domenica 29 settembre 2019

Il calcio balilla

Non lo sapevo! Il calcetto è diventato uno sport internazionale. L'ho scoperto vedendo le locandine che invitavano i ragazzi a sfidarsi in una gara nazionale. Ma allora, ho pensato, non è che tablet e videogames abbiano soppiantato del tutto i giochi non tecnologici! La cosa mi ha fatto piacere.




Mi sono documentata qui: http://www.biliardino.net/biliardino/storia-del-biliardino.html e quihttp://www.ilcalciobalilla.it/storia-del-calciobalilla/

Ricostruire il percorso storico del calcio balilla o biliardino è tutt'altro che semplice, le fonti sono molte e contraddittorie.
Sintetizzando le informazioni più accreditate, fornite dalla Famiglia Garlando (nota casa costruttrice di calcio balilla che distribuisce in tutti i continenti), sembra che il biliardino sia stato concepito in Germania dal tale Broto Wachter tra gli anni '20 e '30, con l'intenzione di portare il gioco del pallone su un tavolo.
Contemporaneamente in Francia vennero realizzati i primi tavoli rudimentali (ad opera di Lucien Rosengart, operaio della Citroën già realizzatore di invenzioni in altri campi). Nel frattempo in Spagna Alejandro Finisterre costruiva il biliardino nella sua forma più moderna, con l'utilizzo di omini sagomati. Nel 1937 depositò il brevetto battendo sui tempi il tedesco. 




Finisterre inventò il voltapagine a pedali per pianisti, ma il brevetto andò perduto: anzi, si trasformò in una poltiglia cartacea nel bel mezzo di una tormenta sui Pirenei, mentre lui cercava di attraversare il confine con la Francia per sfuggire alla dittatura franchista. Il poeta si mise in salvo, ma vide sbriciolarsi tra le mani anche un altro prezioso documento, quello che a Barcellona gli era servito per registrare l’ideazione di un gioco vagamente ispirato al tennis da tavolo: nel 1936 Alejandro Finisterre era un ragazzo che vagava di ospedale in ospedale, ferito anche lui nei bombardamenti di Madrid a causa della la guerra civile spagnola. Lì vedeva tanti coetanei con le gambe amputate e si struggeva: se non possono più correre su un prato – pensava – che possano almeno divertirsi con dei giocatori sagomati infilati su stecche, servirà poco altro, una pallina, un campo di compensato. E poi si potrà riderci su se qualcuno perde, senza che un rivale che ha la faccia della tua terra venga a infilzarti le budella.
 Così commissionò a un falegname basco il prototipo del “futbolin”: un terzo amico, un leader anarchico che commerciava gazzose incoraggiò Alejandro a non mollare l’idea. Ma sulla strada dell’esilio, quella bufera di montagna negò al poeta i diritti di paternità su quel gioco del calcio in miniatura che odorava di legno, piuttosto che di erba.



Rimane comunque nella storia il dualismo di nazionalità dell'idea, poichè il nome inglese Foosball che rappresenta il calcio balilla è molto simile al nome tedesco fußball, con cui oggi si chiama il gioco.

L'idea prende forma nei bar e club nei quali si riunivano per festeggiare le vittorie o a bere (per dimenticare!) sulle sconfitte delle numerose squadre di calcio locali. Così il primo prototipo di calciobalilla è presto costruito e la sua diffusione è talmente rapida che in breve praticamente ogni club, bar e oratorio si trova ad avere il proprio kicker. Proprio quest'ultimo, infatti, è il nome con cui il gioco viene identificato e che entra subito nell'uso comune, tanto che ancora oggi, in Germania, è uno dei più usati per indicare il calciobalilla.




I primi tavoli furono realizzati usando cassoni artigianali in legno per contenitore, e con aste e omini di legno. Le porte erano ricavate da fori sui cassoni con secchielli appesi o teli per raccogliere le palline.
Il gioco prese subito piede, e con esso le prime produzioni di tavoli di buona qualità, che finalmente soppiantarono i primi rozzi modelli.



