A tutti quelli che amano leggere le nostre piccole note, auguriamo un 2016 ricco di serenità e piccole cose piacevoli
Mianna e Dindi
per tutti gli amanti dei libri illustrati per bambini degli anni 40/70 del secolo scorso e di tante altre cose belle. Siamo partite con i libricini, ma poi ci siamo allargate: qui si trovano gli argomenti più disparati,fiori, libri, ricami, film , viaggi e tanto d'altro, ma sempre in chiave soft!.....Chi vuole può seguirci sugli altri nostri blog: soloillustratori, passeggiando tra parchi e castelli, Dindì, storiedellamiafamiglia, specialepinup.
giovedì 31 dicembre 2015
mercoledì 30 dicembre 2015
Domenica a Mergozzo
Mergozzo
Chiara
Max
Ferro
Miki
Illustratori
Libri
Bambini
Anni 50
Dindi:
Chiara
Max
Ferro
Miki
Illustratori
Libri
Bambini
Anni 50
Dindi:
Come in un gioco enigmistico ho messo in fila una serie di nomi legati da un nesso logico che sfuggirà ai più, ma che a me serve per raccontare una storia breve, la cronaca di un giorno, che parte però da lontano.
Come tutti sanno Dindi è un'appassionata collezionista di libri per bambini pubblicati per lo più negli anni '50 durante la sua, nonchè mia, infanzia.
Di quei librini ci sono rimaste nel cuore soprattutto le immagini, create da bravissimi illustratori e illustratrici di cui a volte nemmeno compariva il nome in copertina.
Non a caso questo blog è dedicato a Mariapia, la più amata forse fra le illustratrici, quella per cui è nato il nostro clan di estimatori.
La curiosità, che nell'infanzia si appagava con le avventure dei paffuti protagonisti di storielle divertenti, ha spinto questi ex piccoli lettori, ormai adulti e diventati amici, a cercare di saperne di più sotto il profilo umano, e non solo artistico, della vita di questi professionisti.
Accanto a molti dei disegni pubblicati già dagli anni 40 su libri e cartoline compariva spesso il nome Miki , pseudonimo di Bianca Pellizzari Ferro, nata e cresciuta nel nostro paese, ma trasferitasi poi in Canada.
E proprio in questo percorso di avvicinamento alle storie personali di illustratori e illustratrici, Dindi è entrata casualmente in contatto con Max Ferro, il figlio di MiKi. Max, persona socievole ed estroversa, dalla sua casa americana ci ha raccontato tante cose interessanti non solo della sua famiglia, ma anche della vita e delle abitudini del paese in cui vive ormai da molti anni.
Purtroppo da qualche tempo Max è in una casa di cura per una grave malattia, ma in qualche modo il contatto con la famiglia di Miki sta proseguendo grazie alla disponibilità della cugina di Max, Chiara, che vive a Mengozzo.
Chiara è una persona speciale, appassionata di viaggi e di letture, si è laureata in lingue ed ha vissuto e lavorato a lungo a Milano.
Da qualche anno si è trasferita qui, nella casa natale, sulle rive di un piccolo lago di cui, confesso, ignoravo l'esistenza fino a ieri.
In tempi antichi il lago di Mergozzo era l'estrema punta del braccio occidentale del Lago Maggiore, ma le continue inondazioni del Toce, immissario di quest'ultimo, formarono un braccio di terra che divise i due bacini.
Il lago anche se di piccole dimensioni, raggiunge la profondità di 74m e risulta essere uno dei più puliti d'Italia, anche perchè sulla sua superficie è vietato l'uso di imbarcazioni a motore.
Chiara ci aspetta nella sua casa natale, piena di ricordi e di libri, con i muri spessi e le scale di pietra, nel cuore del paese da cui il lago prende il nome.
La giornata è incredibilmente serena e la temperatura gradevole nelle ore centrali , così prima di pranzo scendiamo al lago attraverso vicoli stretti.
D'estate il paese, che conta 2200 abitanti , si riempie di turisti italiani e stranieri, ma oggi il lungolago è tutto nostro.
