti lasciano qualcosa, alla fine, senza parere di "insegnare". Naturalmente è la mia ignoranza che non mi fa apprezzare quello che critici illustri trovano bello, ma non posso farci niente : così sono e così rimango.
Un po' meglio è andata con "I baci non sono mai troppi"
Il libro racconta la storia di un'amicizia nata sui banchi delle elementari, passata attraverso un litigio dirompente e rinata dopo un incontro casuale.
Questo è un libro abbastanza piacevole, ma che non rileggerò mai, che non ricomprerei, e che ho letto fino alla fine perchè volevo vedere come si concludeva. Forse in questo caso, il libro è troppo "lieve": oltre la curiosità di sapere com'è la fine lascia molto poco. Forse niente.
Mi è piaciuto molto di più "Ti volevo dire", romanzo d'esordio di un giornalista della Gazzetta.
E' la storia di una ragazzina che alla morte del padre cinquantenne , per lo shock, viene colpita da mutismo selettivo. Ed è la storia di questo padre che, da giovane, aveva vissuto un grande amore, e la ragazza scopre leggendo le sue agende dell'epoca.
Il racconto del padre e quello della figlia si alternano fino ad intersecarsi, interessando il lettore sempre di più..
Questo libro, alla fine, ci dice che è importante parlare, comunicare, perchè il "non detto" può provocare danni ingenti.
Dice l'autore:"Tra padre e figli, tra genitori e figli in genere, spesso si parla troppo poco. Da parte di un figlio, spesso non si riesce a dire a un padre quello che gli si vorrebbe confidare. Dall’altro lato, spesso un genitore non vuole ascoltare quello che il figlio ha da dirgli: anche se il più delle volte le sa già, non vuole sentirsi dire apertamente certe cose. L’ideale invece sarebbe poter parlare di tutto: le esperienze più difficili che un ragazzo vive sarebbero quelle più importanti da comunicare, e invece spesso, per pudore, per vergogna, o per un perbenismo un po’ sciocco e controproducente, si preferisce tacere."
Come non concordare? Questo argomento, ultimamente, traspare da molti dei libri che ho letto: evidentemente è un tema molto sentito.
Uscendo un po' dal tema del libro e parlando dell'amore per la lettura che va risvegliato nei giovani, vorrei riportare un'altra frase di Bresciani con cui concordo pienamente:
"c’è un libro per ognuno di noi che ci aspetta in libreria, l’importante è trovarlo. Anche gli insegnanti delle scuole dovrebbero rifletterci: in prima media non si può dare da leggere “Il cavaliere inesistente” di Calvino, perché il ragazzo non ha gli strumenti per capirlo. Meglio cominciare da libri più semplici, per “aprire il rubinetto”, per invogliare alla lettura."
Anche io penso che la scuola allontani dai libri, invece di avvicinare. Un ragazzino del liceo non può apprezzare Senilità o Storia di una capinera. Si annoierà a morte e non avrà più voglia di leggere. Sarà questa, una battaglia perduta? Continueremo ad annoiare i nostri ragazzi, a scuola, invece di svegliarli ed aprirli al mondo dei libri?
L'ultimo racconto, che ho finito ieri sera, e che mi è piaciuto moltissimo, è Amore e altri casi di emergenza
Da: http://www.qlibri.it/narrativa-straniera/romanzi/amore-e-altri-casi-di-emergenza/ :
La frase che può riassumere il “succo” del romanzo potrebbe essere: Un incidente stradale, muore una donna, una donna vive, e le vite di due famiglie non saranno mai più le stesse.
La storia è scritta a due voci, partendo da due punti di vista completamente diversi.
Kat Kavanagh donna adulta di 40 anni, scrittrice di professione che si cela sotto lo pseudonimo di Killian Kobain, sopravvive all’incidente stradale che viene descritto nelle primissime pagine del libro.
Milo McIntyre, bambino di quasi dieci anni, figlio della donna che muore nello stesso incidente.
Non mi dilungo sulla trama, se non per dire che i personaggi sono ben tratteggiati, se pur in modo semplice, come semplice potrebbe apparire la quotidianità di ciascuno di noi.
La cosa che mi ha più colpito del libro, non è tanto l’intreccio della storia in sé, che risulta in ogni caso piacevole e godibile, ma quello che ad un certo punto mi è arrivato nella mente e nel cuore.
Il bambino Milo, appare più maturo e saggio dell’adulta Kat!
La disparità tra il linguaggio estremamente semplice, e tante caratteristiche che appartengono solo ad un bambino di dieci anni, e la maturità di certe riflessioni ed azioni del ragazzino stesso, vanno decisamente a cozzare, contro un linguaggio più articolato, che descrive azioni e comportamenti, di una immaturità in certi punti addirittura fastidiosa, del personaggio Kat.
Allora ci si ritrova a fare il tifo per Milo, per la sorella Faith, ma alla fine anche per Kat, per suo fratello Ed, affetto da Sindrome di Down e per l’ex fidanzato Thomas.
Visto che non si tratta di una Commedia drammatica, il lieto fine bisogna aspettarselo, sono 443 pagine che sanno di “buono”, la sensazione che il libro mi ha lasciato è positiva e dolce.
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