I primi esemplari italiani di biliardino vedono la luce tra gli anni '30 e '40 e recava la firma dell'artigiano Poggibonsi.
Alla fine della seconda guerra mondiale, i primi biliardini trovano spazio nei centri per la riabilitazione psicomotoria dei reduci di guerra. L'ipotesi del secondo nome "calcio balilla" sembra legata a questo impiego.





Calcio Balilla, cioè calcio bambino. Perchè?
Durante il regime fascista era il nome dato ai ragazzi tra gli otto e i quattordici anni, organizzati in formazioni di tipo paramilitare nell’Opera Nazionale Balilla. 



Chi era questo Balilla?
Questo è il nome tradizionale del fanciullo che, col suo gesto di ribellione, accese la prima scintilla dell'insurrezione che scacciò gli Austriaci da Genova, nel 1746. 
Il governo repubblicano della città, durante la guerra di successione austriaca, era stato sorpreso dagli avvenimenti: gli Austriaci, occupata la città, avanzavano pretese sempre più onerose; e procedevano alla requisizione delle artiglierie, quando scoppiò il tumulto del 5 dicembre 1746.



 Un drappello di soldati austriaci accompagnava per le strettissime vie della città un grosso mortaio. Per il tempo piovoso il mortaio affondò in una via del quartiere popolare di Portoria. Il sergente, che comandava il drappello, richiese arrogantemente ai popolani affollati di aiutare i soldati nel lavoro. Volò qualche frase ironica e il sergente replicò menando bastonate. Allora da un gruppo di giovani uscì un ragazzo, il quale si rivolse ai compagni con la frase: Che l'inse? "Che la cominci a rompere?" e scagliò un sasso. L'atto fu seguito da una fitta sassaiola che costrinse i soldati a fuggire. Questo gesto di audacia fu il segnale della sommossa generale, che in cinque giorni riuscì a cacciare gli austriaci da Genova e dalla Liguria.
Chi fosse realmente questo ragazzo è comunque ancora questione aperta.


venerdì 27 settembre 2019

Thule

Thule (o anche, in italiano, Tule) è un'isola divenuta leggendaria, che compare citata per la prima volta nei diari di viaggio dell'esploratore e geografo greco Pitea (Pytheas 380-310 a.C. circa), salpato dalla colonia greco-occidentale di Massalia  ( l'odierna Marsiglia) verso il 330 a.C. per un'esplorazione dell'Atlantico del Nord. Nei suoi resoconti si parla di Thule come di una terra di fuoco e ghiaccio nella quale il sole non tramonta mai, a circa sei giorni di navigazione in direzione nord dall'attuale Gran Bretagna.


Originario della colonia greca di Massalia, compì un viaggio di esplorazione dell'Europa settentrionale, oltre le colonne d'Ercole, intorno al 325 a.C.Viaggiò lungo una considerevole parte della Gran Bretagna, circumnavigandola tra il 330 e il 320 a.C.: Pitea è, di fatto, il primo ad aver descritto il sole di mezzanotte, l'aurora polare e i ghiacci polari e fu anche tra i primi abitanti del Medoterraneo a esplorare le isole britanniche, che designò Πρεταννικαὶ Νῆσοι (Pretannikái Nésoi), nome dal quale deriva l'attuale.

 I suoi testi furono una fonte centrale di informazioni per i periodi successivi.



Pitea descrisse i suoi viaggi in un periplo (parola greca che significa circumnavigazione e che per traslato indica la narrazione di una circumnavigazione) intitolato Sull'Oceano (Περὶ τοῦ Ὠκεανοῦ), di cui sono sopravvissuti solamente alcuni frammenti citati o parafrasati da autori successivi. Alcuni di loro, come Polibio e Strabone, accusarono Pitea di aver documentato un viaggio immaginario che non aveva mai  avuto luogo, ritenendo la sua storia comunque plausibile.
Ad oggi, comunque, è abbastanza certo che il viaggio aveva avuto realmente luogo, dato che le osservazioni del navigatore sono riscontrabili nella realtà.