Passeggiamo piano piano mentre Chiara ci racconta delle trasformazioni del paesaggio che stanno avvenendo anche qui , con suo grande rammarico: vecchie ville demolite , alberi abbattuti per far spazio a nuove costruzioni. Per fortuna qualcosa rimane, comprese le palme a testimoniare la mitezza del clima e le ultime rose che fioriscono nei giardini.
Lungo il percorso non si può fare a meno di percepire la pace e la serenità che ci circondano. Il silenzio è interrotto soltanto dal fruscio dei remi di una barca che scivola sull'acqua o dallo starnazzare delle oche e delle anatre.
Chiara viene a passeggiare sul lungolago quasi ogni giorno in compagnia di Bridget, il labrador dal mantello color miele che vive con lei da tanti anni.
Quando l'ora di pranzo si avvicina, dopo un ultimo sguardo alle montagne che si specchiano nel lago trasparente, rientriamo in paese passando accanto a un tasso centenario dal tronco cavo.
Dal portoncino che si affaccia sul vicolo si accede a un cortile interno che porta al giardino di Chiara. Un gigantesco agrifoglio ricco di bacche rosse si alza fin oltre il terzo piano della casa
All'interno ci accoglie il tepore della cucina riscaldata dalla stufa a pellet. La tavola è già apparecchiata e sulla parete sopra la madia spicca una stampa cinese che rappresenta un guardiano di oche su fondo blu circondato da uno stuolo di bianchi pennuti: é il ricordo di un viaggio fatto tanto tempo fa in Cina , dice Chiara.
Sullo sportello del frigorifero invece c'è solo una fotografia con una signora seduta in giardino con alla spalle un muro ricoperto da una vigorosa rosa rampicante: è la sua mamma che non c'è più e non c'è più nemmeno la rosa.
Durante il pranzo parliamo di tante cose. Chiara racconta della sua infanzia, della sua famiglia, di quanto sia stato difficile per lei passare dalla vita di città a quella di un paesino quasi fuori dal mondo. Eppure i suoi interessi sono sempre vivi, per la lettura, lo studio, la cronaca, il mondo che cambia.
Il tempo passa velocemente ma non ce ne accorgiamo fintanto che il sole non scende dietro la montagna. E' il momento di ritornare, ci sarà nebbia, ci sarà traffico, meglio non far tardi.
Salutiamo Chiara, la ringraziamo della sua ospitalità e ci auguriamo che possa esserci presto l'occasione per un nuovo incontro, magari da noi, a Bergamo.
Una giornata speciale, da conservare nell'album dei ricordi.
Non a caso questo blog è dedicato a Mariapia, la più amata forse fra le illustratrici, quella per cui è nato il nostro clan di estimatori.
La curiosità, che nell'infanzia si appagava con le avventure dei paffuti protagonisti di storielle divertenti, ha spinto questi ex piccoli lettori, ormai adulti e diventati amici, a cercare di saperne di più sotto il profilo umano, e non solo artistico, della vita di questi professionisti.
Accanto a molti dei disegni pubblicati già dagli anni 40 su libri e cartoline compariva spesso il nome Miki , pseudonimo di Bianca Pellizzari Ferro, nata e cresciuta nel nostro paese, ma trasferitasi poi in Canada.
E proprio in questo percorso di avvicinamento alle storie personali di illustratori e illustratrici, Dindi è entrata casualmente in contatto con Max Ferro, il figlio di MiKi. Max, persona socievole ed estroversa, dalla sua casa americana ci ha raccontato tante cose interessanti non solo della sua famiglia, ma anche della vita e delle abitudini del paese in cui vive ormai da molti anni.
Purtroppo da qualche tempo Max è in una casa di cura per una grave malattia, ma in qualche modo il contatto con la famiglia di Miki sta proseguendo grazie alla disponibilità della cugina di Max, Chiara, che vive a Mengozzo.
Chiara è una persona speciale, appassionata di viaggi e di letture, si è laureata in lingue ed ha vissuto e lavorato a lungo a Milano.
Da qualche anno si è trasferita qui, nella casa natale, sulle rive di un piccolo lago di cui, confesso, ignoravo l'esistenza fino a ieri.
In tempi antichi il lago di Mergozzo era l'estrema punta del braccio occidentale del Lago Maggiore, ma le continue inondazioni del Toce, immissario di quest'ultimo, formarono un braccio di terra che divise i due bacini.