Dopo aver esplorato la Britannia , Pitea visitò un'isola distante sei giorni di navigazione dal nord della Gran Bretagna, chiamata Thule. Siccome il mare risultava ghiacciato, fatto ignoto fino allora, Pitea lo descrisse come "Il mare di gelatina". Si ritiene che Thule possa essere riferibile all'Islanda o a zone costiere della Norvegia, le Isole Shetland o le Isole faerOer. Pitea afferma che Thule era un paese agricolo che produceva miele. I suoi abitanti mangiavano frutti e bevevano latte, e fabbricavano una bevanda fatta di grano e miele, in quanto, a differenza delle popolazioni dell'Europa meridionale, possedevano granai all'interno dei quali effettuavano la trebbiatura dei cereali. Sosteneva, inoltre, che gli fu mostrato il luogo dove il Sole andasse a dormire e annotò che a Thule la notte durava solamente due o tre ore. 




Il viaggio di Pitea è poi proseguito fino alla Groenlandia e, a est, sulle rive del mar Baltico. Ma quello dei suoi racconti che è entrato nella leggenda è proprio l'isola di Thule.

I

Il fascino del racconto di Pitea aveva suggerito, già nel II secolo a.C., l'inserimento dell'isola nel quadro di narrazioni fantasiose, come avviene nel romanzo Le incredibili meraviglie al di là di Tule di Antonio Diogene.
Nella Geografiadi Claudio Tolomeo, Thule è tuttavia un'isola concreta, della quale si forniscono le coordinate (latitudine e longitudine), riferite alle estremità settentrionale, meridionale, occidentale e orientale, seppur in modo troppo approssimativo perché si possa darne un'identificazione certa.

L'identificazione della Thule di Pitea e di Tolomeo (non necessariamente coincidenti) è sempre stata problematica e ha dato luogo a diverse ipotesi, anche per la generale inaccuratezza delle coordinate assegnate da Tolomeo a luoghi lontani dall'Impero romano.

Vari autori hanno ipotizzato l'identificazione di Thule con luoghi disparati ma tre sono le teorie più accreditate:
Pitea avrebbe dato il nome di Thule a un tratto della costa norvegese.
Thule si identificherebbe con la Groenlandia.
Thule sarebbe l'Islanda.

C'è anche una teoria proposta da Lennart Meri, secondo cui è possibile che Thule sia l'isola di Saaremaa, in Estonia, mentre il nome di "Thule" avrebbe potuto essere collegato al termine finnico tule ("(di) fuoco"), al folklore locale e alla mitologia finlandese, che raffiguravano la nascita del lago dei crateri di Kaali. Kaali era considerato il luogo in cui "il sole andava a riposare."



Nel corso della tarda antichità e nel medioevo il ricordo della lontana Thule ha generato un resistente mito: quello dell'ultima Thule, come fu per la prima volta definita dal poeta latino Virgilio nel senso di estrema, cioè ultima terra conoscibile, e il cui significato nel corso dei secoli trasla fino a indicare tutte le terre "al di là del mondo conosciuto" , come indica l'origine etrusca della parola "tular", confine.
 Il mito, che possiede molte analogie con altri miti, ad esempio con quello dello Shangri-Là himalaiano, ha affascinato anche in epoca moderna.

Esso è stato anche alla base della formazione di gruppi occulti come quello tedesco della Società Thule (Thule Gesellschaft), fondata il 18 agosto 1918, e che identificava in Thule l'origine della saggezza della razza ariana, popolata da giganti con i capelli biondi, gli occhi azzurri e la pelle chiara, che un tempo dominavano il mondo, potere successivamente perso per aver consumato relazioni sessuali con membri di altre razze, inferiori, subumane e in parte animali.




Secondo l'interpretazione dei membri della Thule Gesellschaft e di altri esponenti della ariosofia, il mito tratta di una terra abitata da una razza umana "superiore", identificata sovente con il popolo degli Iperborei, organizzata in una società pressoché perfetta, si possono facilmente ritrovare alcune delle basi del concetto – accolto e divulgato dal nazismo – di razza ariana, ovvero superiore a qualsiasi altra e dunque inevitabilmente dominante sul mondo.
(Wikipedia)

mercoledì 25 settembre 2019

La Collina

Mentre cercavo di fare un po' d'ordine tra i libri letti da tempo e accantonati per un'eventuale possibile rilettura, ho ritrovato un'austera edizione del 1959 dell' Antologia di Spoon River, un libro che, quando frequentavo il corso di laurea in lingue e letterature straniere a metà degli anni '60, era diventato popolare nell'ambiente studentesco, sia per il tema trattato sia per la forma insolita.







Non era un romanzo e nemmeno una raccolta di poesie, in senso tradizionale; era piuttosto un intreccio di pensieri che si rifaceva in qualche modo all'uso dell'epitaffio della tradizione  greca, ma che, anziché essere inciso sulla lapide funeraria, diventava la voce narrante degli abitanti del cimitero sulla collina, là dove scorre lo Spoon River.





Inizia così:


                                           La Collina

Dove sono Elmer, Herman, Bert, Tom e Charley,
l'abulico, l'atletico, il buffone, l'ubriacone, il rissoso?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.

Uno trapassò in una febbre,
uno fu arso nella miniera,
uno fu ucciso in rissa,
uno morì in prigione,
uno cadde da un ponte lavorando per i suoi cari -
tutti, tutti dormono, dormono, dormono sulla collina.

Dove sono Ella, Kate, Mag, Edith e Lizzie,
la tenera, la semplice, la vociona, l'orgogliosa, la felice?
Tutte, tutte, dormono sulla collina.

Una morì di un parto illecito,
una di amore contrastato,
una sotto le mani di un bruto in un bordello,
una di orgoglio spezzato mentre anelava al suo ideale,
una inseguendo la vita, lontano, a Londra a Parigi,
ma fu riportata nel piccolo spazio con Ella, con Kate, con Mag
tutte , tutte dormono, dormono, dormono sulla collina.

Dove sono zio Isaac e la zia Emily,
e il vecchio Tony Kincaid e Sevigne Houghton,
e il maggiore Walker che aveva conosciuto
uomini venerabili della Rivoluzione?
Tutti, tutti, dormono sulla collina.

Dov'è quel vecchio suonatore Jones
che giocò con la vita per tutti i novant'anni,
fronteggiando il nevischio a petto nudo,
bevendo, facendo chiasso, non pensando né a moglie e parenti,
né al denaro, né all'amore, né al cielo ?
Eccolo! Ciancia delle fritture di tanti anni fa,
delle corse di tanti anni fa nel Boschetto di Clary,
di ciò che Abe Lincoln
disse una volta a Springfield.





Edgar Allan Poe era nato il 23 agosto 1869 a Garnett, nel Kansas, dove  i genitori si erano temporaneamente trasferiti, facendo presto ritorno alla fattoria dei nonni paterni, nell'Illinois.
Nel 1880  con la famiglia si trasferisce  a Lewistone, dove frequenta il liceo e inizia a pubblicare i primi articoli.
Dopo aver lavorato presso l'ufficio legale del padre, consegue la laurea in Legge e si mette in proprio, si sposa, ha tre figli. Più tardi abbandonerà la professione di avvocato per dedicarsi alla scrittura, con alterno successo. Le sue condizioni economiche e di salute si faranno sempre più precarie . Morirà di polmonite il 5 marzo 1950.

L'Antologia di Spoon River fu pubblicata per la prima volta negli Stati Uniti nel 1915 e descrive il microcosmo di una cittadina rurale del Midwest : l'autore immagina che i defunti della cittadina di Spoon River, sepolti in un cimitero posto su una collina, recitino  da sé il proprio epitaffio. Così 244 personaggi  raccontano la propria vicenda umana confrontandosi in 19 storie diverse.
Ecco un esempio.


                                Il dottor Meyers

Nessuno, tranne il dottor Hill,
fece più di me per la gente di questa città.
E tutti i deboli, gli storpi, gli sventati,
e chi non poteva pagare, accorrevano a me.
Ero il comodo dottor Meyers, dal buon cuore.
Ero sano, felice, benestante,
avevo una compagna congeniale, e figlioli adulti,
tutti sposati, e a posto nel mondo.
Ma una notte, Minerva, la poetessa,
venne da me nei guai, piangendo.
Cercai di aiutarla - morì.
Mi accusarono, i giornali mi coprirono d'infamia,
mia moglie morì di crepacuore.
mi finì la polmonite.