Il lago anche se di piccole dimensioni, raggiunge la profondità di 74m e risulta essere uno dei più puliti d'Italia, anche perchè sulla sua superficie è vietato l'uso di imbarcazioni a motore.
Chiara ci aspetta nella sua casa natale, piena di ricordi e di libri, con i muri spessi e le scale di pietra, nel cuore del paese da cui il lago prende il nome.
La giornata è incredibilmente serena e la temperatura gradevole nelle ore centrali , così prima di pranzo scendiamo al lago attraverso vicoli stretti.
D'estate il paese, che conta 2200 abitanti , si riempie di turisti italiani e stranieri, ma oggi il lungolago è tutto nostro.
Passeggiamo piano piano mentre Chiara ci racconta delle trasformazioni del paesaggio che stanno avvenendo anche qui , con suo grande rammarico: vecchie ville demolite , alberi abbattuti per far spazio a nuove costruzioni. Per fortuna qualcosa rimane, comprese le palme a testimoniare la mitezza del clima e le ultime rose che fioriscono nei giardini.
Lungo il percorso non si può fare a meno di percepire la pace e la serenità che ci circondano. Il silenzio è interrotto soltanto dal fruscio dei remi di una barca che scivola sull'acqua o dallo starnazzare delle oche e delle anatre.
Chiara viene a passeggiare sul lungolago quasi ogni giorno in compagnia di Bridget, il labrador dal mantello color miele che vive con lei da tanti anni.
Quando l'ora di pranzo si avvicina, dopo un ultimo sguardo alle montagne che si specchiano nel lago trasparente, rientriamo in paese passando accanto a un tasso centenario dal tronco cavo.
Dal portoncino che si affaccia sul vicolo si accede a un cortile interno che porta al giardino di Chiara. Un gigantesco agrifoglio ricco di bacche rosse si alza fin oltre il terzo piano della casa
All'interno ci accoglie il tepore della cucina riscaldata dalla stufa a pellet. La tavola è già apparecchiata e sulla parete sopra la madia spicca una stampa cinese che rappresenta un guardiano di oche su fondo blu circondato da uno stuolo di bianchi pennuti: é il ricordo di un viaggio fatto tanto tempo fa in Cina , dice Chiara.
Sullo sportello del frigorifero invece c'è solo una fotografia con una signora seduta in giardino con alla spalle un muro ricoperto da una vigorosa rosa rampicante: è la sua mamma che non c'è più e non c'è più nemmeno la rosa.
Durante il pranzo parliamo di tante cose. Chiara racconta della sua infanzia, della sua famiglia, di quanto sia stato difficile per lei passare dalla vita di città a quella di un paesino quasi fuori dal mondo. Eppure i suoi interessi sono sempre vivi, per la lettura, lo studio, la cronaca, il mondo che cambia.
Il tempo passa velocemente ma non ce ne accorgiamo fintanto che il sole non scende dietro la montagna. E' il momento di ritornare, ci sarà nebbia, ci sarà traffico, meglio non far tardi.
Salutiamo Chiara, la ringraziamo della sua ospitalità e ci auguriamo che possa esserci presto l'occasione per un nuovo incontro, magari da noi, a Bergamo.
Una giornata speciale, da conservare nell'album dei ricordi.
martedì 29 dicembre 2015
La miniatura e i tacuina sanitatis
Ho trovato qui:
http://restaurars.altervista.org/la-miniatura-storia-e-tecnica/ un paio di articoli interessanti che ci raccontano come sono nate le prime illustrazioni dei libri e di alcune illustrazioni in particolare. Questa è storia dell'arte! E noi che amiamo tanto gli illustratori, dobbiamo saperne un po' in proposito!
Una delle maggiori fonti iconografiche sulla vita quotidiana nel Medioevo è costituita dalle miniature dei Tacuina sanitatis. I Tacuina (plurale del latino tacuinum) sanitatis sono manuali di tipo medico, che descrivono le proprietà mediche di erbe, ortaggi, cibi, spezie, ma anche comportamenti e sentimenti, con lo scopo di fornire indicazioni pratiche per condurre una vita sana. Tali opere derivavano dal trattato di un medico arabo (Ibn Butlan) vissuto a Baghdad nell’XI secolo, intitolato Taqwin al-sihha (cioè “Tavole della salute”), da cui il termine taccuino. Tradotto in latino in Sicilia, alla corte svevo-normanna, il trattato si diffuse rapidamente in Europa, contribuendo a far conoscere le moderne pratiche dietetiche ed igieniche della medicina araba.
Nel Tacuinum vengono presentati gli elementi fondamentali per il benessere, tra i quali rientrano appunto i cibi e le bevande convenienti (oltre all’aria buona, alla corretta alternanza di movimento e riposo, di veglia e sonno, alla regolazione dei sentimenti). I Tacuina ebbero larga diffusione soprattutto nell’Italia settentrionale, sotto forma di manoscritti riccamente miniati.
Di Laura Corchia
La miniatura non può essere semplicemente considerata pittura in piccolo ma è indissolubilmente legata ad un testo scritto, di cui ne illustra i precetti.
Diversamente da altre tecniche artistiche, la miniatura ha uno svolgimento finito nel tempo, dal momento che la produzione del libro manoscritto diminuisce con l’avvento, intorno alla metà del Quattrocento, della stampa: il codice è così soppiantato dal libro, che all’inizio può ancora essere miniato ma che poi verrà illustrato con incisioni e xilografie.
A differenza della pittura monumentale, la miniatura si è conservata meglio proprio in virtù del suo carattere prezioso ed elitario. Inoltre, il codice miniato ha subito in misura minore il cambiamento di gusto e ha rappresentato un importantissimo veicolo di stile. I cambiamenti delle decorazioni sono stati registrati solo negli stemmi, che venivano modificati quando il manoscritto passava di mano. La miniatura si data in genere più facilmente della pittura monumentale, dal momento che dal codice nel suo complesso si possono ricavare moltissime informazioni: il calendario di un codice liturgico può, ad esempio, indicarci, con la scelta dei santi elencati, la diocesi di appartenenza oppure il luogo dove è stato realizzato. Ricchi di informazioni sono anche il colophon (la sottoscrizione del copista), i versi, le miniature di dedica, utili a fornire il nome del committente, del destinatario e magari del miniatore.
Da sempre i manoscritti miniati sono stati accessibili a pochi, e se, come si è detto, si sono conservati meglio e in misura maggiore di altre opere d’arte, ciò si deve al fatto che sono stati custoditi gelosamente nelle biblioteche.
La miniatura ha tipologie differenti nei testi sacri o liturgici e in quelli profani. Variano nel tempo tanto i temi che le iconografie. Inoltre, nascono degli specifici centri di produzione: Tours si specializza per la produzione delle Bibbie durante il periodo carolingio, Bologna, Padova e Parigi realizzeranno invece testi per lo più giuridici.
Le fonti, soprattutto risalenti all’Alto Medioevo, forniscono più spesso il nome del committente rispetto a quello del miniatore. Si tratta soprattutto di ecclesiastici o comunque di potenti laici. Anche se di modeste proporzioni e scarsamente decorati, i codici miniati erano costosissimi, visto che per la sola pergamena richiedono il sacrificio di un intero gregge. Tanto più costa quindi un codice di lusso, miniato con colori preziosi e largo uso d’oro e d’argento, e fornito magari di una legatura di oreficeria. Conosciamo il valore di alcuni manoscritti grazie ai documenti d’allogazione, contratti e libri di conti che cominciano ad essere utilizzati a partire dal XIII secolo, quando la produzione del libro esce dall’ambito monastico e nascono le prime botteghe laiche.