                          La Signora Meyers

Protestò tutta quanta la vita
che i giornali eran tutte menzogne;
che non era colpevole lui della caduta di Minerva,
aveva solo tentato di aiutarla.
Povero caro, così sprofondato nella colpa da non accorgersi
che perfino tentando di aiutarla, come diceva,
aveva violato la legge umana e divina.
Viandanti, un vecchio monito per voi:
se la vostra dev'essere una strada di contento,
e i vostri passi di pace,
amate Dio e osservatene i comandamenti.


In effetti Masters ,per dar vita ai suoi personaggi, si ispirò spesso a persone che aveva effettivamente conosciuto nelle diverse cittadine che aveva frequentato, e che erano ancora vive quando il suo libro fu pubblicato e che, ovviamente, si risentirono nel vedere in bella mostra le loro vicende personali.




Nel 1971 Fabrizio De André pubblicò l'album " Non al denaro, non all'amore ne al cielo" liberamente tratto dall'Antologia. Dei 244 brani ne scelse nove e ne fece altrettante canzoni; i temi che le accumunavano erano l'invidia e la scienza.  André identificò i suoi personaggi non attraverso i loro nomi, come accade invece nell'Antologia, ma più genericamente per ciò che fanno (il giudice, il medico,ecc.).
Il suonatore Jones è l'unico a cui De Andrè lascia il nome, forse perché è quello che gli piace di più, o forse, perché è quello a cui vorrebbe assomigliare. Per Jones la musica non è un mestiere, ma una scelta di libertà.



                                  Il suonatore Jones

La terra ti suscita
vibrazione nel cuore: sei tu.
E se la gente sa che sai suonare,
suonare ti tocca, per tutta la vita.
Che cosa vedi, una messe di trifoglio ?
o un largo prato fra te e il fiume?
Nelle meliga è il vento; ti freghi le mani
perché i buoi saran pronti al mercato;
o ti accade di udire un fruscio di gonnelle
come al Boschetto quando ballano le ragazze.
Per Cooney Potter una pila di polvere
o un vortice di foglie volevan dire siccità;
a ma pareva fosse Sammy Testa-rossa
quando fa il passo sul motivo di Toor-a-Loor.
Come potevo coltivare le mie terre,
- non parliamo di ingrandirle -
con la ridda di corni, fagotti e ottavini
che cornacchie e pettirossi mi muovevano in testa,
e il cigolio di un mulino a vento - solo questo?
mai una volta diedi mano all'aratro,
che qualcuno non si fermasse nella strada
e mi chiamasse per un ballo o una merenda.
 Finii con le stesse terre,
finii con un violino spaccato -
e un ridere rauco e ricordi,
e nemmeno un rimpianto.





lunedì 23 settembre 2019

Finestre 3

Abbiamo già avuto modo di raccontare come ci piace a me e a Mianna, specialmente quando viaggiamo, guardare le finestre delle case, per immaginarne gli interni, le persone che vi abitano, la loro vita..
http://ilclandimariapia.blogspot.com/2017/02/finestre.html
https://ilclandimariapia.blogspot.com/2017/09/finestre-2.html

 e qui voglio ribadire il concetto, ma voglio anche raccontare di quanto mi piace, quando entro in casa d'altri o in una stanza d'albergo, affacciarmi dalle loro finestre, per constatare cosa è che vedono, da lì, e immaginare i loro pensieri di fronte ad un panorama, bello o brutto che sia.
Quando valuto una casa, la "vista" ha la sua importanza, anche se so benissimo che non passiamo la nostra vita affacciati alla finestra e che il valore vero di un immobile è dato da ben altre cose da considerare.
Una finestra che dà su un bel panorama, comunque, è come un bel quadro di valore appeso alla parete e ci può dare la stessa sensazione di piacere nel restare ad ammirarlo.