Ma come funzionava uno scriptorium? Nel Medioevo la produzione del libro era quasi esclusivo appannaggio dell’ambiente ecclesiastico e quasi tutti i monasteri erano dotati di una grande sala comune dove operavano diverse persone. Cistercensi e Certosini copiavano invece i libri chiusi nelle loro celle. Lo scriptorium era diretto da un capo (solitamente l’abate o un frate più anziano), al quale spettava la direzione della biblioteca, la scelta delle opere da copiare, la veste da dare al nuovo esemplare, l’impaginazione, la decorazione e la suddivisione dei compiti tra copisti, rubricatori, decoratori e miniatori. Gli scribi iniziavano il lavoro, lasciando gli spazi vuoti per i titoli e le decorazioni. Per facilitare il compito a chi sarebbe intervenuto dopo di lui, lo scriba talvolta tracciava i contorni delle iniziali da dipingere. Dopo la scrittura, veniva il lavoro del rubricatore, ovvero il monaco incaricato di eseguire le decorazioni più semplici. Infine, il miniatore dipingeva le raffigurazioni più complesse. La coloritura non veniva eseguita tutta in una volta: prima venivano stese eventuali parti in oro, poi i colori del fondo, quindi quelli delle vesti, degli incarnati, le ombre, le lumeggiature, i contorni e i tratti fisiognomici. Alla fine il testo copiato veniva riletto, rilegato.
Con la nascita delle Università, la produzione libraria viene incrementata dalla necessità di libri per l’insegnamento. Nelle città universitarie sorgono attivissime botteghe laiche, dirette da stationarii, che producono e vendono libri in gran copia e relativamente a buon mercato, impegnando non solo copisti e miniatori ma anche mogli e figli. Caratteristico della produzione libraria universitaria è il sistema delle peciae, i fascicoli sciolti di quattro fogli dell’esemplare corretto dal professore. Gli statuti delle Università stabilivano degli obblighi per gli stationarii, che dovevano garantire la correttezza delle peciae depositate presso di loro. Il manoscritto universitario era spesso d’aspetto modesto, comprato in società da più studenti. Tuttavia, esistevano anche esemplari di lusso, miniati, destinati ad acquirenti più facoltosi.
Dal punto di vista strettamente tecnico, le vicende della miniatura seguono nel tempo gli sviluppi attuati dalla tempera. Dante designa la tecnica della miniatura come «quell’arte ch’alluminar è chiamata in Parigi». In francese, il termine utilizzato è enluminure, derivante dal latino inluminare e cioè donar luce. Tuttavia, è probabile che l’alluminare o illuminare antico derivi dall’uso di combinare coloranti organici con allume di rocca per renderli insolubili. La parola italiana miniare deriva dall’uso di sottolineare o colorire le iniziali del manoscritti in colore rosso (minio). La miniatura venne attuata per la decorazione dei manoscritti in pergamena, materiale ricavabile dalle pelli di vitelli, pecore e capre. Le pelli ancora fresche venivano tenute in acqua per purgarle e poi in un bagno di acqua e calce per sgrassarle. Dopo venivano tirate su tenditoi e raschiate fino ad ottenere la sottigliezza voluta. La pergamena poteva anche essere tinta con la porpora o con altri colori. Per far aderire i coloranti, il supporto veniva trattato con fiele di bue misto ad albume o passando con della bambagina una soluzione di colla e miele. Un trattato secentesco consiglia invece fiele di anguilla misto ad alcool ed enumera i colori necessari per la miniatura: nero, bianco, rosso, giallo, azzurro, violetto, rosa e verde. I pigmenti erano prevalentemente di origine naturale, ottenuti dalle terre. Tra i colori artificiali, il trattato ricorda il carbone di vite, il nerofumo, il bianco da ossa calcinate, il giallo radice di curcuma, il rosso minio e il bianco cerussa. I colori andavano macinati in una soluzione di gomma arabica e zucchero candito. La stesura avveniva per pennellate molto fluide, rese più intense attraverso successive sovrapposizioni. La lamina d’oro veniva applicata per prima, facendo attenzione a farla aderire perfettamente con la bambagina. Dopo di che veniva brunita con dente di lupo o di vitello o con pietra d’ematite.
lunedì 28 dicembre 2015
ricami
Oggi mi è venuta la nostalgia di quei bei lavori che vedevo un po' di tempo fa sui blog delle ricamatrici. Ho tirato fuori la mia cartella ...eccoli qui! Me li riguardo sempre volentieri! Purtroppo non posso citare i nomi delle artiste perchè avevo copiato le immagini tutte nella stessa cartella, per averne ispirazione e senza prendere nota delle autrici. Me ne scuso e chiedo: se qualcuna riconosce un suo ricamo e vuole che si dica che il lavoro è suo, per favore, lo metta nei commenti. Grazie